La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 31 dicembre 2015

Il pianeta può essere salvato?

Esperti di ecologia, salvaguardia dell’ambiente e cambiamento climatico offrono i loro motivi di ottimismo e di angoscia entrando nel 2016.
I due termini “clima” e “cambiamento” sono così regolarmente uniti che semplicemente pronunciarli in coppia – “cambiamento del clima” – sembra in qualche modo oscurare il vero peso del fenomeno che descrivono, per non parlare delle sue conseguenze. Ma nei momenti in cui ci si ferma a considerare le ramificazioni dell’attività umana sul pianeta in molte generazioni a venire, le cose possono presentarsi più che cupe. E tuttavia: nell’anno che termina abbiamo visto le nazioni del mondo raggiungere il loro primo accordo su un piano ambizioso per frenare le emissioni, forse il progresso più significativo sinora compiuto riguardo a questo problema.
Ci siamo rivolti ad alcuni eminenti studiosi del cambiamento climatico, della salvaguardia dell’ambiente e dell’ecologia e abbiamo chiesto loro che cosa, mentre la Terra inizia ancora un altro giro attorno al sole, dà loro motivo di speranza e di angoscia. Di seguito ci sono le risposte, leggermente riviste a fini di brevità e di chiarezza.

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Robert Glennon: docente di diritto e politica pubblica presso l’Università dell’Arizona

Motivo di angoscia: Mi angoscia che non consideriamo l’acqua scarsa e preziosa. Un secolo di leggi e regolamenti lassisti sull’acqua ha viziato la maggior parte degli statunitensi. Apriamo il rubinetto e vien fuori tutta l’acqua che vogliamo per meno di quanto paghiamo per la televisione o il cellulare. Quando la maggior parte degli statunitensi pensa all’acqua la considera simile all’aria: infinita e inesauribile. In realtà è finita ed esauribile.

Poiché non rispettiamo l’acqua come importante ne utilizziamo quantità inutili per scopi frivoli, come far crescere erba nel deserto. E poiché non paghiamo il costo reale dell’acqua (solo il costo dell’infrastruttura di distribuzione) cancelliamo l’incentivo alla conservazione. Cosa forse più importante, la nostra economia dell’innovazione ha incoraggiato ingegneri e inventori a creare tecnologie di risparmio dell’acqua che aumentano la nostra fornitura, ma il prezzo dell’acqua è così basso che poche di esse hanno piani economici realizzabili.

Motivo di speranza: Abbiamo una serie di opzioni per affrontare la crisi e impedire che diventi una catastrofe. Tali opzioni includono la protezione dell’ambiente, che resta l’obiettivo più a portata di mano; il riutilizzo degli effluenti municipali e la desalinizzazione dell’acqua oceanica o salmastra. Possiamo anche aumentare sensibilmente il prezzo dell’acqua per incoraggiare il risparmio, proteggendo contemporaneamente l’accesso all’acqua da parte delle persone di mezzi modesti. Infine possiamo usare il potere delle forze del mercato per incoraggiare una modesta riallocazione dell’acqua da utilizzi di basso a utilizzi di alto valore. Una bassa riduzione percentuale a una sola cifra nel consumo agricolo dell’acqua risolverebbe il problema della fornitura e civile e industriale di essa. La modernizzazione dei sistemi di irrigazione agricoli, pagata dalle città e dall’industria, proteggerebbe la sopravvivenza delle comunità locali e assicurerebbe la fornitura necessaria al settore urbano.

Nessuna di queste opzioni richiede un cambiamento radicale del nostro comportamento, ma esse richiedono il coraggio morale e politico di agire.

