La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 30 dicembre 2015

Il Front National è un puro prodotto della Quinta Repubblica

di Alessandro Simoncini
In questa breve intervista, Jacques Rancière analizza il successo elettorale riportato dal Front National al primo turno delle recenti elezioni amministrative francesi. Ritorna così, attualizzandoli, su temi già affrontati nei suoi testi filosofico-politici più importanti (come La Mésentente, Galilée, 1995; trad. it. Il disaccordo, Meltemi 2007; La Haine de la démocratie, La Fabrique, 2005; trad. it. L’odio per la democrazia, Cronopio, 2007): la crisi della democrazia, la critica della professionalizzazione della politica e la ricerca di nuove regole della rappresentanza, come il limite di mandato per le cariche di governo e il sorteggio quale strumento per deciderle in comune. Lo sfondo delle sue parole resta la celebre distinzione tra “polizia” (police) e “politica” (politique) tracciata nelle pagine de Il disaccordo, dove i sistemi politici attuali vengono intesi come regimi tecnocratici ed oligarchici che mantengono l’esigenza di una giustificazione egualitaria.
Di qui l’affermazione di una democrazia meramente elettorale, ridotta di fatto al solo voto; di una “postdemocrazia”, cioè, che Rancière descrive nel testo come la “pratica governamentale e la legittimazione concettuale di una democrazia del post demos, una democrazia che ha eliminato l’apparenza, il resoconto e il conflitto del popolo, ed è dunque riducibile al solo gioco dei dispositivi statali e delle mediazioni tra energie e interessi sociali” (J. Rancière, Il disaccordo, p. 115).
Nelle post-democrazie l’agire politico diventa così un affare per persone competenti, un’attivita di police – appunto – che si concretizza nell’amministrare i rapporti sociali e nell’assegnare il proprio posto a ciascun soggetto. È la polizia che stabilisce “il conto delle parti”, fissandolo nell’ordine politico grazie al lessico dei diritti e della rappresentanza. Così facendo essa instaura una “cultura del consenso (la “logica consensuale” di cui Rancière parla nell’intervista, ndr) che ripudia gli antichi conflitti, abituando a oggettivare senza passione i problemi che a corto e a lungo termine le società incontrano, a chiedere soluzioni agli esperti e a discuterle con i rappresentanti qualificati degli interessi sociali” (J. Rancière, L’odio per la democrazia, p. 91). La politica, al contrario, si manifesta per Rancière solo quando la distribuzione delle parti viene riconfigurata dalla soggettivazione conflittuale di quelli che egli chiama “i senza-parte”: “la politica esiste laddove il conto delle parti e degli elementi della società viene scombinato dall’inclusione di una parte dei senza-parte. La politica inizia quando l’uguaglianza di ciascuno con chiunque si traduce in libertà del popolo” (J. Rancière, Il disaccordo, p. 133).
Esempio di politica sono allora i movimenti richiamati nella presente intervista per dichiararne lo scacco, ma anche per rivendicarne la necessaria (in)attualità: quelli spagnoli e greci o quelli che precedentemente hanno portato all’occupazione dei luoghi intorno a Wall Street e di Gezi Park, oltre che alle cosiddette “primavere arabe”. Tutti movimenti nei quali – sia pure in modi diversi – si è avuta “la manifestazione del potere di coloro che non hanno alcun titolo per esercitare il potere” (dice Rancière in un’altra intervista: qui). In altri termini si è trattato di movimenti che, pur senza riportare successo politico, ci hanno ricordato “che la democrazia è vivente quando inventa le proprie forme di espressione e che [essa] riunisce materialmente un popolo che non è più frantumato in opinioni, gruppi sociali o corporazioni, ma è il popolo di tutti e di non importa chi” (ivi). Un popolo che si soggettiva, cioè, nel contrastare la deriva spoliticizzante della post-democrazia, vale a dire della police e del suo “conto delle parti”; e che in base al principio dell’uguaglianza radicale punta a praticare un’“autonomia popolare” fatta di “forme di vita, di organizzazione e di pensiero in rottura con l’ordine dominante”: un compito di lungo periodo quest’ultimo, la cui realizzazione richiede – per Rancière – l’indispensabile scoperta di “forme politiche capaci di durare nel tempo” (ivi).

