La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 26 febbraio 2016

E con Cosmopolitica siamo al dodicesimo fallimento

di Paolo Andreozzi
Niente. Neppure Cosmopolitica riuscirà nell’impresa. E con questo sono dodici, a sola mia memoria personale (magari stiracchiando un po’ le definizioni – come sto per mostrare), i tentativi (falliti) di fare il benedetto partito radicale e di massa della sinistra in Italia dopo la doccia gelata della bertinottiana Sinistra Arcobaleno, la cui sconfitta elettorale del 2008 espulse dal Parlamento e (che è anche peggio) prese ad emarginare dallo stesso senso comune, in un colpo solo, comunisti, ecologisti, antagonisti e di tutto un po'. Il quale partito – uno nuovo, popolare e intransigente insieme – servirebbe (lo ricordo ai non addetti ai lavori) perché è del tutto evidente che la malattia della Repubblica italiana è da allora sempre più grave, a tal punto che si è ammalata anche la sinistra (trasformatasi in non-radicale oppure ridottasi a non-di-massa, o entrambe le sindromi), invece di esserne la cura.
Ergo: quel partito, con tali caratteristiche, ne sarebbe la medicina necessaria; soprattutto perdurando questa terribile crisi socioeconomica, iniziata anch'essa – ma sarà un caso – nel 2008 medesimo.
I dodici tentativi falliti, Cosmopolitica compresa, sono pertanto altrettanti passi falsi nel cammino che ha come meta la somministrazione della medicina salvavita alla sinistra affinché essa, guarendo, provveda alla guarigione della Repubblica prima che per il paziente – anzi, per entrambi – sia troppo tardi. Ricapitolando, dopo l'Arcobaleno scioltosi al sole abbiamo: la Federazione della Sinistra (2009), Sinistra Ecologia e Libertà (2009), il Popolo Viola (2009/10), A.L.B.A. (2012), Rivoluzione/Azione Civile (2012/13), Ross@ (2013), la Via Maestra (2013), il Partito Comunista (2013/14), l’Altra Europa (2014), Coalizione Sociale (2015), Possibile (2015), Cosmopolitica / Sinistra Italiana (2015/16). Notare di passaggio la soluzione di continuità del 2011, l'anno delle dimissioni forzate di Berlusconi per Monti, di Draghi alla BCE, delle grandi speranze (per chi ama la legalità) e delle grandi paure (lo spread, la temuta bancarotta): per il 2011 gli annali non registrano nuovi start-up nell'infinito e caotico cantiere in oggetto (tranne l'episodio di Se Non Ora Quando, ma fu più che altro una chiamata delle donne della sinistra PD a tutte le italiane), ed è il solo caso – forse perché stavamo un po' tutti a vedere cosa diavolo capitava ancora.
E’ vero, in questa specie di albero genealogico ci sono anche rami un po’ fuori tema. Il Popolo Viola, per esempio, non dichiarò mai di volersi costituire in partito, e nemmeno in soggetto politico dalla natura più sfumata di un partito, tuttavia le istanze radicali (radicalmente aderenti al rispetto della legalità costituzionale) e le ambizioni popolari (comprovate dal richiamo di centinaia di migliaia di persone, almeno nei suoi tempi migliori) le aveva tutte. E A.L.B.A. – Alleanza Lavoro Beni Comuni e Ambiente – altrettanto non si prefiggeva la nascita di un partito, anche se un po’ di organizzazione e di regole interne se le diede, e sempre nell’alveo della militanza civica e dell’intelligencija radical andava a pescare i propri adepti. E pure Ross@, la piattaforma di incontro e confronto tra diverse anime e storie dell’anticapitalismo nostrano, allo stadio di voler seriamente diventare un soggetto politico non ci è mai arrivata (almeno non credo), ma lo stesso la cito in tale contesto per i suoi contenuti indubbiamente radicali e la sua aspirazione se non a rappresentare la classe, almeno ad organizzarne una possibile avanguardia. La Via Maestra, idem dicasi, ha rinunciato subito ad auto-costituirsi in soggetto politico pur, però, intendendo incarnare uno spazio politico per la sinistra civica, associativa, intellettuale e di movimento in quanto – tale sinistra – sentinella di una Costituzione mai veramente applicata in tutta la storia repubblicana. E Coalizione Sociale lo stesso: niente partito (Landini lo ripeteva allo sfinimento in TV – ma nessuno potrà mai dire se la tentazione l’abbia sfiorato o no), ma radicalismo sì e anelito al nazional-popolare eccome, giacché il progetto si prefiggeva nientemeno che connettere tutte le vertenze sociali, sindacali e territoriali anti-neoliberiste presenti sulla scena.
