La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 9 luglio 2016

La coscienza e i diritti

di Angelo Schillaci
In occasione dell’approvazione della legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, si è aperto un dibattito sulla possibilità, per i sindaci, di rifiutare la costituzione dell’unione per motivi di coscienza. Si tratta, in verità, di questione non nuova, che si è posta anche in altri ordinamenti che hanno introdotto forme di riconoscimento delle unioni omosessuali: così ad esempio in Spagna, in Francia, negli Stati Uniti. In tutti questi casi, peraltro, il problema si è risolto con la riaffermazione dell’obbligo del pubblico ufficiale di applicare la legge. 
Ma è possibile, a diritto vigente, opporre l’obiezione di coscienza alla costituzione delle unioni civili? Va detto, anzitutto, che nel nostro ordinamento l’obiezione di coscienza deve essere prevista, caso per caso, dalla legge. 
Non esiste, in altri termini, un diritto all’obiezione di coscienza, valevole in una serie indistinta di casi: come affermato chiaramente dalla Corte costituzionale (sentenza n. 467/1991), è la legge che, volta per volta, deve individuare il punto di equilibrio e di bilanciamento tra la protezione delle esigenze della coscienza soggettiva e la tutela dell’interesse pubblico all’applicazione della legge, specie quando l’obiezione di coscienza si scontri con diritti di altri. 
Nel caso delle unioni civili, ciò non è avvenuto, e non per dimenticanza, bensì perché il legislatore ha ritenuto che l’atto di costituire l’unione non incida in maniera significativa sulla libertà di coscienza del Sindaco, anche perché avviene nell’esercizio di una pubblica funzione. Ed infatti, altro è postulare il diritto all’obiezione di coscienza per il privato cittadino, altro rivendicarlo per il pubblico ufficiale: in questo caso, la valutazione del legislatore si fa più stringente e deve considerare l’interesse pubblico alla corretta ed efficace applicazione della legge. 
Non è un caso, ad esempio, che con la sentenza n. 196/87 la Corte costituzionale abbia negato l’estensione al giudice tutelare – in sede di autorizzazione all’interruzione di gravidanza su minorenne – del diritto all’obiezione di coscienza previsto per i medici, ritenendo assorbente la natura pubblica della funzione esercitata. 
Alla libertà di coscienza del pubblico ufficiale si oppone, dunque, un più generale dovere di solidarietà, che si traduce nell’obbligo di garantire il corretto svolgimento della funzione, nell’interesse della legge e della comunità. La funzione pubblica, infatti, è posta a presidio della comunità, e deve essere orientata alla garanzia dell’uguaglianza tra tutti i cittadini: come tale, il corretto esercizio delle pubbliche funzioni è garantito dal codice penale, che punisce – all’art. 328 – il rifiuto e l’omissione di atti d’ufficio.
La rivendicazione del diritto all’obiezione di coscienza rispetto alla costituzione dell’unione civile rinvia, certo, a snodi fondamentali dell’esperienza giuridica, su tutti la possibilità della coscienza individuale di ribellarsi alla legge (percepita come) ingiusta. E tuttavia, tale assunto non può e non deve essere interpretato in termini assoluti: la preminenza della coscienza individuale rispetto all’intervento autoritativo della legge non può infatti spingersi, e qui sta il punto nodale dell’intera questione, fino a pregiudicare l’effettività di un diritto che la legge riconosce alla coppia omosessuale e che non lede nessuno. Il sindaco, se lo ritiene, potrà delegare la costituzione dell’unione ad altro soggetto: ma l’applicazione della legge dovrà essere garantita, a beneficio di tutte e tutti.

Fonte: Adista News 

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