La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 10 giugno 2017

Al Labour di Corbyn piace vincere

di Gerardo Ongaro
Nessuno ha vinto in termini numerici. Il Partito Conservatore è risultato il partito maggiore, ma ha perso la maggioranza: un vero disastro. Corbyn, leader del Partito Laburista, era stato attaccato da tutti, anche dall’interno del partito, e all’inizio della campagna elettorale i sondaggi lo davano 20% dietro il Partito Conservatore. Un’idea della dimensione del successo di Corbyn nelle seguenti percentuali del voto: Partito Laburista 40%, appena 2% meno del Partito Conservatore. Questo 40% è simile al miglior risultato di Tony Blair, quando vinse con una maggioranza parlamentare travolgente. Quel piccolo 2% del Partito Conservatore nelle elezioni odierne gli garantisce quasi 60 seggi più del Partito Laburista. Questa strana discrepanza è dovuta al sistema elettorale britannico.
Si devono quindi analizzare i dati guardando al contesto particolare. Il successo di Corbyn è riconosciuto da tutti i commentatori britannici, di diverso orientamento politico. Ciò che conta è il successo reale in termini percentuali, giudicato su una proposta fortemente di sinistra, una visione finalmente alternativa della società, che 4 elettori su 10 hanno votato, nonostante la campagna mediatica di paura al quale l’elettorato è stato sottoposto.
Corbyn ha attinto da tutti i livelli demografici, ma soprattutto dai giovani, che da soli avrebbero decretato una vittoria schiacciante dei laburisti. Ha avuto successo tra tutti gli strati sociali, rubando seggi conservatori sicuri, persino nelle zone più agiate. Corbyn ha quindi fatto breccia anche tra la classe media che l’èlite blairiana del partito (alla quale Renzi fa riferimento), sosteneva non avrebbe potuto raggiungere.
Infine, il processo politico britannico degli ultimi anni sembra mostrare una similitudine tra il Partito Conservatore e il PD italiano, riguardo le politiche e l’atteggiamento.
Arrogante come Renzi, Cameron decise di indire il referendum per il Brexit, presumendo che avrebbe vinto, ma non accadde. May ha mentito al pubblico, sostenendo ripetutamente di non voler indire le elezioni. Poi, visti i sondaggi favorevoli, sicura di ottenere una maggioranza schiacciante, ha cambiato idea.
Poteva indire le elezioni prima di far scattare l’articolo 50 che inizia il conto alla rovescia di due anni per il processo di divorzio dall’UE. Invece, arrogantemente pensando alla vittoria facile, trascurò il dettaglio, ed ora tale periodo non si può fermare per risolvere i problemi di governabilità, e non si può prolungare, a meno che tutti i 27 paesi dell’UE siano d’accordo.
Questa notte ha trovato un accordo con il partito nord irlandese DUP, per i loro 10 seggi e una maggioranza striminzita. Poi, è corsa dalla regina per ricevere l’incarico per formare il governo. Tuttavia, molti commentatori sostengono che inizierà i colloqui con l’UE, per rispettare il programma, ma come Premier non durerà a lungo: il suo partito sembra orientato a non permetterle di condurre la prossima campagna elettorale. Se se ne andrà, sarà per davvero, ed in questo esiste una differenza con l’Italia (Renzi fece finta di andarsene).
Per il resto, l’arroganza descritta ricorda quella renziana. Tra le tante posizioni similmente arroganti, ci fu quella di produrre una legge elettorale soltanto per la Camera, presumendo che avrebbe vinto il referendum sulla modifica della costituzione, e che il Senato italiano non sarebbe più stato elettivo.
Quando Corbyn vinse le elezioni per la guida del partito Laburista, Renzi disse: “Al Labour piace perdere”.

Fonte: sinistraineuropa.it 

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