La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 27 maggio 2016

Tsipras su Idomeni doveva fare diversamente

di Luca Casarini
Sono stato candidato, alle scorse elezioni europee, nelle liste dell'Altra Europa con Tsipras. Ho sostenuto quel percorso, e ancor oggi, dalle fila di SEL e di Sinistra Italiana, rivendico le ragioni che mi hanno portato a fare quella scelta, e a unirmi a quanti ritenevano che fosse necessaria una qualche "rottura". Un segnale pur piccolo, di discontinuità possibile da quell'estremismo di centro che si era definitivamente ingoiato le ultime briciole di una socialdemocrazia già finita. Ciò che oggi esercita la governance europea e qualche governo nazionale, è il bolo di quella masticatura, una specie di "ordoliberismo smart", quello che contrabbanda l'elargizione di enormi quantità di denaro al sistema bancario, come fosse redistribuzione, o la modifica in senso autoritario delle vecchie costituzioni repubblicane, come innovazione.
Accade nella Francia in lotta, dove si è visto come e contro chi, e non sono terroristi ma operai e studenti, Hollande e Valls utilizzino il fascismo dello stato d'emergenza, come in Italia, paese nel quale il livello di diseguaglianza sociale ha ritmi di crescita da primato.
Il nodo posto da Tsipras era ed è giusto: il debito. Era e continua a essere una contraddizione da agire, perché proprio il debito è la fonte di legittimazione delle politiche di austerità imposte in Europa, declinate nei vari Stati con tagli al welfare, deregolamentazione del mercato del lavoro, abbassamento dei salari e aumento della "precarizzazione", privatizzazione di beni comuni dall'acqua che beviamo fino al mare regalato ai petrolieri.
Ma quello che sta accadendo a Idomeni, nella Grecia di Tsipras, non può non farci riflettere. Quando si parla di "rottura" degli equilibri consolidati e dominanti, anche attraverso l'esercizio stesso di funzioni di governo, e di utilizzo in questo senso degli spazi ancora disponibili nei parlamenti che contano sempre di meno, non si può avere un approccio ideologico. È qualcosa che può essere utile se si immagina che la destabilizzazione di un equilibrio dall'alto, possa favorire il cambiamento che è spinto dal basso, da lotte, conflitti, forme di vita. Da società in movimento senza le quali poco o nulla può cambiare.
Piani distinti, in dialettica osmotica e anche in tensione conflittuale, ma dai quali si punta nella stessa direzione. Ma quello che sta accadendo a Idomeni con i profughi, va nella direzione di un cambiamento? Secondo me no. Il vergognoso trattato Ue/Turchia sui rifugiati fa da cornice, ma oltre ad assistere a qualcosa che non può non farci inorridire, forse abbiamo difronte qualcosa che ci parla di una delle contromisure capitalistiche alle contraddizioni e alle tensioni sul debito, di cui la Grecia è il simbolo. Si scambiano quote di debito, o piani di aiuti per pagare gli interessi sul debito, con esseri umani. Nel farlo, si partecipa alla cancellazione di paradigmi costituenti troppo ingombranti per il mercato, come il diritto di asilo, e se ne creano altri esattamente contrari, come il diritto a respingere chi prova a salvarsi dalle guerre, dalla sofferenza, dalla morte.
La costituzione materiale di questa Europa è già quella dei muri, dei fili spinati, delle stragi nel mediterraneo, dei campi di concentramento di donne, uomini e bambini finanziati nei paesi stessi dai quali tentano di fuggire. Si tratta di scriverne, nero su bianco, la verbalizzazione formale. Lo scambio tra soldi, flessibilità sul debito e diritti è plasticamente rappresentato, purtroppo, nella gestione prima e nello sgombero oggi, anche a Idomeni.
Nello stesso giorno della negoziazione su un nuovo piano di aiuti a Bruxelles, con la speranza forse vana di un via libera alla ristrutturazione del debito, il governo greco invia ruspe e reparti antisommossa per sgomberare migliaia di profughi, tantissimi bambini, verso campi modello hotspot a nord della Grecia, gestiti dall'esercito e in condizioni disastrose. Nemmeno l'acqua per i bambini, quattro bagni fetidi per centinaia di persone già traumatizzate e sofferenti. Tutte le Ong e persino l'Unhcr hanno preso posizione per denunciarlo. Lo "spostamento umanitario" non regge dunque come spiegazione. Il togliere dalla vista qualcosa di imbarazzante per l'Europa che cancella il diritto di asilo, ma ha bisogno di una parvenza umanitaria per le sue incivili scelte politiche, sembra più credibile come movente.
La stampa è stata tenuta alla larga dalle scene di disperazione delle persone stremate, e dalla disumanità di questa operazione, condotta senza avvocati, traduttori, operatori sanitari, mediatori culturali. A Idomeni, come ovunque, si sta facendo a pezzi il diritto di asilo. Ma Idomeni è in Grecia e in Grecia c'è Tsipras. Mi si dirà che da solo contro tutti cosa può fare? Ma qui non stiamo parlando dell'aumento dell'Iva. L'aspetto che più mi inquieta di tutta questa vicenda è il sospetto che il premier greco, possa essere convinto che la rinegoziazione del debito, o l'allentamento dello strozzinaggio della Troika, valga tutto questo. E allora, visto che l'ho sostenuto, io penso che stia sbagliando tragicamente, e che l'errore sia di quelli inaccettabili, per quello che provoca a migliaia di persone, per il suo peso politico, per la sua valenza simbolica.