Margo Oge: ex direttrice dell’Ufficio Trasporti e Qualità dell’Aria dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente

Motivo di angoscia: Il cambiamento climatico è la maggiore sfida che il nostro pianeta ha di fronte. I dati scientifici sono chiari, i rischi sono reali e l’impatto del fenomeno su ogni parte del nostro pianeta è sempre più visibile. A metà dicembre quasi 200 paesi si sono incontrati a Parigi per concludere uno storico accordo per ridurre gli impatti della minaccia globale. I negoziatori di ogni singolo paese coinvolto hanno accettato che dobbiamo prendere iniziativa immediate e sostanziali riguardo a questa minaccia. Di ritorno in patria, tuttavia, i Repubblicani del Congresso hanno proseguito nel loro negazionismo ultradecennale. In un rifiuto simbolico dell’urgenza globale del problema, sia la Camera sia il Senato hanno votato per revocare il Piano dell’Energia Pulita del presidente Obama. Per quando i nostri legislatori – poche centinaia di persone – accetteranno finalmente le schiaccianti prove scientifiche della minaccia, sono angosciata che si sarà esaurito il tempo per le generazioni future. Temo che uccidere, o dilazionare all’infinito, i seri tentativi della nazione di mitigare questa minaccia sarà catastrofico: aumento del livello dei mari che inghiottirà nazioni isolane; inondazioni che spazzeranno via cittadine e paesi; ondate di calore e di siccità senza precedenti che distruggeranno raccolti e vite e persino un’instabilità globale che provocherà guerre.

Motivo di speranza: Ciò che mi rende ottimista è vedere il nostro paese assumere un ruolo positivo negli accordi internazionali di Parigi sul clima dopo decenni di riluttanza. Quando gli Stati Uniti si mettono alla guida, altri paesi seguono. Questo significa che gli sforzi statunitensi di garantire forti azioni climatiche a Parigi e in patria avranno un impatto enormemente positivo a livello globale sulle emissioni di carbonio. Gli Stati Uniti, in realtà, sono da molto tempo leader nell’innovazione tecnologica ambientale. Negli anni ’70 sono stati gli standard statunitensi sulle emissioni delle auto a guidare lo sviluppo dei convertitori catalitici. Questi dispositivi sono stati i primi a ripulire la miscela tossica che fuoriesce dai tubi di scappamento delle auto.

Il resto del mondo ha seguito gli Stati Uniti. Oggi non si trovano auto che ne siano prive.

Dopo che abbiamo messo al bando la benzina al piombo, l’Europa e il resto del mondo ci hanno imitato. Nel 2009 abbiamo avviato un nuovo sforzo in prima linea mondiale, norme che tagliano a metà l’inquinamento da carbonio dei mezzi di trasporto e raddoppieranno l’efficienza dei carburanti dei veicoli passeggeri entro il 2025. Per decenni gli sforzi ambientalisti degli Stati Uniti hanno portato a innovazione, salvato vite e creato occupazione. In conseguenza di queste norme la nostra industria automobilistica sta attraversando oggi una rivoluzione tecnologica ed economica. I nostri produttori di automobili stanno costruendo la flotta di veicoli più efficiente della storia dal punto di vista del carburante e sono già avanti in un percorso per raddoppiare l’economia di carburante entro il 2025. Il mondo ha bisogno che gli Stati Uniti proseguano nel loro ruolo guida, e lo amplino, riguardo alla mitigazione del cambiamento climatico.

Peter Singer: professore di bioetica all’Università di Princeton

Motivo di angoscia: Una cosa che mi porta quasi alla disperazione è il fatto che proprio mentre in occidente pare che abbiamo girato l’angolo per quanto riguarda l’alimentazione a base di carne e l’allevamento – entrambi sono oggi in declino – la riduzione delle sofferenze degli animali e delle emissioni di gas serra è travolta dalla crescita del consumo di carne in Cina e in altre parti dell’Asia. Ciò nonostante non dispero, perché la situazione non è priva di speranza. Fintanto che c’è una speranza di cambiamento per il meglio sono troppo occupato a realizzare tale cambiamento per perdermi nella disperazione.

Motivo di speranza: Sempre più persone cercano realizzazione nelle loro vite abbandonando lo stile di vita consumistico e invece vivendo in conformità con i loro valori. Il movimento emergente noto come altruismo efficace è uno dei risultati di ciò e sta avendo un impatto. Sono incoraggiato dall’enorme progresso compiuto negli ultimi venticinque anni nel ridurre la povertà estrema e nel migliorare l’aspettativa di vita in tutto il mondo. Se continuiamo a dedicare risorse – la nostra intelligenza, le nostre competenze e il nostro denaro – a usare la ragione e l’evidenza per rendere il mondo un luogo migliore, allora ho fiducia che possiamo fare ancora altri progressi nei prossimi 25 anni.