Specificato questo restano comunque ben sette rami, del nostro albero figurato, che un partito o l’hanno fatto o una cosa molto simile o ci stanno ancora provando. La Federazione della Sinistra evolveva da una precedente Lista Comunista e Anticapitalista ed era originariamente formata in proporzioni diseguali dal Partito della Rifondazione Comunista, dal Partito dei Comunisti Italiani, da Socialismo 2000 e dall'Associazione 23 marzo “Lavoro-Solidarietà”; come osservatore, la Rete dei Comunisti. E' stato un partito, o almeno un progetto di partito? Una coalizione, questo sì, con tanto di presentazione a diverse tornate elettorali dalle europee 2009 alle amministrative 2012, con consensi variabili intorno al 3%. Fiore all'occhiello: la marcia dei quarantamila (ben altra, ovviamente, da quella famigerata dei quadri FIAT nel 1980), a Roma il 12 maggio 2012 contro il governo Monti. E poi? E poi finisce tutto, rompendosi sullo scoglio di chi non accettava il Centrosinistra bersaniano (Rifondazione) e chi sì (tutti gli altri). Sinistra Ecologia e Libertà, in tutto e per tutto creatura, quasi un prolungamento collettivo, di uno dei più formidabili oratori dell'area progressista in senso lato degli ultimi lustri: Nichi Vendola, ovviamente. Di tutti e dodici i passi in questione è il meno falso dal punto di vista puramente quantitativo, sia per la mole di consenso elettorale sia per la durata del suo arco vitale ininterrotto; e tanti voti in tanti anni, fanno tanti parlamentari e tanti sindaci e assessori e consiglieri locali (Vendola in persona, governatore della Puglia per dieci anni filati), il che fa tante risorse materiali e anche simboliche da poter gestire per cambiare i rapporti di forza tra destra e sinistra, ossia tra capitale e lavoro, per mutamenti reali nella vita della gente in Italia. Operazione riuscita? Quasi mai, quasi da nessuna parte. 
Qualcosa deve essere andato storto, passo falso comunque. Rivoluzione Civile, nata da una cosa che si chiamava Cambiare Si Può nell’imminenza delle elezioni politiche del 2013 – le prime del dopo-Berlusconi –, proprio alla determinazione dei suoi quadri e del suo leader Ingroia nel non tornare nell’indistinto movimentismo progressista, ma nel creare prima una lista elettorale e poi una sopravvivenza come partito autonomo (Azione Civile), ebbene pagò il dazio di perdere quasi subito, e peggio dopo, molti dei suoi sostenitori iniziali, specie quelli organizzati (partiti, associazioni, comitati). Il risultato è che Azione Civile è un partito di sinistra, abbastanza radicale, senza nessun eletto in alcuna assise democratica nazionale, regionale, locale (o forse locale sì, ma ciò non inficia il ragionamento), e senza più nessuna possibilità di sfondamento nell’opinione di massa – semmai l’abbia avuta. Il Partito Comunista – intendiamo qui l’ultima mutazione del partitino di Rizzo, già dirigente tra i Comunisti Italiani, da essi espulso nel 2009 e fondatore allora di Comunisti Sinistra Popolare – ambisce con la denominazione assunta nel 2014 a ricomporre la galassia comunista nazionale (evocando il PCI storico che sì era di massa ed aveva anche parecchie istanze radicali al proprio interno – in dialettica ora vincente ora meno con altre assai più moderate), e però al momento non riesce nella sfida: infatti Rifondazione Comunista, Partito Comunista d’Italia (nuovo brand del PdCI già citato), Partito Comunista dei Lavoratori e non so più quante altre sigle con la parola ‘comunista’ dentro, restano tutte padrone a casa propria – anche se, dicono, in reciproco ascolto. 
Tutti insieme faranno oggi duecentomila persone, forse, simpatizzanti occasionali compresi. L’Altra Europa (nata con Tsipras nel logo), sorta per portare qualche europarlamentare nel gruppo GUE/NGL al voto del 2014, riusciva nell’opera di superare lo sbarramento del 4% con la crocetta di circa un milione di italiani (8000 voti in meno e l’impresa falliva). Ci riusciva parecchio grazie ai sostenitori di SEL, che aderiva in modo tardivo e ambiguo ma aderiva, e anche di Rifondazione, e pure per gli appelli in suo favore di piccole e medie star dell’opinione pubblica progressista; risultato: tre eletti, e un minuto dopo grandi polemiche. Grandi e dure al punto che l’animatrice originale del progetto, Spinelli, smetteva di riconoscervisi lei per prima, e che da progetto di riunificazione o almeno di facilitazione dell’agognatissima convergenza radicale e di massa diventava poco più di un sito on-line e una firma in calce a sparuti comunicati stampa. E questo è. Possibile è un partito vero e proprio, nel senso che ha un nome e un simbolo (un disco color lampone con un grande segno di uguale, bianco, nel mezzo – non chiedetemi perché), un segretario, Civati, regole interne rese note agli iscritti (circa 5000) e ben cinque deputati in carica, e dunque qualche risorsa economica da mettere a bilancio. Possibile concorrerà alle prossime elezioni amministrative, specie a Milano dove è di stanza il suo vertice, e si è già distinto per una campagna di raccolta firme su otto referendum abrogativi di altrettante misure renziane (o antecedenti), raccolta firme fallita per tutti e otto i quesiti; il che vieta a chiunque altro – magari con più chance e determinazione – di provarci di nuovo prossimamente. Più che un partito ad ambizione radicale e di massa, direi che è un disturbo nel campo dell’alternativa.
