La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 18 dicembre 2015

Possono?

di Dan Hancox 
“Ho la sconfitta tatuata nel mio DNA”, ha detto l’anno scorso Pablo Iglesias in un dibattito televisivo, un mese dopo aver annunciato la formazione di una nuova entità politica chiamata Podemos. “Il mio prozio fu assassinato. Mio nonno fu condannato a morte e trascorse cinque anni in carcere. Le mie nonne subirono l’umiliazione dei vinti nella guerra civile. Mio padre fu incarcerato. Mia madre fu politicamente attiva nella clandestinità. Mi secca moltissimo perdere, non lo sopporto. E ho trascorso molti anni, con alcuni amici, a dedicare quasi tutta la nostra attività politica a pensare a come poter vincere”.
La Spagna va alle urne il 20 dicembre in quelle che saranno elezioni storiche. Dagli anni ’80 le elezioni generali in Spagna sono una corsa a due tra il conservatore Partido Popular (PP) e il Partido Socialista Obrero Español (PSOE) di centrosinistra.
Il PP ha vinto le elezioni più recenti, nel 2011, con il 44,6 per cento dei voti; il PSOE ha ottenuto il 28,8 per cento. Ma a dicembre la somma della percentuale di voto dei due partiti difficilmente supererà il 50 per cento. I due nuovi contendenti sono Podemos e i populisti di centrodestra Ciudadanos. Ciudadanos hanno avuto risultati migliori nei sondaggi pre-elettorali, ma Podemos è al centro dell’attenzione sin dalla sua creazione e stupefacente ascesa nel 2014. Come Syriza, ha dato forma organizzativa a un nuovo populismo europeo di sinistra. Alle elezioni europee del maggi0 2014, con un minuscolo bilancio finanziato collettivamente (crowdfunding) e solo quattro mesi di esistenza, ha conquistato 1,2 milioni di voti e cinque membri del parlamento europeo. Alla fine dell’anno nei sondaggi era avanti ai due partiti tradizionali.
Le radici di Podemos risalgono all’enorme protesta degli indignados nel 2011 contro il sistema politico spagnolo dopo la crisi finanziaria globale del 2008. La crisi ha lasciato un quarto delle famiglie spagnole sotto la soglia della povertà e una maggioranza del resto guadagna non più di mille euro il mese; 400.000 famiglie sono state sfrattate nei successivi cinque anni, mentre più di tre milioni di case restano vuote. La disoccupazione è salita sopra il 26 per cento e sopra il 60 per cento per i giovani tra i 16 e i 24 anni; una percentuale considerevole dei laureati spagnoli ha lasciato il paese per gli Stati Uniti e l’Europa Settentrionale. Nel 2012, sotto la guida della Troika, il primo ministro Mariano Rajoy, che dirige il PP dal 2004, ha attuato profondi tagli all’occupazione nel settore pubblico e alla spesa pubblica, introducendo contemporaneamente riforme per rendere più facile licenziare i dipendenti.
La dirigenza spagnola, nel frattempo, ha prosperato. Il mercato dei beni di lusso è esploso e le aliquote delle imposte sulle imprese sono precipitate: le entrate sono calate dai 40 miliardi di euro del 2007 ai 22 miliardi di euro del 2012, mentre le entrate dalle imposte sul reddito sono salite di 10 miliardi di euro. I telegiornali serali spagnoli sono stati dominati da scandali di corruzione che hanno colpito entrambi i principali partiti, la magistratura, i sindacati, la famiglia reale e un gran numero di imprese del settore privato. Pochi di questi scandali sono sfociati in processi, per non parlare di condanne. Non sorprende che una nuova formazione politica sia emersa a sfidare la compiacenza e la corruzione di politici, banchieri, reali, baroni di media e giudici; la dirigenza politica ed economica che Podemos chiama “la casta”.
Il progetto Podemos è iniziato con un piccolo gruppo di giovani docenti di politica all’Università Complutense di Madrid – Iglesias, insieme con Luis Alegre, Germàn Cano, Juan Carlos Monedero e Iñigo Errejòn – che erano interessati a come canalizzare l’energia degli indignados. Attingendo alle idee di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe su egemonia e populismo e su quanto alcuni di loro avevano appreso studiando i governi populisti latinoamericani di sinistra, hanno proposto di accantonare i concetti di “sinistra contro destra” o “operai contro padroni” a favore di un contrasto unico: il popolo contro la casta.