Elizabeth Marino: Assistente di antropologia all’Università Statale dell’Oregon

Motivo di angoscia: Da antropologa che lavora con le comunità indigene degli Stati Uniti è difficile non considerare il cambiamento climatico come un’altra ondata di violenza intrinseca all’ideale colonialista. Geografie colonizzate come le comunità in Alaska, i piccoli stati nazione del Pacifico e le grandi nazioni dell’Africa Sub-sahariana condividono tutte i più pesanti fardelli di un clima in rapido cambiamento; condividono tutte le vulnerabilità a quei cambiamenti prodotte da sistemi economici e politici ingiusti e sono tutte limitate nelle loro espressione sociale e culturale dalla meschinità intellettuale di ciò che è considerato culturalmente accettabile dall’”Occidente”. Questi fardelli fanno tutti parte dell’ingiustizia climatica.

Ma anche ignorando questa nuova forma di violenza coloniale, sono angosciata perché, più di ogni altra crisi, il cambiamento climatico necessità di modelli culturali alternativi per inquadrare i problemi e di soluzioni non occidentali. Sfortunatamente molti accettano come “naturale” soltanto un insieme di idee nate da visioni del mondo “occidentali” molto particolari: la necessità della crescita; il valore monetario come determinante del valore intrinseco; la dicotomia natura/cultura; la competizione come motore della produzione; “correzioni” tecnologiche come fondamentali. Sono angosciata quando le soluzioni e la retorica che circondano la mitigazione del cambiamento climatico e la giustizia climatica sono radicate in questi presupposti, quando il mondo resta meschino.

Motivo di speranza: Il resto del mondo sta ribattendo. Vediamo organizzatori che usano hashtag quali #pachamama, #indigenouscop21, #AOISIS e #indigenousenviromentalnetwork. Stiamo avendo crescenti collaborazioni innovative tra scienziati e leader nativi americani e vediamo alleanze e organizzazioni politiche internazionali non a base statale e sostegno da parte di leader non occidentali. Sarà un secolo interessante.

Juliet B. Schor, docente di sociologia al Boston College

Motivo di angoscia: Angoscia? Sì, c’è. Non perché io non pensi che alla fine avremo un mondo a basso o zero carbonio. Ce l’avremo. Ma come ci si può non angosciare per la distruzione certa che abbiamo già garantito con il riscaldamento e il caos che sono ora radicati nel sistema climatico? L’inondazione di quest’anno nella città di mio marito di Chennai è arrivata ai secondi piani, con più di 1,8 milioni di persone sfollate. Nel giro di ventiquattro ore ci sono stati quasi 11 pollici [28 centimetri] di precipitazioni. La California resta nella morsa di una siccità possente. A Boston ci sono 60 gradi [Fahrenheit = 15,5 gradi Celsius] in dicembre, in quello che probabilmente l’anno più caldo mai registrato al mondo, un record che potrà essere eclissato tra dodici mesi. E per tutto il tempo la politica dell’odio cresce, come cresce il livello dei mari.

Motivo di speranza: COP21, le conversazioni dell’ONU a Parigi, finite con un certo grado di speranza che non ha precedenti nel mondo del clima. Nonostante l’assenza di un accordo vincolante o di promesse circa le emissioni che abbiano una qualche speranza di evitare la catastrofe, c’è stato un ottimismo quasi delirante, persino da parte di molti attivisti del clima. (Non da parte di tutti, naturalmente. James Hansen e Bill McKibben sono stati espliciti nella loro critica della debolezza del trattato, e hanno ragione).

