La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 10 giugno 2017

Muri, frontiere e industria della sicurezza

di Lorenzo Bagnoli
Non è un mistero che in Europa l'indotto delle industrie belliche non produca più come prima. La ricerca in armamenti e mezzi militari è scesa del 30% in Europa. Ormai si vive principalmente con le commesse che arrivano dai Paesi extra UE, dittature comprese. Già dal 2009, i principali gruppi di lobbisti europei dell'industria della sicurezza (su tutti la European Organisation for Security, EOS) tratteggiavano scenari cupi all'orizzonte. E proponevano, già all'epoca, una soluzione: mutuare l'esperienza dell'industria militare in campo civile. L'industria, così, avrebbe cambiato pelle e avrebbe dato risposte più efficaci alla crescente sete di sicurezza.
Negli Stati Uniti, la più fiorente industria della difesa al mondo, questo passaggio è realtà da decenni: si definisce, in una formula, Homeland Security. Intraducibile in italiano, il suo corrispettivo più usato è Difesa nazionale. Il Dipartimento di difesa nazionale americano è dotato di tecnologie che assomigliano più a quelle di un esercito che a quelle di una polizia locale. Alla Commissione europea, da circa otto anni, si sta cercando di fare nascere un dipartimento di Homeland security comunitario, che darebbe nuova linfa al mercato europeo della sicurezza oltre che offrire una risposta all'incessante domanda di sicurezza dei cittadini. Nessun Paese europeo, infatti, sarebbe in grado di finanziare indipendentemente progetti di ricerca paragonabili a quelli americani. Così l'Europa della sicurezza resta sempre indietro rispetto agli Stati Uniti. La soluzione proposta, però, inevitabilmente alimenta, oltre che un mercato, anche un'idea di Europa: un'Europa arroccata, in difesa, sempre più bisognosa di muri. Una scelta di politica industriale che inevitabilmente ha avuto anche le sue ripercussioni in termini politici. L'ascesa delle nuove destre europee insegna.
L'inchiesta Security for Sale, condotta a febbraio da un consorzio di 22 giornalisti (tra cui anche Lorenzo Bagnoli, ndr), ha raccontato l'evoluzione di questo mercato e, al contempo, di quest'idea di Europa. Tra il 2010 e il 2020 la ricerca europea ha investito nel settore sicurezza quasi tre miliardi di euro. In particolare, questi fondi sono finiti ai colossi Leonardo-Finmeccanica, Airbus, Thales. Le stesse aziende che stanno perdendo terreno sul piano dell'industria bellica in senso stretto. Il dispendio di risorse pubbliche dovrebbe almeno preservare un settore dell'industria che produce - insieme alle armi, ai muri e alla “sicurezza – anche fatturati a nove zeri e posti di lavoro. Ma la storia recente ha messo ancora più in dubbio le possibilità che quest'operazione arrivi ad un esito “positivo”.
Lo insegna il caso di Calais. Città simbolo dell'ascesa dei nazionalisti del Front National, è stata, dal 2008 all'ottobre 2016, il luogo che ha ospitato la più grande baraccopoli di Francia: la Giungla di Calais. Il giorno dello sgombero, il 26 ottobre, si stima che nel campo ci fossero, tra i 6.400 e gli 8.300 profughi, ognuno di loro intenzionato a raggiungere l'Inghilterra via battello o a bordo di un camion. A decine, in questi anni, sono morti nel tentativo di attraversare l'Eurotunnel. La questione Calais, però, è sempre stata una questione di sicurezza nazionale per le due potenze coinvolte. E le soluzioni prodotte hanno sempre chiamato in causa l'industria della sicurezza, che ha avuto accesso a grandi finanziamenti sia a Parigi, sia a Londra. Un gruppo di attivisti e ricercatori composto dall'associazione locale Passeurs d'hospitalité, il movimento europeo Calais Solidarity e l'osservatorio Corporate Watch hanno realizzato un sito – calaisresearch.noblogs.org – in cui sono mappate le oltre quaranta aziende del settore che lavorano a Calais. La principale si chiama Vinci, una multinazionale delle costruzioni. La sua controllata Vinci Euorvia ha realizzato, dicono i ricercatori, il muro che il governo inglese ha pagato 3,2 milioni di sterline e che il governo francese ha supervisionato. La prima pietra è stata depositata il 20 settembre dello scorso anno, l'ultima l'11 dicembre. E nel frattempo i francesi hanno smantellato la Giungla, ricollocando in Gran Bretagna solo meno di mille minori non accompagnati. L'anno prima Parigi aveva già messo 15 milioni per sistemi di sicurezza per l'Eurotunnel. La britannica Jackson's Fancing ha scritto sul suo sito a febbraio 2016 di aver vinto l'appalto per realizzare 9,6 chilometri di recinzione e 41 porte d'accesso all'imbocco del Tunnel della Manica. La L3 Communications, colosso americano dello scanning, ha realizzato le macchine usate dagli agenti inglesi alla frontiera per i controlli a raggi X. La francese Thales sta cercando di ottenere le autorizzazioni per un controllo attraverso i droni dell'Eurotunnel. Insomma, Calais per l'indotto delle aziende della sicurezza anglo-francesi vale milioni di euro.
Mentre Vinci Eurovia innalzava l'ultimo muro inglese in terra francese, però, a Londra accadeva un fatto che avrebbe sconvolto la vita del Paese all'interno dell'Unione europea: la Brexit. La procedura d'uscita della Gran Bretagna dall'Ue ha inevitabilmente raffreddato alle due sponde della Manica. Così questo complesso dell'industria della sicurezza è diventato nuovo motivo di tensione: dove si faranno i controlli dei migranti irregolari? Chi pagherà le spese di mantenimento del sistema di controllo? L'elezione di Emmanuel Macron complica ulteriormente il quadro: ancora in campagna elettorale, ha promesso che avrebbe rivisto con i vicini oltre Manica l'accordo sulla gestione delle frontiere, chiamato Trattato di Le Touquet, la città francese dove è stato siglato. In pratica, il trattato permette agli agenti di frontiera inglesi di effettuare i controlli sul suolo francese. All'epoca – correva l'anno 2003 - si stimava che gli ingressi in Gran Bretagna di migranti irregolari caricati sui camion fosse di 200 alla settimana, cifra ampiamente superata nel corso degli anni. La Brexit, per il presidente francese, seppur sul piano legale non infici l'accordo, sul piano politico lo rende impraticabile. Un problema per Theresa May: Londra ha pagato l'ultimo muro francese e sborsa ogni anno 80 milioni di euro per la sicurezza di Dunkerque e Calais pur di evitare i profughi sul suolo inglese. Invece che costruire un sistema più equo e giusto per la gestione dei richiedenti asilo, i Paesi europei hanno riempito di soldi altri Stati membri (in questo caso la Francia, ma vale anche per l'Italia e la Grecia) affinché si gestissero loro il problema. Soluzione impraticabile. L'industria, in ogni caso, ringrazia.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 29 di Maggio - Giugno 2017: "Non è un Paese per giovani
Fonte: Attac

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