Intervista a Jacques Rancière di Éric Aeschimann

È stato sorpreso dalla portata dell’avanzata del Front national?
"Non mi piace giocare a fare il profeta, ma nel 1997 avevo scritto un testo satirico intitolato Sept règles pour aider à la diffusion des idées racistes en France (trad. it. Sette regole per l’aiuto alla diffusione del razzismo in Francia, in “Deriveapprodi”, 14, 1997). Lì mettevo a nudo il doppio gioco dei politici, dei giornalisti e degli intellettuali che stigmatizzavano il FN e i suoi elettori pur diffondendo le sue idee, e soprattutto rilanciando l’ossessione del “problema”-immigrati. In seguito si è fatto di meglio. Alcuni intellettuali, sedicenti “di sinistra”, hanno agevolato il rinnovamento dell’ideologia del FN arruolando la République, la laicità, l’universalismo e l’uguaglianza dei sessi al servizio della stigmatizzazione dei “barbari”. E i partiti di governo, che hanno permesso la distruzione del tessuto industriale e delle solidarietà sociali, hanno preso il sopravvento con le loro campagne “repubblicane”. Quando tutte queste persone dicono “siamo il solo bastione contro l’FN”, non mi stupisco del numero di quanti pensano che, tutto sommato, gli assalitori possano forse essere preferibili a questo bastione."
Di fronte a un simile disastro, si può ricostruire la sinistra?
"Se chiamiamo “sinistra” ciò che gravità intorno al PS e ai suoi parassiti istituzionali e culturali, non vedo come possa rimediare, più della destra che gli fa da pendant, alla situazione che essa stessa ha creato. Non si è mai vista una classe di governo suicidarsi. Nel lungo periodo la speranza non può che venire da forze popolari nuove, che si sviluppino in modo autonomo, con proposte, forme di discussione e di azione ben diverse da quelle delle agende politiche fissate dai partiti di Stato e rilanciate dai media ."
Le esperienze di mobilitazione all’estero – Syriza, Podemos, Occupy Wall Street non vi appaiono come fonti di speranza?
"Il “movimento delle piazze” ha posto l’esigenza di questa autonomia radicale in rapporto alle agende di Stato e a quelle mediatiche. Però non ha trovato i mezzi per inserirsi nel tempo o, in quel momento, è stato recuperato dalla logica parassitaria della “sinistra della sinistra”."
Lei non crede alla possibilità di ricostruire la sinistra nel quadro attuale?
"Non vedo come questo quadro potrebbe cancellare gli effetti che ha prodotto. Il FN è un puro prodotto del sistema della Quinta Repubblica, che permette a un partito minoritario di governare senza intralci per poi lasciare periodicamente il posto al partito rivale. IlFront ha saputo occupare il posto che il cosiddetto sistema “maggioritario” e la professionalizzazione della politica lasciano vuoto: quello dell’escluso del sistema. La regola del gioco, concepita per permettere alla classe politica di governare tranquillamente, non ha solamente prodotto l’effetto elettorale opposto a quello ricercato. Essa ha anche annichilito la vita politica democratica e le energie militanti capaci di resistere. La sinistra di governo, i media e la classe intellettuale sono forse pronti a chiedersi: “che mondo stiamo costruendo”? Solo una strada politica in cui il sorteggio abbia la sua parte e in cui i governanti restino tali per un tempo limitato potrebbe interdire situazioni simili a quelle che oggi conosciamo."
Ma non c’è urgenza di agire? Il FN non è una minaccia per la democrazia?
"Non scambiamo le cause per gli effetti. Il successo del FN è un effetto della distruzione effettiva della vita democratica per mezzo della logica consensuale. Si vorrebbe equiparare il FN alle squadre paramilitari di altri tempi, reclutate nei bassi fondi per abbattere il sistema parlamentare in nome di un ideale di rivoluziona nazionale. Ma il FN è un partito parlamentare che deve il proprio successo alle contro-effettualità del sistema elettorale in vigore e alla gestione mediatica dell’opinione attraverso il metodo del sondaggio e del commento permanente. Non vedo che cosa potrebbe guadagnare da avventure antiparlamentari e paramilitari mutuate dai movimenti fascisti degli anni ’30. I suoi avversari elettorali sperano di trarre profitto da questa equiparazione. Ma quelli che vogliono “costituzionalizzare” lo stato di eccezione sono forse i protettori della democrazia minacciata? La lotta contro il FN è la lotta contro il sistema che lo ha prodotto (una posizione sostenuta anche in una precedente intervista, qui, ndr)."

*Intervista raccolta da Éric Aeschimann, apparsa il 10/12/2015 su Le Nouvel Observateur, scaricabile qui.

Traduzione e cura di Alessandro Simoncini
Fonte: Tysm.org

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