Ma trovo quattro motivi principali per coltivare speranza. Il primo è che la Cina sta agendo con decisione per ridurre le emissioni da carbone. Il secondo è che l’energia rinnovabile è oggi un’alternativa economicamente attuabile ai combustibili fossili e lo sarà ancor di più se potremo eliminare i 450 miliardi di dollari l’anno di sussidi ai combustibili sporchi. Il terzo è che le imprese dei combustibili fossili sono senza dubbio sulla difensiva. Dalla cancellazione della conduttura Keystone XL all’inchiesta governativa sull’insabbiamento da parte della Exxon della sua stessa ricerca sul clima, il comportamento di questa industria è finalmente allo scoperto. Vero, è tuttora molto potente nel Congresso, ma la combinazione di scienza, economia e denuncia sta suonando la campana a morto per l’industria. Come abbiamo già visto con il carbone, prevedo che petrolio e gas non sopravvivranno alla pressione montante per “tenerli sottoterra”. E questo mi porta al mio quarto motivo di speranza: la crescita di un movimento globale di base per la giustizia climatica e la saggezza ecologica. C’è voluto molto tempo per noi per arrivare qui, ma ora è inarrestabile.

Robin Bronen, direttore esecutivo dell’Alaska Institute for Justice e ricercatore scientifico anziano presso l’Istituto di Biologia Artica dell’Università dell’Alaska, Fairbanks

Motivo di angoscia: Vivendo in Alaska, il solo stato artico degli Stati Uniti, sono testimone dell’accelerazione dell’orologio geologico. La mia angoscia aumenta mentre osservo il collasso dell’ecosistema artico. L’Accordo sul Clima recentemente negoziato a Parigi include un linguaggio di aspirazioni a limitare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi Celsius.

Ma in Alaska le temperature invernali sono già aumentate di 3,5 gradi Celsius dal 1975. Neve e ghiaccio, elementi iconici del territorio e del mare artico, stanno scomparendo. L’inverno del 2014-15 è stato la stagione con minor neve mai registrata ad Anchorage, il più vasto centro urbano dell’Alaska. I ghiacciai stanno perdendo ogni anno 75 miliardi di tonnellate di ghiaccio. Il ghiaccio marino dell’Oceano Artico è diminuito del 36 per cento negli ultimi tre decenni.

Per le comunità indigene dell’Alaska questi cambiamenti sono una minaccia per la sopravvivenza. Kivalina, Shishmaref e Newtok sono tre delle comunità in maggior pericolo. Ciascuna di esse ha scelto il reinsediamento come strategia di lungo termine di adattamento poiché il ghiaccio marino non protegge più le loro comunità da tempeste a livello di uragano che erodono la terra su cui vivono. In presentazioni ad agenzie del governo e al Congresso statunitense, i residenti di Shishmaref lanciano l’appello:

“La scelta di non agire per Shishmaref determina la cancellazione della nostra comunità. Siamo unici e abbiamo bisogno di essere riconosciuti come tesoro nazionale dal popolo degli Stati Uniti. Meritiamo l’attenzione e l’aiuto del popolo statunitense e del governo federale … Shishmaref, meritiamo di essere salvati”.

Grazie a sforzi intensi e protratti di difesa, il Segretario all’Interno Sally Jewell e il presidente Obama si sono recati in Alaska l’estate scorsa. Nonostante queste visite nessuna comunità sa quando o se sarà in grado di reinsediarsi su terre più elevate per proteggere il proprio unico stile di vita e il proprio collegamento con la terra degli avi. La grossolana ingiustizia della loro esperienza accresce la mia angoscia perché quelli che hanno fatto meno per causare la nostra crisi climatica stanno sopportando perdite enormi. La loro esperienza dimostra anche che siamo del tutto impreparati a reagire alla crisi umanitaria che sarà causata dal fatto che l’aumento del livello dei mari caccerà milioni di persone dalle loro case, dal loro retaggio e dai luoghi che amano.

Motivo di speranza: La solidarietà – il riconoscimento che tutti gli esseri umani sono collegati tra loro e con la Terra – mi dà speranza. Questa comprensione che siamo un unico popolo che vive su una patria condivisa è radicata nel movimento per la giustizia climatica.

L’Artico, l’annunciatore di questi spettacolari cambiamenti climatici, ci ricorda questo collegamento. Il ridotto ghiaccio marino dell’Artico colpisce la corrente polare e contribuisce alle siccità in California e gli eventi epici di inondazioni e precipitazioni nevose a latitudini più basse. Lo scioglimento della Groenlandia minaccia comunità costiere di tutto il mondo. Più del 50 per cento della Groenlandia si stava sciogliendo nel luglio del 2015. In proteste in tutto il pianeta, le persone si riuniscono, attraverso paesi, nazioni indigene, etnie, età, generi e classi per pretendere che i nostri diritti umani siano protetti, che gli ecosistemi della Terra siano protetti e che a quelli che sono i meno responsabili della nostra crisi climatica siano fornite le risorse per adattarsi e proteggere le loro vite.