Dall’inizio Iglesias e i suoi compagni si erano resi conto che era vitale sapere come agire in un terreno mediatico e politico ostile. Dovevano essere realistici riguardo alla forza egemone del neoliberismo spagnolo e al divario tra ciò che si diceva nelle strade e nelle piazze sulle lotte della vita quotidiana e ciò che arrivava ai media convenzionali. Si è detto molto delle ricerche degli indignados nel settore della democrazia digitale (hanno utilizzato piattaforme quali Reddit per discutere proposte politiche e il forum in rete Plaza Podemos per votarle), ma Iglesias chiarisce di ritenere che la televisione resti “il grande mezzo del nostro tempo”, lo spazio principale in cui sfidare la narrativa e il linguaggio del potere. “Quando i nostri avversari utilizzano termini quali la casta, porte girevoli, ‘berlusconizzazione’ della politica, sfratti, precarietà”, scrive, “stanno riconoscendo lo spostamento della lotta su un terreno che ci favorisce”.
Il gruppo della Complutense ha avviato la sua campagna mediatica nel 2010 con un programma televisivo amatoriale di dibattito, La Tuerka, registrato in un garage in disuso di Madrid e trasmesso su una minuscola stazione locale via cavo, Tele K. La Tuerka (e in seguito Fort Apache) è divenuta il ‘pensatoio’ di fatto del gruppo, e gli ha anche consentito di costruire un considerevole seguito in rete. Il programma era condotto, scrive Carlos Delclòs in Hope is a Promise [La speranza è una promessa], da una troupe di volontari che operava su un set che comprendeva ‘due lunghe tavole con un telo rosso e nero sopra … pareti nere con contenitori per uova incollati sopra per l’acustica. Il suono era costantemente terribile, il montaggio, al meglio, amatoriale’. Jorge Moruno, oggi principale portavoce di Iglesias, che ha lavorato al programma, disse a Delclòs che la sinistra aveva troppo a lungo “cercato rifugio nel calduccio dei propri codici e spazi’ e doveva imparare a far arrivare il suo messaggio agli increduli. La Tuerka permetteva loro di mettere alla prova idee, introdurre (e addestrare nel processo) i promotori della nueva politica: accademici, giornalisti, avvocati, attivisti e membri del sindacato, nonché persone come Monedero, Errejòn e lo stesso Iglesias, che finì per essere un ospite sempre più popolare della televisione tradizionale.
Vincere su terreno nemico significava anche rompere quello che Errejòn, oggi segretario politico di Podemos, ha chiamato il “tabù del capo” nella sinistra, l’idea prevalente tra gli indignados che “un leader carismatico sia incompatibile con la vera democrazia”. Errejòn ha gestito la campagna dell’anno scorso per le elezioni europee e – con malcontento di alcuni – ha messo una foto di Iglesias sulla lista, ragionando che in quei primi mesi le sue regolari apparizioni nei talk show politici per sostenere la tesi contro l’austerità avevano reso Podemos e ‘Pablo’ indistinguibili. In un’elezione con così tanti elettori indecisi, poteva fare la differenza. Errejòn ha sostenuto che il ruolo di capo di Iglesias è una costruzione strategica, uno strumento che, lungi dall’usurpare l’egemonia popolare della sinistra, contribuisce a costruirla.
Quando Politics in a Time of Crisis [Politica in tempo di crisis] è stato pubblicato l’anno scorso in Spagna con il titolo Disputar la Democracia, il partito era prossimo a superare il PP nei sondaggi d’opinione. Ma il grosso del libro è stato scritto nel 2013, quando “Podemos era poco più che una vaga ipotesi, priva di un nome”. In quanto tale, esso delinea la necessità percepita e il contesto storico dell’emersione di un partito come Podemos, ma non dettaglia la piattaforma politica del partito. Nel libro, come in televisione, Iglesias mischia il serio con il giocoso, la teoria politica con la cultura pop. Cita Billy Elliot e The Wire accanto a Francis Fukuyama e David Harvey per discutere la corrosione neoliberista del consenso socialdemocratico postbellico; Game of Thrones accanto a Gramsci per illustrare il significato del potere. Il libro è indirizzato ai “giovani senza un futuro”, la generazione per la quale la vita adulta inizierà con la considerevole difficoltà di lasciare la casa di famiglia.
