La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 20 febbraio 2016

Barcelona en Comú. La rivoluzione nel pensare ed agire la politica

di Flavia Ruggieri 
Il 24 maggio del 2015 sarà ricordato come un giorno memorabile per la politica catalana (e per quella dello stato spagnolo): per la prima volta il movimento sociale che nelle sue varie forme e declinazioni ha occupato piazze, strade ed ogni piccolo rincón del país, ha fatto irruzione nel potere economico-finanziario e politico di Barcellona. Per la prima volta, il bipartitismo Partido Popular (PP) - Partido Socialista Obrero Español (PSOE) che ha caratterizzato la fase democratica della Spagna dagli anni successivi al franchismo fino ai giorni nostri, è stato compromesso. Un fatto significativo, epocale, storico, peraltro accaduto a cinque mesi dalle elezioni generali che hanno avuto il compito di decidere quale partito avrebbe governato il paese nei prossimi anni, governo ancora oggi non costituito per mancanza di una coalizione di maggioranza.
Ma andiamo con calma, la strada è lunga. Partiamo dal 2011, anno in cui il 15 maggio una irruenta forma di mobilitazione inedita invade il tessuto sociale e culturale delle città spagnole. Da Madrid a Barcellona, migliaia sono le persone che scendono in strada; la parola d’ordine esprime un concetto molto semplice: “Nessuno ci rappresenta”, quindi è responsabilità personale e collettiva trasformare la società. In piena campagna elettorale, tale slogan non ha significato un uso cinico degli strumenti della democrazia rappresentativa, al contrario, ha deliberato la fine della delega e creduto fermamente nell’apertura di una fessura, una grieta, da cui far emergere auto-organizzazione e cooperazione sociale. Un movimento che a austerità, disuguaglianza e corruzione del ventennio del conservatore PP (da Aznar a Rajoy) ha contrapposto re-distribuzione, riappropriazione, partecipazione diretta nelle scelte collettive e un cambio di paradigma che ha riguardato tutto il sistema politico.
Da allora, la capitalizzazione di un movimento così ampio ha comportato l’instaurarsi di forme di autogoverno nei quartieri delle grandi e piccole città; le declinazioni territoriali nelle Asambleas de Barrios hanno fatto da giuntura, da cinghia di trasmissione di una deflagrazione centripeta verso una liberazione di energia centrifuga. Una rete coordinata di contropotere, che ha disegnato una nuova architettura politica in risposta alla gestione capitalistica della metropoli; questo ha dato nuovo vigore a vecchie forme di sindacalismo sociale come nel caso della PAH (Plataforma de los Afectados por las Hipotécas) nata nel 2009, e a inedite espressioni di un processo reale costituente, sottile e robusto, lento ma efficace, di cui oggi attraverso Barcelona en Comú, si percepiscono gli effetti. 
A giugno 2014, le formazioni che successivamente apriranno una breccia nel quadro elettorale spagnolo (Guanyem Barcelona che poi diventerà Barcelona en comú e Podemos a Madrid) puntano verso la scommessa municipalista. Ma iniziamo con una precisazione, banale ma non scontata: Barcellona non è Madrid. Catalunya no ès España. Infatti, mentre Podemos compie il salto politico alle europee del maggio 2014, iniziando a destabilizzare il bipartitismo spagnolo a seguito dell’8% di voti guadagnati, l’esperienza di Barcelona en comúinizia in un quadro politico locale alquanto differente. Il processo indipendentista da sempre appoggiato, seppur con clausole estremamente differenti, sia da una forte base sociale che dalle principali forze politiche catalane (dalla destra democristiana liberale CIU ai partiti della sinistra, CUP e Esquerra tra gli altri), diviene il terreno di uno scontro primario che fa dimenticare l’evolversi repentino delle disastrose conseguenze sociali che la gestione neoliberale della crisi ha prodotto: privatizzazioni, tagli, sfratti, una fortissima disoccupazione, giovanile e non.
