La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 20 febbraio 2016

Sei anni dopo a Rosarno, dove niente è cambiato

di Alessandra Cecchi
Sei anni fa i braccianti di Rosarno insorsero contro le frequenti violenze subite da mafiosetti e guappi locali, svolte nella completa indifferenza dei “tutori dell’ordine”. Si accesero, in quei giorni, i riflettori sulle condizioni di sfruttamento e di vita a cui i lavoratori migranti erano sottoposti. Si accesero per spegnersi subito dopo.
Da allora niente è cambiato. Oggi la raccolta degli agrumi si svolge esattamente nello stesso modo, come dimostra questo rapporto di MEDU (Medici per i Diritti Umani) sulle condizioni sanitarie, di lavoro e di vita dei braccianti della piana di Gioia Tauro.
Nonostante l’impegno più volte proclamato dal Governo di sconfiggere il caporalato e rilanciare il settore agricolo, la totale assenza di misure concrete implementate nella Piana di Gioia Tauro sta determinando anche quest’anno disastrose condizioni di vita e di lavoro per i braccianti stranieri impiegati in agricoltura.
Dai primi dati raccolti dalla clinica mobile di Medici per i Diritti Umani (MEDU), che da metà novembre 2015 è tornata ad operare nella Piana di Gioia Tauro prestando assistenza sanitaria ai lavoratori stranieri stagionali, emerge un quadro per alcuni versi simile alla stagione precedente.
Dei 109 pazienti visitati (126 visite tra primi e secondi accessi), l’89% ha meno di 35 anni. Si tratta, quindi, di una popolazione giovane i cui principali paesi di provenienza sono Mali (41%), Senegal (17%), Burkina Faso (10%), Costa d’Avorio (10%) e Gambia (9%).
La maggior parte dei pazienti (92%) è dotata di regolare permesso di soggiorno. Di questi, più della metà (57%) è titolare di un permesso per protezione internazionale o per motivi umanitari e il 29% (la maggior parte dei quali del Mali) è in fase di ricorso contro il diniego della Commissione per il diritto d’asilo. Un dato, questo, in forte aumento rispetto alla stagione precedente e determinato dall’incremento del numero di braccianti giunti in Italia da poco tempo: il 33% dei pazienti di MEDU ha dichiarato, infatti, di essere nel paese da meno di un anno; il 27% da uno a due anni. Questa presenza recente nel territorio, unita all’allarmante livello di analfabetismo (il 40% dei pazienti ha dichiarato di non saper leggere e scrivere), non fa che aumentare la vulnerabilità dei lavoratori.
Per quanto concerne l’integrazione sanitaria, il 43% dei pazienti regolarmente soggiornanti non ha la tessera sanitaria. Le patologie più frequentemente riscontrate sono direttamente collegate alle critiche condizioni di vita e di lavoro: sindromi delle vie respiratorie (28%), disturbi gastro-intestinali (22%), patologie muscolo-scheletriche (13%), traumatismi (9%), patologie della cute (9%).
Come negli anni precedenti, la regolarità del soggiorno si scontra con una quasi totale irregolarità delle posizioni lavorative dei braccianti. L’86% dei lavoratori agricoli, infatti, non ha un contratto di lavoro. Un dato costante negli anni, a dimostrazione che poco o nulla si è fatto per sconfiggere il lavoro nero che dilaga nel territorio. La maggior parte dei lavoratori, impiegati per circa 8 ore al giorno, è retribuita a giornata con una paga che oscilla in media tra i 25 euro per la raccolta degli agrumi e i 30 euro per kiwi e olive.
Oltre a non fruire di alcuna copertura assicurativa né del versamento dei contributi, i braccianti ricevono quindi dal 30 al 50% in meno di quanto stabilito dai contratti provinciali del lavoro. Tra i pochi lavoratori che hanno un contratto (11%), la metà non sa se riceverà una busta paga, né se gli saranno versate le giornate contributive corrispondenti al lavoro svolto. Nella totale mancanza di operatività dei centri per l’impiego che dovrebbero garantire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, i braccianti riescono a trovare lavoro nei campi attraverso la “piazza” (52%), cioè l’attesa dei datori di lavoro nelle piazze e nei principali snodi stradali della Piana, o il ricorso al caporale (24%). In tale caso, il lavoratore dovrà farsi carico del costo del trasporto che varia dai 3 ai 5 euro.
Per quanto concerne le condizioni di vita, si riscontrano anche quest’anno situazioni di estremo degrado. Il 45% dei braccianti incontrati da MEDU dorme su un materasso a terra, il 18% direttamente sul pavimento in strutture prive di acqua, luce e servizi igienici. Sono già più di 300 i migranti che trovano rifugio nella fabbrica sita nella zona industriale di San Ferdinando, oggi sovraffollata e in condizioni igienico-sanitarie allarmanti. Stessa sorte per le centinaia di lavoratori che vivono nei casolari abbandonati nelle campagne dei Comuni di Rizziconi, Taurianova e Rosarno, edifici fatiscenti, privi di elettricità (nei casi più fortunati alcuni migranti dispongono di generatori a benzina), di servizi igienici e acqua.
Per quanto concerne le strutture di accoglienza istituzionali, sono già più di mille i migranti che trovano alloggio nella tendopoli di San Ferdinando, a fronte dei 450 posti disponibili. In assenza di un piano di accoglienza chiaro e strutturato sono sorte in questi mesi, accanto alle tende blu approntate dal Ministero dell’Interno, decine di baracche di plastica e cartone. Nel campo continua ad essere parziale l’erogazione di energia elettrica, nonostante la recente manutenzione dell’impianto d’illuminazione. Stessa sorte per i servizi igienici, sistemati quest’anno attraverso lo stanziamento di fondi regionali per 15.000 euro, ma di numero insufficiente rispetto alle reali esigenze del campo ove continua peraltro a mancare l’acqua calda, a cui si provvede attraverso dei bidoni scaldati sul fuoco.
In condizioni igienico-sanitarie precarie versa anche il campo container di Rosarno di contrada Testa dell’Acqua, quest’anno privo di un ente gestore. Il campo sorge in un’area di competenza regionale ma, in assenza di risorse, lo stesso appare sovraffollato e invaso da cumuli di spazzatura che il Comune ha dichiarato di non essere autorizzato a ritirare. Nuovamente rinviata, inoltre, l’apertura del “Villaggio della Solidarietà”, costato quasi due milioni di euro e i cui lavori sono fermi per un’interdittiva antimafia. Unico presidio di accoglienza pare essere il progetto promosso dalla Caritas di Drosi che, ogni anno e senza lo stanziamento di alcuna risorsa, riesce a fornire un alloggio dignitoso a prezzi calmierati a più di 100 lavoratori stranieri facendosi da garante con i proprietari delle abitazioni sfitte.
In assenza di una declinazione territoriale delle misure che il Governo sta predisponendo a livello centrale contro il caporalato, né di politiche che incidano concretamente sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti agricoli, la situazione nella Piana di Gioia Tauro pare peggiorare di anno in anno.
Medici per i Diritti Umani si appella pertanto alle istituzioni nazionali e regionali affinché venga promosso quanto prima un tavolo operativo che sia in grado di mettere in atto misure immediate in tema di lavoro e accoglienza, elementi inscindibili se si vogliono costruire azioni a lungo termine e risollevare le sorti di una Piana che pare, di anno in anno, affondare sempre più nell’illegalità e nel degrado.

Fonte: controlacrisi.org

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