Gran parte del libro è dedicata a un giro del ventesimo secolo della Spagna e dei suoi palesi precedenti del presente: una successione dure lezioni riguardo all’uso delle crisi da parte dei forti per reprimere i deboli, di compromessi non necessari e del tradimento dei movimenti di massa. Ci sono echi contemporanei dovunque: specialmente, considerata la probabilità di un governo di coalizione dopo il 20 dicembre, in un brano sulla sopraffazione e annessione di partiti marginali nel secondo decennio del novecento per puntellare governi nazionali. Un messaggio è chiaro ovunque: sotto il capitalismo la democrazia è sempre incompleta, e sempre contingente.
Raramente il capitalismo è nominato esplicitamente come nemico ideologico, in parte perché attaccare il capitalismo a testa bassa è identificato con lo stile (fallito) della vecchia sinistra, ma forse anche perché c’è ben poco bisogno di essere espliciti. Fondamentale per Podemos – com’era per gli indignados – è la sensazione che la sovranità democratica della Spagna è stata usurpata dalle forze del capitalismo globale, presentatesi recentemente sotto la forma della Troika, con la collaborazione delle stesse élite economiche e politiche del paese. Quasi a dimostrarlo, nel 2011 il PP e PSOE hanno concordato una riforma costituzionale che rende obbligo legale per il partito che governa la Spagna definire il pareggio di bilancio una priorità rispetto alla spesa e agli investimenti pubblici; nelle parole di Iglesias, formalizzando ‘la vittoria di un’Europa di Hayek”.
Podemos indirizza la sua critica non solo all’austerità europea, ma anche ai fallimenti della soluzione data alla Spagna dopo Franco. Di rilievo quasi quanto ‘la casta’ nel lessico di Podemos c’è el regimen del ’78, un riferimento all’anno in cui fu stabilita la costituzione democratica dopo la morte di Franco nel 1975. L’espressione sottintende disprezzo per l’affievolimento delle differenze tra PP e PSOE negli ultimi trent’anni e per il deficit di democrazia lasciato dal loro dominio. Evidenzia anche il baratro che ha separato la classe operaia radicale organizzata risorta nei tardi anni ’70, in marcia e in sciopero a milioni, e l’accordo concluso tra le classi politiche, la monarchia e i dirigenti sindacali. Non c’era stata né espiazione per i peccati della dittatura né una purga dei torturatori della polizia di Franco. “Nel caso della transizione spagnola”, scrive Iglesias, “non sono stati i democratici a decidere le regole”.
La generazione del 1978 include anche i comunisti (allora potenti). Il Partito Comunista Spagnolo (PCE) era stato legalizzato nel 1977 dal primo leader democratico della Spagna, il conservatore Adolfo Suàrez. Nel convulso pragmatismo del periodo, il leader del PCE, il pioniere dell’eurocomunismo Santiago Carrillo, formò un’alleanza con Suàrez e – assieme a tutti gli altri maggiori partiti e leader sindacali – firmò il Patto della Moncloa del 1977, un pacchetto di austerità economica da imporsi in un periodo di grande disoccupazione e povertà. I comunisti contribuirono a redigere la costituzione del 1978, insieme con rappresentanti del centrosinistra e del centrodestra, nonché dei catalani e dei baschi.
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La formazione di un nuovo partito chiamato Podemos è stata annunciata in una riunione in un piccolo teatro di quartiere a Madrid il 17 gennaio 2014. Era il frutto di un patto improbabile tra Iglesias e il gruppo trotzkista Izquierda Anticapitalista che era piccolo ma disponeva di una struttura nazionale che offriva una base organizzativa per il gruppo della Complutense. Iglesias annunciò che si sarebbe presentato per Podemos alle elezioni europee se cinquantamila persone avessero firmato sul suo sito web: l’obiettivo fu raggiunto nel giro di due giorni. La base del partito creò dei circulos di tipo assembleare, una rete di gruppi convocata su Internet o di persona, definita o dalla geografia o dall’area di interesse o identità: scienza, sport, LGBT, eccetera. Questo modello di “rete distribuita” replicava i metodi sia degli indignados sia dello straordinariamente affermato gruppo attivista per la casa PAH, la cui ex portavoce Ada Colau è stata eletta a maggio sindaco di Barcellona.
