La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 26 febbraio 2016

Uomo di lotta e di speranza. L'addio a Fernando Cardenal

di Claudia Fanti
«Sono un uomo di speranza», si era definito nel suo testamento, scritto già nel 2010, il gesuita Fernando Cardenal, ministro dell'Educazione del governo sandinista tra il 1984 e il 1990, scomparso il 20 febbraio scorso all'età di 82 anni. Una speranza ricondotta alla sua profonda fede nei giovani, quei giovani che, all'interno del Movimento Cristiano Rivoluzionario, avevano lottato insieme a lui contro la dittatura di Somoza e avevano poi preso parte alla Crociata Nazionale di Alfabetizzazione, da lui stesso guidata nel 1980 allo scopo di alfabetizzare più di mezzo milione di persone (uno sforzo che meritò il riconoscimento dell'Unesco nel 1981). Quei giovani che egli sperava tornassero «in strada a fare la storia». 
La storia, lui, l'ha fatta sicuramente. Pagando anche di persona, con la sospensione a divinis, nel 1984, da parte del Vaticano, che, incurante delle macerie materiali e morali da cui aveva preso avvio la rivoluzione nicaraguense, come, più tardi, dell’implacabile aggressione scatenata dai contras finanziati dagli Stati Uniti, non aveva voluto sentir ragioni riguardo alla presenza all'interno del governo sandinista di lui e di altri due sacerdoti “ribelli”, suo fratello Ernesto Cardenal e Miguel d'Escoto, rispettivamente ministri della Cultura e degli Esteri: tutti e tre convinti sostenitori della necessità di prestare tale servizio al loro Paese, a fronte di una tragica carenza di quadri intellettuali in conseguenza dell’analfabetismo endemico in cui il Nicaragua era precipitato sotto la sanguinosa dittatura di Somoza. Un'incomprensione, quella del Vaticano, rimasta per sempre fissata nella scena, tanto amara quanto impossibile da dimenticare, di p. Ernesto Cardenal inginocchiato davanti aGiovanni Paolo II, in visita – era il 1983 – nel Nicaragua rivoluzionario, e il dito del papa puntato severamente contro di lui, colpevole di aver accettato l'incarico di ministro. 
«Lasciare la rivoluzione popolare sandinista in questo momento sarebbe una diserzione dall'impegno con il popolo e un tradimento della patria», aveva scritto all'epoca Fernando Cardenal, dopo aver invano sperato che si facesse un'eccezione – giustificata dalla grave situazione del Paese – al divieto, imposto ai preti dal Codice di diritto canonico, di ricoprire cariche civili. Convinto, come scriveva al tempo in una lettera agli amici, che la Chiesa dovesse «dare testimonianza di essere dalla parte dei poveri quando si vogliono combattere e distruggere le loro speranze», p. Fernando dichiarava che avrebbe comunque «continuato a vivere come religioso», perché, aggiungeva, «il mio sacerdozio non me lo può togliere nessuno» (v. Adista Notizie n. 51/96). 
Le strade dei tre sacerdoti-ministri si sarebbero poi divise: dopo la sconfitta della rivoluzione e la crisi del sandinismo, solo d'Escoto sarebbe rimasto nel Fronte (ricoprendo anche, con coraggio e fermezza, la presidenza dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dal 2008 al 2009), mentre i due fratelli Cardenal lo avrebbero abbandonato in polemica con la gestione autoritaria del partito da parte di Daniel Ortega. Un dissenso, quello nei confronti del leader sandinista tornato alla presidenza del Paese nel 2007, che Fernando Cardenal ha mantenuto nel tempo, fino a denunciare, nel suo testamento del 2010, «la profonda e diffusa corruzione nella vita politica del Paese», le ripetute violazioni della Carta costituzionale, la violenza contro le donne, «lo sterminio» delle foreste e l'«assassinio» della natura. 
Nell'istituzione ecclesiale, invece, p. Fernando aveva voluto far ritorno, riammesso, già nel 1996, dopo un anno di noviziato (all'età di 62 anni), nella Compagnia di Gesù, da cui era stato espulso nel 1984 dietro pressione della Santa Sede (primo caso di espulsione e successiva riammissione nella storia dell'Ordine). Ma sempre continuando a dedicare la sua vita al compito di educare i più poveri, in qualità di direttore nazionale di Fe y Alegría, movimento di educazione popolare integrale e di promozione sociale («nessun Paese al mondo è uscito dalla povertà senza prima investire sul serio nell'educazione», ha scritto nel testamento). È stato «il generale della battaglia più importante combattuta in questo Paese, la battaglia contro l'ignoranza», ha dichiarato la scrittrice Gioconda Belli, in occasione del suo affollatissimo funerale, presieduto dall'arcivesco di Managua, il card. Leopoldo Brenes e animato dai canti della Misa Campesina Nicaragüense (celebre opera del compositore Carlos Mejía Godoy, la più significativa espressione musicale della Teologia della Liberazione). E come un uomo ostinatamente impegnato a lavorare per un'educazione di qualità nel Paese, e soprattutto per i poveri, lo ha ricordato il superiore della Compagnia di Gesù in Nicaragua,Iñaki Zubizarreta: «Per tutta la vita – ha concluso – è stato un educatore». 

Fonte: Adista

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