E infine Cosmopolitica. Nell’esaminare pregi e difetti del progetto Cosmopolitica / Sinistra Italiana, fino ad emettere più analiticamente il giudizio sintetico del nostro incipit (neppure questo tentativo di fare il partito radicale e di massa della sinistra in Italia si salverà dal fallimento), mi farò guidare da uno schemino che avevo elaborato un po’ di tempo fa (2014) proprio come una specie di road map per la fondazione del benedetto partitone (schemino a suo tempo pubblicato e diffuso, e anche minimamente discusso tra amici e compagni, che però è giustamente rimasto a far da zeppa a zampe di scrivanie pencolanti.) Cosa occorre – dicevo allora, e ribadisco oggi – per fare il partito che serve ma che non c’è? In dieci punti tecnici.
1. Un evento fondativo. Essenzialmente privato, concepito tra pochi ed esteso per inviti a non molti altri. (Chi sono quei pochi? Lo vediamo al punto 10.) Contenuto dell’evento: un ragionamento a 360° tra i partecipanti – gli invitanti e gli invitati – a partire da un ordine del giorno minimo, di punti però fermi: ciò che va a nascere è un partito di persone e/o una coalizione tra organizzazioni e tra persone, non una cosa fluida; questo partito ambisce a mettere in circolo, porre a sistema e a valore, e iscrivere a programma, pochi concetti chiari e socialisti (quelli già espressi in Costituzione), non a mettere insieme indistintamente i progressisti che detestano Berlusconi, Grillo, Renzi, Marchionne e Draghi, né a sminuzzare una teoria sistematica su tutti gli aspetti del capitalismo europeo, occidentale, globale; e XY è il nome del partito, già scelto da coloro che hanno concepito l’evento e invitato gli altri – che non si rimetta in discussione né ora né mai, sennò non ne usciamo (anzi, sennò non si comincia proprio – come alcuni dei passi falsi enumerati esemplificano).
2. Consegue dal punto 1 che la caratteristica saliente dell’evento fondativo è la selettività, non l’inclusività. Bisogna esser tanto più selettivi prima proprio per potersi permettere il massimo dell’inclusione poi, quando il partito starà davvero per nascere. Il che si traduce in pochi precetti concreti: non accettare chi non abbia intenzione di costruire un partito, per quanto apprezzi l’impianto concettuale che sostiene il progetto (il radicalismo e l’ambizione popolare); non accettare chi pur non disdegnando la forma-partito in sé però non è convinto che l’implementazione di tutto il socialismo possibile a Costituzione vigente sia la medicina da somministrare prima possibile alla Repubblica morente, e quindi non è intransigente verso accordi tattici con chi ha già dimostrato di non credere lo stesso, o addirittura di temerlo; non accettare chi sia pure radicale e intransigente e tanto idoneo alla forma-partito da militare già in un partito suo, però interpreti la fedeltà ad esso in modo da non cogliere lo spunto salvifico di questa proposta anche per quel suo partito (di sinistra radicale, sì, ma autocondannato al margine); non accettare quelli che fingono – e che chi si metta in testa di innescare tutto questo processo non può non sapere che fingono –; e infine non accettare quelli che in buona fede e per buona creanza invece accetterebbero tutti gli indesiderati suddetti (perdete subito anche questi, salutandoli con un abbraccio fraterno e silente – e procedete spediti).
3. Fissati i punti 1 e 2, all’evento fondativo si discute davvero di tutto il resto; e dopo largo, profondo e intenso dibattito, si costituiscono quattro gruppi di lavoro ampiamente fiduciari di quanti, tra i partecipanti all’evento, al suo termine si dicono ancora (e più) convinti della bontà del progetto (i non convinti vanno via senza rancore). Il primo gruppo si prende l’incarico di redigere un regolamento dell’assemblea costituente del partito, che dovrà tenersi non molto prima di né molto dopo sei mesi da allora; il secondo elaborerà la proposta di statuto del partito da discutersi in quell'assemblea, e così pure le bozze dei documenti politici e degli organismi statutari da porsi sempre in assemblea; il terzo si occuperà della comunicazione in ogni suo aspetto (creerà il simbolo, i primi slogan, aprirà e gestirà il sito e tutto ciò che serve nel web, stringerà i contatti con i vari altri pezzi più o meno organizzati della sinistra, redigerà comunicati stampa, darà interviste eccetera); il quarto curerà la (mai facile) partita delle risorse, dei fondi, degli strumenti materiali, del proselitismo, e costituirà perciò tanto di associazione no-profit (con sede fisica e tutto) anche per la responsabilità legale e le autorizzazioni necessarie al progetto in questione. In particolare il terzo gruppo, alla comunicazione, farà passare (come e quando, a suo giudizio) tutto il processo dallo stadio privato, un po’ carbonaro, dell’evento fondativo, a quello pubblico, con comunicato o conferenza stampa o altro – sennò all’assemblea costituente come ci arriviamo?