Il primo dato da valorizzare è dunque la capacità del processo Guanyem Barcelona di entrare in un quadro politico istituzionale completamente distorto e lontano dal dibattito politico sociale e indipendente promosso dalle tante esperienze che, a partire dal 15-M, erano venute alla luce (mobilitazioni per il diritto alla casa, alla salute e all’educazione, per la difesa attiva dei diritti sociali, civili e politici). La distanza siderale tra i bisogni sociali e la politica di palazzo, la definitiva perdita di legittimità delle istituzione ha rappresentato, quindi, il terreno fertile per ampliare e far sedimentare i principi che, in una fase di “eccedenza di movimento”, si erano andati sviluppando negli ultimi anni. L’intelligenza di confrontarsi anche sulla vertenza indipendentista nella rivendicazione del diritto dei cittadini di decidere senza cadere nella sterile trappola tra indipendentismo sociale, voluto dai partiti di sinistra, e indipendentismo economico-finanziario, voluto dalla destra (la Catalogna ha rappresentato nel 2015 il 23% del PIL industriale della Spagna), ha prodotto un ulteriore avanzamento e una complicità sociale che rafforza il processo di Guanyem Barcelona. Ma senza ombra di dubbio è il mantenimento di una formula che ha sempre sostenuto il protagonismo della politica dal basso nel compiere un salto, già di per sé qualitativo per contenuti e idee, verso una precipitazione quantitativa. 
Il processo prospettato e attuato nel tempo da Guanyem Barcelona ha avuto ben poco di campagna elettorale, quanto piuttosto di una vera e propria campagna politica e sociale dove la definizione comune di un programma è passata attraverso la definizione di principi etico-politici invalicabili, cui ogni esponente e carica politica era tenuto/a a sottostare. Governare obbedendo ai principi di democratizzazione della rappresentanza politica, responsabilità politica, trasparenza e riduzione dei privilegi delle cariche politiche, queste sono le principali regole attraverso cui sviluppare e portare avanti il programma politico comune:(https://guanyembarcelona.cat/es/codigo-etico-gobernar-obedeciendo/) articolato sulla base del lavoro svolto da commissioni tematiche, gruppi territoriali e giornate aperte di discussione e decisione. La disarticolazione delle logiche identitarie ed egemoniche tra vecchi e nuovi partiti, che da sempre hanno condannato la politica a sterili sommatorie (soprattutto in fase elettorale), è stata l’essenza di forme organizzative che hanno fatto delle tante ed eterogenee forze accumulate dai movimenti sociali urbani il vero cavallo di battaglia. Il connubio di pratiche politiche tanto care al movimento 15M (quella del confronto reale, della decisione collettiva per via assembleare e dell’uso di piattaforme sociali digitali) e la loro estensione, materiale ed esponenziale, al tessuto sociale indignato dalla politica neoliberale dei vecchi oligarchi di CIU, ha costituito in definitiva la volontà che sostiene questo processo. Una forza che si autoalimenta e si nutre di se stessa, perché la prima vittoria portata a casa ancor prima di vincere l’ajuntamiento de Barcelona è il cambio di paradigma del modo di fare politica, una forma politica partecipata e alternativa alla politica tradizionale [1].
L’adesione alla piattaforma municipale (divenuta nel tempo Barcelona en comù) di altri protagonisti politici qualiEquo, Esquerra Unida, Iniciativa per Catalunya y Verds, Podemos e Proces Constituent ha reso unico questo processo che, per la sua complessità e gli attori in gioco, è stato differente da quello del “solo” Podemosmadrilegno. La comune proposta elettorale, politica e sociale, elaborata mediante campagne come#FemCiutatEnComu (Facciamo la città insieme) hanno permesso di sviluppare le politiche di emergenza applicate nei primi mesi di governo della città (il Plan de Choque) https://barcelonaencomu.cat/es/plan-de-choque-para-los-primeros-meses-de-mandato che nel tempo sono stati articolate in una serie di assi tematici (https://barcelonaencomu.cat/es/documentos-de-los-ejes-tematicos) e che, a loro volta, hanno permesso l’elaborazione definitiva di un programma politico sul governo della città da attuare a medio e lungo termine (https://barcelonaencomu.cat/ca/programa).
Invertire la rotta della gestione neoliberale partendo dalla domanda Qué ciudad soñamos? Qual’è la città che sogniamo? Invertire la rotta dell’espansione degli interessi finanziari sulla città attraverso un processo partecipativo, costituente e programmatico, su linee tematiche che vanno dal diritto all’accesso a tutti i servizi pubblici fino al diritto di opinione e informazione trasparente. Invertire la rotta di pratiche assistenzialiste volte a mantenere lo stato di precarietà esistenziale e, al contrario, promuovere e sviluppare pratiche di riappropriazione sociale del reddito diretto e indiretto. Riduzione della precarietà e della disoccupazione mediante la creazione di posti di lavoro sostenibili, abolizione di contratti precari introdotti dalla riforma del mercato del lavoro PP-PSOE sia per i dipendenti comunali che per coloro che lavorano nelle aziende contrattate dal Comune, monitoraggio ed azioni di controllo, in collaborazione con l’ispettorato del lavoro e in dialogo con i sindacati, delle forme contrattuali utilizzate nelle aziende private, definizione di un salario minimo di 1200 euro al mese, riduzione della giornata lavorativa a parità di salario e introduzione di un sostegno economico per le famiglie sotto il livello di povertà che permetta di raggiungere il 60% del salario medio (570 euro), nonché lo studio dell’introduzione di un reddito garantito catalano [2]