Gernot Wagner: capo economista presso l’Environmental Defense Fund [Fondo per la difesa dell’ambiente]

Motivo di angoscia: Il cambiamento climatico. E’ il problema perfetto: più globale, più a lungo termine, più irreversibile e più incerto di ogni altro problema di politica pubblica che abbiamo di fronte. Il cambiamento climatico è molto peggiore di quanto la maggior parte di noi si rende conto. Quasi indipendentemente da ciò che facciamo sul fronte della mitigazione, siamo destinati a un mucchio di sofferenza.

Sul fronte della politica sono ormai vent’anni che parliamo di come dobbiamo far invertire la rotta a questa nave “entro un decennio”. Non diversamente dalla tecnologia sempre elusiva della fusione, ciò non è ancora accaduto. Le emissioni globali di carbonio sono diminuite leggermente quest’anno – la prima volta senza una recessione globale – ma le tendenze puntano tuttora nella direzione sbagliata. Peggio ancora, far invertire le emissioni è solo il primissimo passo. Non è sufficiente stabilizzare l’acqua che scende nella vasca da bagno quando l’obiettivo è evitare che la vasca trabocchi. Dobbiamo far fare marcia indietro alle concentrazioni atmosferiche di gas serra. Ciò significa chiudere il flusso di acqua nella vasca, portare le emissioni nette a zero e sotto zero. Non aiuta i nostri sforzi il fatto che molti sembrino confondere le due cose. Uno studio che ha coinvolto 200 laureandi del MIT posti di fronte alla stessa domanda ha rivelato che persino loro confondono le emissioni e le concentrazioni, l’acqua che scende nella vasca e il livello dell’acqua in essa. Se studenti del MIT non sono in grado di capirlo, quale speranza c’è per il resto di noi?

Motivo di speranza: Il cambiamento climatico. Molti segni indicano un certo slancio reale per affrontare finalmente questa sfida epocale.

L’Accordo di Parigi sul Clima costruisce fondamenta importanti. Mette in grado trasparenza, responsabilità e mercato di contribuire a risolvere il problema. Molti governi stanno passando a imporre un prezzo al carbonio: dalla California alla Cina, dalla Svezia al Sudafrica assistiamo a iniziative ambiziose per frenare le emissioni in circa 50 giurisdizioni. Nel frattempo molto sta accadendo sul fronte dell’energia pulita. Ciò è particolarmente vero per quanto riguardo l’energia fotovoltaica solare, che ha scalato la curva di apprendimento – e sceso quella dei costi – più rapidamente di quanto ci si sarebbe aspettato solo cinque anni fa. Ciò ha anche offerto un importante impulso alla politica climatica razionale. C’è poi la Ricerca e Sviluppo nel campo di tecnologie interamente nuove. Bill Gates, alla guida di una coalizione di investitori con un miliardo di dollari propri, è solo un importante segnale di movimento in quella direzione. L’eccitazione per i veicoli elettrici senza guidatore è palpabile su e giù per la Silicon Valley, per citare soltanto un esempio potenzialmente significativo. Alla fine è precisamente la combinazione di Silicon Valley, Wall Street e, naturalmente, di Washington che condurrà – e in parte sta già conducendo – alla rivoluzione necessaria in numerosi settori importanti, l’energia e i trasporti tra di essi.

Rebecca J. Rosen è caporedattrice presso ‘The Atlantic’ dove sovrintende al Business Channel. In precedenza era condirettrice di ‘The Wilson Quarterly’.

Adrienne Green e Li Zhou fanno parte della redazione di ‘The Atlantic’.

Alana Semuels è una giornalista del ‘The Atlaantic’. In precedenza era corrispondente nazionale per il ‘Los Angeles Times’.

Bourree Lam è condirettrice del ‘The Atlantic’. In precedenza era direttrice di Freakonomics.com.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

Originale: The Atlantic
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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