4. Importante. In Italia si vota una volta l’anno, se non di più, tra politiche, regionali, locali, referendum eccetera; e se notiamo bene, gli archi esistenziali dei dodici passi falsi suddetti si sono tradotti in fallimento (o non sono proprio andati oltre il pronti-via!) spesso proprio a causa di ciò che sembrava, agli animatori dei quei progetti (e, secondo loro, all’eventuale target di cittadini), come imprescindibile: la collocazione del nuovo o nascituro soggetto politico rispetto alle scadenze in agenda. Da ciò un florilegio di alleanze cercate e/o abortite, di compromessi, di malumori, di tradimenti (o percepiti tali), che ha azzoppato l’iniziativa, oppure l’ha snaturata, perfino affossandola talvolta. Perché se è vero che un partito intanto esiste in quanto domanda democraticamente il consenso all’elettorato per realizzare il proprio programma (e tanto più è comprensibile che, per aver le risorse indispensabili, un’organizzazione politica persegua qualche entrata economica che l’elezione dei suoi a qualunque livello gli darebbe), pure è insensato che un partito che non esiste ancora, e non ha ancora messo a punto alcun programma, si faccia crocifiggere al legno del tatticismo e del politicismo. Specie quando sulla scena ci stanno forze populiste (5Stelle, Lega eccetera) di buon richiamo che non possono tollerare il sorgere di altri competitor, e quindi scagliano tutto il fango possibile ad ogni passo anche solo dubbio dei nuovi arrivati. Quindi, finché il partito non ha organi direttivi e una linea politica, delle scadenze di voto si disinteressi del tutto.
5. Ecco l’assemblea costituente, abbiamo detto circa sei mesi dopo l’evento fondativo (così che i quattro gruppi di lavoro abbiano il tempo per produrre quanto loro demandato). La prima assise pubblica del partito, straordinaria per natura. A quella data XY ha già un simbolo, oltre al nome (e alla ragion d’essere), simbolo che l’assemblea costituente vedrà e ratificherà, e ha una proposta di statuto, che sarà discusso, emendato, approvato e ufficializzato. Inoltre l’assemblea eleggerà gli organismi provvisori che porteranno il partito al suo primo congresso – diciamo di lì ad altri sei mesi circa – preparando i documenti necessari e prendendo le decisioni relative al suo svolgimento. Tra essi organismi, un direttivo temporaneo darà corpo alla linea politica che sarà emersa dalla stessa assemblea costituente, almeno fino al congresso. Al termine dell’assemblea, i cittadini che si riconoscono nello statuto (oltre che nel simbolo, nel nome e nella vision), che riconoscono gli organismi provvisori eletti e che condividono la linea politica del partito in quanto emersa dal libero confronto assembleare e dalla sua sintesi conclusiva, allora faranno la benedetta tessera (ovvero, in caso di adesione collettiva, le organizzazioni si confedereranno), con tutti i diritti e i doveri di cui allo statuto stesso.
6. FAQ. Ma chi può partecipare ai lavori dell’assemblea costituente? Come si svolgono in pratica? E chi li coordina, presiede, conclude? Decide tutto il regolamento dell’assemblea, quello che avrà redatto – punto 3 – il primo gruppo di lavoro emerso dall’evento fondativo. E chi ha scritto la proposta di statuto che l’assemblea discute, modifica, valida? Il secondo gruppo di lavoro, che poi è lo stesso che prepara sia i documenti di linea politica in discussione sia le proposte per gli organismi provvisori che l’assemblea dovrà votare. Il primo e il secondo gruppo di lavoro si estinguono allora, in assemblea costituente. Infine, l’assemblea valuta l’operato svolto dagli altri due gruppi di lavoro e che ora rimettono il mandato: quello sulla comunicazione e quello sulle risorse materiali. Conclusa l’assemblea costituente, il partito nuovo, il soggetto politico strutturato radicale e popolare, è già un pezzo avanti: con sufficiente legittimità politica e democratica si farà sentire sulla scena nazionale già da subito, se così riterrà, e fino al primo congresso.
7. Terza e ultima tappa. Un anno circa dopo l’evento fondativo, sei mesi circa dopo l’assemblea costituente, il partito nuovo, il nuovo soggetto politico strutturato, radicale di ispirazione e popolare come ambizione, celebra la sua prima assise ordinaria: il congresso. Ha il suo bel simbolo e il suo gran statuto, un certo numero di iscritti e una certa disponibilità a bilancio, e ha già un suo spazio mediatico sulla scena pubblica (non intaccato da passi falsi elettoralistici – o almeno non da quel tipo di passi falsi). In questo primo congresso elegge organismi non più provvisori e vota i documenti politici.