Il manifesto di Podemos proponeva di “convertire l’indignazione dei cittadini in cambiamento politico”. Iglesias sollecitò la partecipazione di chiunque si fosse opposto all’austerità e avesse difeso i “diritti sociali” nel corso della crisi. Anche se i sondaggi avevano mostrato costantemente che una considerevole maggioranza della popolazione aveva appoggiato gli indignados, l’exploit di Podemos alle elezioni europee sconvolse l’establishment spagnolo. Mentre il 2014 si esauriva le classifiche del partito nei sondaggi salivano con un ritmo incredibile mentre il PP soffriva l’effetto dei suoi tagli (e dell’impopolarità di Rajoy) e la nomina da parte del PSOE di un leader più giovane e più agile nella persona di Pedro Sanchez non aveva impatto.
Una volta eclissatosi il PP era inevitabile che l’atteggiamento dei media spagnoli nei confronti di Podemos – un misto di attrazione e di scetticismo – cedesse rapidamente il passo all’ostilità; dal volgere dell’anno Podemos ha dovuto far fronte a un sostenuto contraccolpo. Ha avuto risultati deludenti alle elezioni regionali in Andalusia e Catalogna; Syriza, il suo compagno di viaggio, non ha fatto che collassare di fronte alla pressione della Troika; e ha lottato per risolvere una contraddizione fondamentale: le sue origini sono nel movimento di base, senza leader degli indignados, mentre è guidato da un piccolo nucleo centrale di intellettuali. Il rapporto tra il centro e la base si è fatto teso quasi non appena svanita l’euforia per l’iniziale successo del partito. A ottobre 2014 il partito si è alla fine riunito al Palacio Vistalegre di Madrid per votare una struttura formale. Il blocco di Iglesias, Claro Que Podemos, ha affrontato una proposta rivale di una lista che includeva tre dei parlamentari europei del partito intesa, secondo una di loro, Lola Sanchez, a “garantire diversità e prevenire monopoli”. Proponeva tre capi del partito anziché uno solo e delegava più potere decisionale ai circulos. Per Iglesias l’impegno al pluralismo e al decentramento aveva chiari limiti. “Il cielo non si conquista con l’unanimità, si conquista assaltandolo”, ha detto all’assemblea. “Non si sconfigge Rajoy o Pedro Sànchez con tre segretari generali; solo con uno”.
Delle 205.000 persone registrate all’epoca come sostenitori sul sito di Podemos, 112.000 hanno votato le proposte; Claro Que Podemos ha vinto con l’80 per cento dei voti. Ma le tensioni non si sono sopite e ad aprile di quest’anno una delle figure più illustri del partito, Juan Carlos Monedero, si è dimesso. Aveva fatto parte di Claro Que Podemos con Iglesias, ma è risultato aver cambiato idea, sollecitando il partito a “tornare alle origini”, a non perseguire il successo elettorale a ogni costo divenendo “ostaggio degli aspetti peggiori dello stato”. Pur insistendo che Podemos restava “la forza politica più decente”, Monedero era preoccupato che esso stava “finendo in questo tipo di problema perché non ha più il tempo per incontrarsi con i piccolicirculos, essendo più importante ottenere un minuto di spazio televisivo”. La selezione dei candidati di Podemos per le elezioni generali ha determinato altri problemi a livello locale; nella Regione Basca e in Aragona candidati si sono dimessi in gruppo. “Il nuovo Podemos”, ha detto un portavoce, “con la sua struttura verticale che hanno cominciato a costruire a Vistalegre”, aveva messo in atto un metodo “vergognoso e non democratico” nella scelta dei candidati.
Il rapper Nega, del gruppo Chikos del Maìz, un amico personale di Iglesias, ha detto a Delclòs che il problema ha meno a che fare con la democrazia interna del partito che con la moderazione del suo discorso: “Non si possono trattare le persone come imbecilli e passare dal sostegno al reddito base universale a dire ‘Vedremo’, o da dire che dovremmo nazionalizzare settori strategici dell’economia a sostenere Tsipras nel terzo salvataggio ‘perché non aveva altra scelta’. Dove ti posizioni quando dici ai tuoi elettori: ‘No, non possiamo?’”