Analogamente, introduzione della garanzia inviolabile dei diritti sociali fondamentali attraverso misure orientate a ristabilire la dignità e l'autonomia delle persone con politiche strutturali e redistributive che consentono la costruzione di un insieme di diritti universali di cittadinanza (diritto alla casa, ai generi di prima necessità, alla salute, alla mobilità, al reddito). Invertire la rotta dell’esternalizzazione dei servizi pubblici mediante processi di nuova internalizzazione e municipalizzazione, incentivare pratiche urbane sostenibili in tema di mobilità ma al contempo garantire un trasporto pubblico per tutti/e, introduzione di tariffe più eque per beni di prima necessità (come ad esempio acqua, luce e gas), aumento dei fondi destinati all’edilizia residenziale pubblica anche attraverso l’espropriazione di appartamenti vuoti di proprietà privata, aumento del fondo sociale per famiglie in situazione di morosità incolpevole, inversione drastica della rotta di trasformazione urbanistica, che determina processi di gentrificazione e segregazione urbana, promovendo un uso degli spazi comuni anche attraverso pratiche di autogestione e cooperative, recupero delle plusvalenze generate dai processi di trasformazione urbana ostacolando i processi di speculazione nei territori (grandi magazzini, alberghi, parking ecc. ecc.) [3]
Invertire il modello economico di accumulazione e aggressione capitalista, affinché l’economia sia al servizio dei cittadini e non il contrario, promuovere la costruzione di una città equa e sostenibile potenziando l'economia cooperativa e implementando modelli di economie fuori dalle logiche del profitto. Lottare contro l’economia del debito (tanto del macrodebito, come del microdebito) promuovendo una revisione del debito pubblico e il rifiuto categorico di pagarne la parte considerata illegittima [4]. Le altre tematiche sviluppate vanno dal diritto ad una salute [5] ed educazione [6] pubblica e di qualità, passando per i diritti dei migranti [7] e le questioni di genere [8], il diritto di opinione e all’informazione [9], diritto alla cultura [10], diritto alla trasparenza e partecipazione [11], alla circolazione libera dei beni digitali[12], a una politica ambientale sostenibile [13], fino al concetto di sicurezza sociale, abbattendo le disuguaglianze politiche, economiche e culturali che sono fonte di insicurezza sociale [14]
In conclusione, l’esperienza di Barcelona en comù è da ritenere un esperimento di formidabile trasformazione, in cui i movimenti non si sono candidati per le istituzioni, ma, al contrario, hanno dato vita a nuovi processi costituenti per costruire nuove istituzioni. Tutto questo in una città non diversa dalle nostre, se guardiamo la violenza del potere e delle politiche neoliberiste sempre più in antitesi con i reali bisogni della gente. 
Nel confronto con la gestione diretta della città in vista della sua trasformazione, la forza di Barcelona en comù è stata quella di consentire un’efficace crescita sociale, di puntare su meccanismi di intelligenza e partecipazione collettiva, di costruire quei meccanismi, direttamente e collettivamente, e di proporli come risposta reale, con tutti i limiti e le contraddizioni da affrontare nella quotidianità.
Purtroppo le metropoli della nostra piccola “Italietta” sono ancora lontane dall’effervescenza sociale che è stata la genesi eziologica della macchina che irreversibilmente si è attivata. E’ evidente che la strada è ancora lunga e in salita. Tuttavia, anche se non ancora nella fase di condivisione di pratiche comuni, sicuramente siamo in quella della condivisione di prospettive politiche comuni. Gli zapatisti dicevano “No corremos, caminamos despacio porque vamos lejos”… Bene, cominciamo da qui.

Riferimenti

[1] Una spiegazione esaustiva dei dispositivi organizzativi si può trovare qui: http://www.euronomade.info/?p=4440














Anticipazione dal Granello di Sabbia n. 23 di Gennaio-Febbraio 2016 "Verso una Nuova Finanza Pubblica e Sociale: Comune per Comune, riprendiamo quel che ci appartiene!" di prossima pubblicazione. 

Fonte: Attac Italia 

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