8. FAQ ancora. Vota i documenti con emendamenti a un solo documento predisposto e diffuso per tempo? Oppure li vota tra documenti alternativi? L’avrà deciso il direttivo temporaneo, quello designato in assemblea costituente. Ed elegge gli organismi definitivi a partire da liste contrapposte? Oppure con integrazioni e sostituzioni da una lista preordinata? L’avrà altresì deciso il direttivo temporaneo in base allo statuto. E gli iscritti, cioè gli aventi diritto a partecipare al congresso a tutti gli effetti, possono essere iscritti anche a qualche altra organizzazione politica – partito, coalizione o altro – oppure no? Lo decide lo statuto. Se sì, i voti in congresso sono da conteggiarsi individualmente (una testa un voto) o invece per appartenenze? Come sopra, lo decide lo Statuto. Concluso il primo congresso, il partito entra a pieno titolo nella politica italiana (ed europea) con tutta la sua radicalità anti-neoliberista in quanto la nostra stessa Costituzione lo è, e con tutta la sua propensione a essere popolare, cioè di massa, perché la sua proposta politica è chiara e sembra efficace, i suoi metodi sono trasparenti e democratici, e le sue guide sembrano oneste, capaci e coraggiose. Ecco la medicina per la sinistra – e, di conseguenza, per la Repubblica italiana. Al lavoro e alla lotta, buona fortuna!
9. Un passo indietro. L’accusa più facile a questa road map è se possa o meno (meno, dice chi obietta) un partito nascere così a tavolino. Ora rispondo. Sembra forse troppo a freddo tutto questo? Sembra che un progetto politico consistente non possa in alcun caso nascere in questo modo – carta e penna, riga e squadra? Senza, cioè, che prima ne esista qua e là almeno qualche cellula territoriale o vertenziale? Senza, addirittura, chiedere l’alto parere di un Solone a scelta? Ebbene, rispondo che per quanto mi riguarda formulare così (con un articolo on-line) una metodologia politica vale tanto quanto farla (apparentemente) cadere dallo speaker’s corner in una piazza accaldata, e vale anche di più che farla uscire da chissà che testata di riferimento travestita da iniziativa dal basso. Rilevo inoltre che il processo politico che conduce alla costituzione di un soggetto strutturato, radicale e popolare insieme, della sinistra italiana – la sinistra che serve ma che non c’è ancora, nonostante tutti i tentativi dal 2009 in avanti – io lo vedo nato già da quel dì: nella realtà dei conflitti, nelle mosse delle organizzazioni, nel comune sentire di una vasta classe di cittadini, negli stessi passi falsi sopracitati, soprattutto nelle urgenze dettate dalla situazione socioeconomica e dalle pessime risposte che danno ad essa il governo, il Parlamento, il Colle, l'Europa e in generale i settori dominanti e privilegiati. 
Tutto ciò mi pare già in marcia, molto al di sopra della mia piccola voce isolata. Solo che è una marcia che va presidiata con razionalità, non un fenomeno naturale cui si possa assistere e basta. Ma va presidiata con assoluto disinteresse personale, che la gente il tornaconto di chi si mette alla guida dei movimenti lo fiuta subito, e lascia il movimento un attimo dopo. Il quale movimento si riduce allora a un trabiccolo per garantire la sopravvivenza di un piccolo ceto politico o civico-politico, la solita compagnia di giro. Infine, questa annosa retorica dell’iniziativa dal basso e dai territori, quando è stata, è o sarà soltanto retorica – e si tratta della maggior parte dei casi, purtroppo – è davvero deleteria. E intendo questo: nel momento in cui un movimento nazionale antagonista si vuole, si accetta, si tollera che nasca se e solo se consiste nella costellazione di micro-unità locali preesistenti, gemmate sul territorio in risposta a spunti contingenti di più varia natura (politici, sociali, economici, culturali), ma non necessariamente composte da cittadini che condividano un solido impianto ideale, una stessa visione globale della società da costruirsi in vece della presente (i pochi concetti chiari e socialisti di cui al punto 1), ebbene anche nella fortunata ipotesi in cui tale movimento riesca a darsi un primo appuntamento di rete, concreto, magari nazionale, esso si tradurrà inevitabilmente nell’esposizione analitica e meramente sommatoria di tutti quegli spunti: non rappresenterà affatto una visione politica condivisa da un pezzo del Paese e la strategia e la tattica conseguenti, bensì il fatto banale che dei gruppi di cittadini abitano nello stesso posto e si lamentano delle stesse cose. No: per fare un partito con le caratteristiche che vogliamo contano l’idem sentire ideologico (parolaccia?) e l’appartenenza di classe (ancora più brutta?), assai più che il codice di avviamento postale. E per farlo essere vitale e non eterodiretto, ma autonomo ed efficace, gli servono la struttura e la metodica che abbiamo descritto: senza, è il giocattolo in mano ai soliti noti e/o mera arma di distrazione di massa – come la maggior parte dei casi esaminati e di tutto ciò che già offre il menù attuale (5Stelle compreso).