Tali tensioni sono il sintomo di un’altra contraddizione al centro del progetto di Podemos: il tentativo di offrire uno sbocco al grande pozzo spagnolo del radicalismo non sfruttato, esercitando al tempo stesso una realpolitik brutalmente priva di passione. Nelle pagine di apertura di Politics in a Time of Crisis Iglesias scarta la “malattia infantile” del “sinistrismo” indicando che le vittorie più impressionanti della politica radicale in Spagna dal 2008 sono venute non dai comunisti o da “profeti solitari della purezza rivoluzionaria”, bensì dalla “riformista” PAH, amica delle famiglie, che ha bloccato sfratti, mostrandosi creativa nel suo uso dell’azione diretta, e ha cambiato le leggi sulla casa del paese, e il tutto con il sostegno della vasta maggioranza della popolazione spagnola. Tuttavia nonostante tutto l’ottimismo di Iglesias che esista una maggioranza progressista, essenzialmente socialista nel paese (se solo il partito riuscisse a trovare la formula giusta per inserirvisi) è inimmaginabile che Podemos possa ottenere neppur lontanamente la popolarità della PAH, che ha combattuto leggi sulla casa manifestamente ingiuste nel contesto di una crisi degli alloggi che colpisce tutti (in un sondaggio d’opinione la PAH ha ricevuto il sostegno dell’87 per cento degli elettori del PP). Iglesias, invece, deve tenere insieme una fragile coalizione populista che contiene giovani e vecchi, astensionisti perenni, sostenitori disincantati del PSOE e chiunque altro deluso dalla casta.
La strategia di PP, PSOE e dei loro accoliti nei media per combattere Podemos è stata semplice: enfatizzare i collegamenti delle sue star con Venezuela e Bolivia e continuare a citare Chavez e Castro. L’idea è di etichettare Podemos come vino vecchio in bottiglie nuove, la più recente replica dell’estrema sinistra. I media hanno tentato di far risorgere controversie sulle pronunce di figure di Podemos anni fa sull’importanza di negoziare con l’ETA, in gran parte allo stesso modo in cui i media britannici hanno tentato di infangare Corbyn associandolo ad Hamas o all’IRA. Nella misura in cui questa strategia ha avuto successo, ha aperto la strada a Ciudadanos, come più accettabile “voto per il cambiamento”, per rubare voti centristi a Podemos. L’ascesa di Ciudadanos – aiutata dalla popolarità del suo leader telegenico Albert Rivera – è esattamente parallela al declino di Podemos.
Fondato nel 2006 come partito catalano la cui motivazione principale era opporsi all’indipendenza della Catalogna, Ciudadanos è cresciuto considerevolmente di statura da quando è diventato un partito nazionale un anno fa. Ha ricevuto il 9 per cento dei voti alle elezioni dell’Andalusia in marzo (Podemos ha ottenuto il 15 per cento) e il 18 per cento alle elezioni catalane di settembre. Il partito afferma di aver resuscitato un liberalismo di buonsenso, chiedendo liberalizzazioni, minori tasse e la fine della corruzione, assieme a politiche sociali liberali quali la legalizzazione della prostituzione e della marijuana. Ma dietro la facciata progressista c’è una corrente sotterranea xenofoba e la rivelazione che Rivera è stato un membro del PP per quattro anni, immediatamente prima che Ciudadanos contribuisse a cementare l’idea di essere una versione più giovane e populista del PP. Dopo gli attacchi di Parigi Rivera ha cercato di aggirare il PP sollecitandolo a cambiare le leggi d’emergenza spagnole per consentire la sospensione di media sociali e la chiusura di siti web e account personali.
Nel suo tentativo di estendersi oltre i giovani e gli indignati, Podemos ha trovato giudici, ufficiali militari e persino un membro dell’odiata Guardia Civil per candidarsi al Congresso sotto le insegne di Podemos. Resta da vedere se il partito possa arrivare fino a un’alleanza con il PSOE o persino a entrare in una coalizione a tre con PSOE e Ciudadanos. Forse è più probabile un governo che comprenda PP e Ciudadanos, nel qual caso Podemos dovrà darsi parecchio da fare per evitare di diventare ciò che meno vuole essere: un’opposizione emarginata contro l’austerità, con il 10-15 per cento dei voti e nessun potere. Ma con il successo della piattaforma dei cittadini a Barcellona, Madrid e altrove, le vittorie della PAH e il ricordo ancora recente della grande dimensione e popolarità del movimento degli indignados resta un mucchio di energia nella nueva politica cui attingere da parte di Podemos. La sua sfida alla casta non finirà con queste elezioni, quale ne sia l’esito.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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