Si poteva fare diversamente? Sì. Si doveva. Non accettando di sottoscrivere l'accordo di riammissione tra Grecia e Turchia, che ha reso possibile quello Ue/Turchia. Non accettando di deportare in Turchia, anche uno solo dei 52 mila cittadini che hanno diritto a chiedere asilo e sperare di potersi ricongiungere con le loro famiglie in Europa. Si poteva trasformare Idomeni nel più grande atto di denuncia collettiva, politica e umana contro la barbarie. Fatto da un governo dell'Unione e da tutti i suoi sostenitori, che sarebbero aumentati, sparsi in ogni paese. Proprio a ridosso di quel confine chiuso con il filo spinato e i cani da guardia, aprire una agorà europea di lotta e di progetto, di denuncia e di pressione, e non rimuoverne con le ruspe l'immagine, che disturbava così tanto i governanti di Bruxelles.
Cosa ci voleva a favorire l'ingresso, invece che osteggiarlo, di centinaia di volontari che dall'inizio e senza bisogno di autorizzazioni, hanno portato il loro supporto materiale e umano, ai profughi? Perché le ruspe, invece di essere utilizzate per demolire, cancellare, distruggere ogni traccia del passaggio di questo nuovo popolo in esodo, non sono state adoperate per togliere il fango in questi mesi, nel quale erano costretti a vivere migliaia di bambini? Perché l'esercito non è stato impiegato per costruire un ospedale, a Idomeni, delle scuole, delle mense, per montare tende e rifugi? Perché gli accordi presi con Bruxelles prevedevano l'esatto contrario. Occultare, alleggerire la pressione, scongiurare tentativi di sconfinamento. Dominare. Sfiancare. Smembrare le comunità di destino, e di lotta, di resistenza, che si creano in questi casi. E imporre il respingimento come pratica e come immaginario.
Queste le direttive alle quali chiunque voglia negoziare con i creditori deve sottostare. Sento l'urgenza e il dovere di andare a fondo di quello che sta accadendo, di ragionare su questo scambio tra economia e persone, tra flessibilità e diritti umani. L'Unione dei trattati ha creato la "crisi dei rifugiati", non subito. Quello a cui assistiamo non è l'effetto inevitabile delle pressioni delle opinioni pubbliche che nei vari paesi danno fiato alle destre xenofobe e razziste, ma è produzione diretta di opinione pubblica che avviene anche perchè nessuno dice mai di no. Nessuno dei governi disobbedisce sui profughi per accoglierli, ma invece lo fa per alzare muri. E nemmeno chi sul rifiuto ha costruito a suo tempo un grande referendum popolare, nemmeno chi ha girato tutta europa nel segno della non subordinazione alle imposizioni della Troika, trova il modo di essere diverso, di disobbedire controcorrente.
Ho l'impressione che la "refugees crisis" sia l'equivalente dello shock in economia di cui ci parla Naomi Klein. Solo che questo shock studiato a tavolino, l'invasione ingestibile, ha anche la funzione di esercitare comando su potenziali insubordinazioni sul debito. Vuoi che ti siano rimessi i tuoi debiti? Lavora per noi. Diventa frontiera armata, non porta d'ingresso. E perché tutto questo? Vale così tanto controllare masse di persone che comunque, quando la casa brucia, tenteranno di salvarsi? I profughi oggi valgono, sono merce di scambio, devono essere resi produttivi in senso mercantile. Con la messa al lavoro certo, in condizioni di schiavitù quando accade. Ma anche sul piano geopolitico, nel quale i volumi di affari che entrano in gioco sono enormemente più grandi.
Il peso delle loro vite sulle nostre coscienze e il senso storico del loro passaggio, deve essere quindi modificato, alleggerito, ridotto a zero. Un fenomeno assolutamente affrontabile, diventa quindi una crisi epocale. E nella crisi si può fare tutto. I nuovi piani di esternalizzazione delle frontiere corrono sull'emergenza del controllo da esercitare sulle masse di migranti, ma stabiliscono anche nuovi patti di potere tra l'Unione, e i suoi singoli Stati in competizione tra loro, e medioriente e Africa. Nuove partnership si suggellano con dittatori e governi fantoccio e criminali, come prevede il processo di Karthoum sui rifugiati da trattenere "in origine", ma diventano anche veicolo per accaparrarsi petrolio, gas, contratti per armi e tecnologia, diritti di proprietà su enormi porzioni di suolo.
Si può considerare ciò che sta accadendo sulla pelle dei profughi meno importante delle politiche economiche e monetarie contro cui combattiamo? Attacchiamo Renzi sul "Migration Compact", piano di esternalizzazione delle frontiere con tanto di finanziamento "creativo" ai dittatori, già operativo con i primi ottocento migranti ripresi in acque libiche nei giorni scorsi, e ora in stato di detenzione in quella bolgia. Allora per lo stesso motivo dobbiamo attaccare anche Idomeni, e chiunque dica che il "modello" da seguire è quellodell'accordo con la Turchia, riempita di miliardi per fare il lavoro sporco sui profughi al posto nostro, e autorizzata a cambiare in senso dittatoriale la costituzione.
Non so se è il caso di Tsipras, ma la visione dell'economia come punto supremo di conflitto dal quale poi discendono tutti gli altri, è figlio dell'ortodossia novecentesca di sinistra. Forse un po' più di comunismo critico ed eretico, di femminismo, di ecologismo, aiuterebbe a capire che nel tempo dell'esercizio pieno del potere sull'intera vita, diritti sociali, politici, civili, ecologici, collettivi e individuali, sono al centro del dispositivo economico di sfruttamento del capitalismo contemporaneo. E che il diritto di asilo è il diritto ad avere diritti. La "rottura" non si può produrre se accettiamo di separare i piani, che il capitalismo contemporaneo tiene insieme per riprodurre il suo comando. E a volte il "soft power" con il quale crediamo di essere più umani, può essere funzionale alla ferocia. Come a Idomeni.

Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore 

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