10. Dieci passi indietro, e ultime FAQ. Ricordate? L’evento fondativo è essenzialmente privato, concepito tra pochi ed esteso per inviti a non molti altri. Ma chi sono quei pochi? Qual è il punto di partenza di tutto? In quale mente e in quale cuore preme primariamente la ragion d’essere di tutto il progetto? Chi è per primo che ha la vision e la condivide con gli altri? Operativamente, da chi parte l’appello numero uno? Chi organizza l’evento fondativo? Chi invita gli altri di propria fiducia al primo ragionamento davvero virale? Chi fa la prima mossa? Chi lo fa nascere il partito? Dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior. Vero. Ma vero nel 1967, e forse ancora un po’ dopo. Adesso purtroppo no. Perché dal letame, invece, non nasce più niente. Perché l’involuzione antropologica di pasoliniana memoria ha fatto e fa sì che la disumanità intrinseca che De André giustamente imputava al vertice della piramide sociale, infettasse e infetti pure larga parte della sua base. Ossia: da noi gente qualunque, stando così le cose, non nasce nulla; nulla che poi abbia una qualche rilevanza ai fini del nostro discorso – se non, questo sì, sparuti lampi di grande dignità testimoniale. 
E’ che dal 1967 a oggi è passata troppa società dello spettacolo, sono passati troppi quarti d’ora di celebrità, perché sia ancora vero che è sempre e solo dall’uomo comune che nasce spontaneamente qualcosa di buono. Tante e tanti a dire che servirebbe un nuovo soggetto politico organizzato e strutturato per far valere le ragioni degli ultimi e dei penultimi, contro chi comanda il grande gioco della crisi; e tante e tanti a spendersi perché questo soggetto nasca come un fiore dalla terra, senza investimenti, senza pianificazioni, senza eccezionalità. Fiore da un seme donato dal vento alla terra – poeticamente. Ma siamo realisti! Perché esso non sia l’ennesimo fiorellino fragile che ammiriamo in pochi, pochissimi sul conto totale, che presto comincia pure a starci antipatico per il suo impotente vocino stridulo, ebbene oggi non è più possibile sognare che sia dal letame che nascerà. Alla maggior parte della gente – perché è alla gente che tutto ciò deve parlare, sennò restiamo sempre i pochi che siamo – non gli interessa, non hanno tempo, non gliel’ha insegnato nessuno, non l’impareranno in tempo utile, ma soprattutto non gli interessa partecipare direttamente alla costruzione dal nulla dell’arma per vincere questa guerra. Loro vogliono solo cominciare a usarla. Ed è giusto che sia così, oggi: sarà perfino difficile fargliela conoscere, in tutto questo assurdo frastuono, ancor più difficile che imparino ad apprezzarla, in questa disaffezione generalizzata – figurarsi pretendere che se la montino da sé stile Ikea! No: il partito serve crearlo da parte di chi sa farlo, e quelli che si cimenteranno devono avere l’impulso e la guida di qualcuno davvero fuori dal comune. 
Serve proprio un diamante, invece, mio Faber adorato. Più diamanti. Diamanti veri per intelligenza, energia, per riconosciuto disinteresse personale, intorno ai quali far esplodere di vita non solo un fiore ma l’albero intero, dalle radici al fusto ai rami alle foglie ai frutti! E io posso essere al più un pezzetto di corteccia, per di più caduca; e volentieri. Diamanti all’ascolto – fatevi sotto! Date il primo colpo alla ruota. Scrivete e diffondete l’appello iniziale, organizzate l’evento fondativo, fate gli inviti, oculati a vostro giudizio, e poi tutto il resto dai gruppi di lavoro all’assemblea costituente, al primo congresso. E nel partito, quando sarà nato e in marcia, sicuro ci sarò anch’io da tesserato numero qualunque, e darò battaglie democratiche perché nella sua linea ci sia il più possibile di ciò in cui credo più in dettaglio. E alzerò la saracinesca della piccola sezione di zona e l’abbasserò e farò diffusione della stampa e voterò documenti e organismi e farò campagne elettorali e vincerò e perderò e sarò contento. Mi sembra un sogno! Ma potrebbe esser vero.
Però non lo sarà – vero – neppure con Sinistra Italiana / Cosmopolitica. 
Vediamo perché, come promesso, schemino alla mano; valutando se la strategia fin qui seguita rispetti o no le mie prescrizioni metodologiche. Punto 1, più sì che no: i promotori dicono subito che si fa un partito, il nome praticamente è già deciso (Sinistra Italiana), ma i pochi concetti chiari e costituzionalmente socialisti non ci sono. Punto 2, no del tutto: già al primo giro di incontri nessuna selezione preventiva, e infatti arrivano diverse defezioni pubbliche (Rifondazione, Possibile, Altra Europa); figurarsi dopo. Punto 3, più no che sì e a modo loro: tra l’evento fondativo e l’assemblea costituente (la tre giorni di Cosmopolitica, in febbraio a Roma) qualche gruppo di lavoro specifico deve pure aver lavorato; risultati però tutt’altro che definiti. Punto 4, totalmente no e di brutto: il costituendo partito entra subito con entrambi i piedi nel piatto delle contese elettorali, dichiarando l’appoggio a Fassina candidato sindaco di Roma (oltre a tante ambiguità nelle alleanze alchemiche, perfino col PD, in altre elezioni imminenti), e dichiara che si giocherà la testa nel referendum costituzionale d’autunno: prima ancora del congresso. Non ci siamo. Punto 5, no in gran parte: si esce dall’assemblea costituente senza statuto e senza tesseramento, c’è solo il simbolo oltre al nome (ed è pure parecchio bruttino) e un board autonominato di guida del progetto. Punto 6, no del tutto: nessuna metodica condivisa in assemblea e nessuna trasparenza regolamentare, se pure c’è una logica comunque non si vede. Punto 7, sì sulla fiducia: a dicembre (dieci mesi dopo l’assemblea – forse un po’ troppo in là) ci sarà il primo congresso. Punto 8, indecidibile ora: si vedrà al congresso. Punto 9, direi di sì: la retorica dell’iniziativa dal basso non è stata inficiante per la determinazione dei promotori a far partire comunque la macchina in qualche modo.
E punto 10, il più importante: chi sono i promotori di Cosmopolitica / Sinistra Italiana? Sono dei diamanti? Diamanti veri per intelligenza, energia, per riconosciuto disinteresse personale? Chi è stato il primo, probabilmente, a farsi venire in mente l’idea e l’urgenza di darle seguito? Sempre Vendola? L’attor giovane di SEL Fratoianni? Il padre nobile dei fuoriusciti da sinistra del PD Cofferati? Il candidato sindaco e presenzialista mediatico Fassina? Tutti insieme? Qualcun altro ancora che non conosciamo? Come che sia, mi pare che nessuna nel suddetto parterre sia di quelle figure che sbigottiscono l’attenzione sopita delle folle le quali dovrebbero – se il progetto andasse in porto – nutrire di un consenso di massa un programma di revisione radicale dello stato di cose presente, semmai i progettisti ne abbiano uno. E ciò è vero per talmente tanti e vari motivi che non mi ci dilungo. Ma senza le folle salta l’ambizione, la possibilità stessa – pure remota – che il partito nuovo rappresenti quella medicina salvavita da somministrarsi, e di corsa, alla Repubblica italiana prima che il paziente sia morto. Bel problema.
Infatti questo dei diamanti è il problema più grosso da affrontare a sinistra, per chi voglia cimentarsi a spostare i rapporti di forza politici e sociali in Italia – prima che la guerra di classe dall’alto verso il basso abbia seppellito del tutto l’equità e perfino la democrazia. Chi sono stati, chi erano i promotori e/o i numi tutelari degli altri e variegatissimi tentativi prima di questo? Lasciando agli storiografi di tale materia un approfondimento di maggior dettaglio, e al netto di compartecipazioni pure essenziali da Diliberto a Fava da Imposimato a Zagrebelsky da Flores D’Arcais a Fo dalla Hack a don Gallo da don Ciotti a Gallino da Agnoletto a De Luca, possiamo enumerare con buona approssimazione i seguenti: Paolo Ferrero per la Federazione della Sinistra, Nichi Vendola per SEL, Salvatore Borsellino per il Popolo Viola, Marco Revelli per A.L.B.A., Antonio Ingroia per Rivoluzione Civile, Giorgio Cremaschi per Ross@, Stefano Rodotà per la Via Maestra, Marco Rizzo per il Partito Comunista, Barbara Spinelli per l’Altra Europa, Maurizio Landini per Coalizione Sociale e Pippo Civati per Possibile. Tutte persone magari degnissime, competenti nello specifico e in generale, alcuni veri e propri fari nel rispettivo campo, accreditati di buona e addirittura vasta notorietà presso il grande pubblico – ciononostante, dal loro impegno non è sortito l’effetto sperato. Perché? Credo per uno o più dei seguenti motivi – o tutti e quattro insieme: uno, perché magari erano diamanti veri però la costruzione del loro percorso non ha rispettato il minimo sufficiente della road map che ho illustrato (per verificarlo basta fare uno schemino a matrice, e spuntare col pallino o la ics tutti gli incroci tra i miei punti metodologici e quei progetti succedutisi nel tempo); due, perché il potere che domina lo stato di cose presente ha intravisto in quei tentativi una possibilità di riuscita e così li ha affossati subito o almeno snaturati, direttamente o indirettamente (anche infiltrandoli senza remore, con grande abilità); tre, perché quei promotori e/o numi tutelari non erano e non sono poi dei diamanti veri e propri (per capacità, per coraggio, per carisma, per onestà) e la gente l'ha capito; e quattro, perché l’effetto da essi sperato a valle del loro impegno semplicemente non era lo stesso che ho sempre sperato io (cioè non la creazione di una forza di massa da mettere sul piatto della dialettica democratica in Italia, e far pendere la bilancia dalla parte giusta, bensì un’altra cosa – e magari quest'altra cosa, qualunque fosse, gli è pure riuscita).
Ma la verità vera è che a sinistra un’operazione carismatica è sempre difficilissima da condurre in porto visto che, perché riesca, intorno al prestigio in dote naturale al primus si deve raccogliere intanto una cerchia di pares che darà l’avvio concreto al lavoro e che farà da calamita a cerchi sempre più larghi di consenso, adesione, partecipazione, fino a toccare la massa critica dei milioni di cittadini – ma a sinistra, in questo diametralmente opposta alla destra (PD ivi compreso, 5Stelle uguale), quei primi cerchi di pares, coordinatori, attivisti non saranno composti né di yesmen né di clienti né di gente comune disinformata, ma di persone intrinsecamente (geneticamente?) portate alla disamina, alla critica, alla memoria e all’intelligenza delle cose. E a quelli là – me compreso – ci vuol poco a destituire chiunque dell’aura adamantina presupposta, e lasciarlo lì ad attaccarsi i manifesti da solo. Perché visto da abbastanza vicino nessuno è proprio perfetto. E noialtri di sinistra ci guardiamo tutti da tanto vicino e da così tanto tempo, spesso sempre gli stessi, che conosciamo a memoria ogni difetto di tutti i compagni di strada, passati, presenti e futuri. Ma poiché nessuno ci paga per fare ciò che facciamo – o vorremmo fare –, ciò che invece è il sistema standard di reclutamento e motivazione della destra (PD compreso, 5Stelle compreso – a destra estrema il sistema è l’idiozia semplice e/o la pura cattiveria, ma di qui andremmo fuori tema), ebbene che praticamente ogni tentativo di far nascere in purezza e far arrivare a maturità una forza politica all’altezza delle sfide sia naufragato, è piuttosto la regola stando così le cose. Non serve mica un destino cinico e baro. E a parte tutto, al prossimo giro Gino Strada sarebbe per caso disponibile?
Torno serio e concludo rapidamente. Dal 2008 sono cambiate tante cose, dappertutto. L'occupazione è crollata, il potere d'acquisto lo stesso, quindi i consumi, quindi la tenuta sociale perché è crollata la fiducia della gente nelle istituzioni grandi e più prossime, nella democrazia – addirittura – e perfino nella civiltà e nell'umanità stessa (a vedere, con tristezza infinita, la presa popolare di parole d'ordine fasciste, razziste, abiette, crudeli). Si sono avvicendate le figure che occupano i posti del potere visibile, da Berlusconi a Monti a Letta a Renzi, da Napolitano a Napolitano a Mattarella, da Trichet a Draghi, da Barroso a Junker, da Strauss-Kahn a Lagarde, da Montezemolo a Marcegaglia a Squinzi, Marchionne no sta sempre là però la FIAT di Torino ora è la FCA americana, da Epifani a Camusso, da Petruccioli a Maggioni, da Cappon a Campo Dall'Orto, da Ratzinger a Bergoglio, da Bush a Obama a chissà chi, da Putin a Medvedev (cioè Putin) di nuovo a Putin, da Hu Jintao a Xi Jinping, Merkel no c'è sempre, da Abd Allah a Re Salman, da Olmert a Netanyahu, da Ahmadinejad a Rouhani, da Bernanke a Yellen, ci sono state le primavere arabe e poi gli inverni, ci sono stati gli occupy e poi gli sgomberi, ci sono state le Syriza e i Podemos, ci hanno sbattuto in faccia non più Al Qaeda ma l'Isis e Boko Haram, speravamo nell’anticapitalismo latinoamericano e ora un po’ meno, l'Uruguay ha avuto il miglior presidente del mondo, gli islandesi si sono scritti la Costituzione porta a porta, il petrolio è precipitato a prezzi stracciati, Karl Marx è comparso su tutte le copertine, un settantacinquenne socialista si candida alla Casa Bianca, Corbyn guida il Labour, l'effetto serra ha fatto impazzire il clima, la Terza Guerra Mondiale è alle porte e tanta gente è diventata vegetariana. 
Ma nonostante tutto questo, in Italia, una cosa non è cambiata ancora, non è cambiata mai: un onesto, buon partito di sinistra, radicale come la stessa Costituzione è da sempre, e di massa come solo ha senso essere per un partito che cura gli interessi di chi deve lavorare per vivere, non è riuscito a nascere e ad essere vitale. E l'antagonista naturale di tutta quella brava gente lasciata così a se stessa – ossia l’esigua, avida, alienata e potentissima classe dominante – ne trae ogni vantaggio possibile, con le conseguenze deleterie che in parte già scontiamo e peggio verranno.
Con questo articolo ho provato a spiegarmene il perché, sia in via teorica astratta sia per analisi comparata sul campo. Non so se ci sono riuscito. Tanto meno se ho dato indicazioni utili a chi voglia tentare ancora, e con più probabilità di successo.
Io qui mi fermo. Anche perché – non so se si è capito – per me la materia non è solo un campo del freddo intelletto, bensì vita vissuta con coerenza e passione. Ma ora, fatti i miei conti, soprattutto con un grande senso di sconfitta.

Fonte: controlacrisi.org

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