di Alexis Tsipras
Compagne e compagni, Siamo di fronte ad eventi storici che influenzano in modo determinante il corso e il futuro dell'Europa e dei suoi popoli. Il tempo storico è denso, elimina gli sviluppi ad una velocità molto superiore da quella che i leader europei sono abituati a reagire. Poiché l'Europa sta sperimentando oggi gli effetti dell’insufficienza e i ritardi nell'affrontare la crisi. Una crisi che ha le sue radici in campo economico, ma oggi è chiaro che si trasforma in una crisi politica. Il risultato del referendum in Gran Bretagna è l'atto più tangibile e l’ultimo atto del dramma di questa crisi politica. Qui, come in molti altri paesi, le carenze croniche delle leadership europee, la persistenza in politiche di austerità grossolanamente ingiuste e gli investimenti in riflessi xenofobi e ad una retorica anti-immigrati, hanno alimentato, molto tempo fa, il populismo, lo sciovinismo e il nazionalismo.
Anche se ci crea dei problemi e ci rattrista la decisione del popolo britannico, dobbiamo considerare che si tratta di una decisione perfettamente rispettabile. Tuttavia, conferma una crisi di identità dell'Europa. Una crisi strategica. E naturalmente questa crisi, questo fatto non è venuto come un fulmine al cielo sereno. I preavvisi erano arrivati da molto tempo, con l'ascesa dei partiti di estrema destra e nazionalisti in Austria, Francia, Paesi Bassi e altrove. Con le opzioni estreme nel risanamento dei conti pubblici e in nome della convergenza che hanno ampliato le disuguaglianze sia all'interno dei paesi dell'Unione Europea e tra i paesi del Nord e del Sud. Con una gestione a la càrte della crisi dei rifugiati, con i confini chiusi, i recinti, le azioni unilaterali da parte di alcuni Stati membri che hanno il parere che la questione della solidarietà di devono affrontare a la càrte e questi punti di vista sono stati tollerati dalla leadership europea.
E per essere più preciso: non dobbiamo mettere il peso del risultato di ieri del referendum al popolo britannico. Quando si è costruita una Europa dove i confini dell’austerità e per l’autoritarismo sono aperti, ma i confini sono chiusi per gli uomini e si alzano recinti, quando si lasciano politiche incontrollate, la retorica di odio e dello sciovinismo, credo che l’ultimo che si può fare è di dare la colpa ai popoli per le loro decisioni.
Se vogliamo biasimare per le sue responsabilità qualcuno per il risultato dobbiamo attribuirle in primo luogo ai leader che hanno creato un'Unione europea a più velocità, una Unione che è unione solo nel nome, senza vera solidarietà e reciproca comprensione tra gli stati - membri. Una Unione che ricorda le sue regole quando vuole punire presumibilmente gli indisciplinati, ma che le dimentica quando si richiede una equa distribuzione dei problemi. E, infine, una Unione che invece di approfondire l'integrazione, alimenta le tendenze euroscetticiste e dà argomenti a scatenare la loro retorica pericolosa, un certo numero di bigotti e demagoghi che improvvisamente diventa protagonisti della storia mente gli consideravano residuali.
Se vogliamo attribuire le responsabilità di questo fatto, queste devono essere assegnate ai leader europei, che invece di discutere in modo approfondito per le ragioni e le cause della crisi hanno creato le caricature ideologiche del "lavoratore del Nord" e del "pigro del Sud".
E, naturalmente, questo ha portato ed ha come risultato, perché non abbiamo finito, a profonde divisioni sociali e politiche. I popoli dei paesi del nord ritengono che pagano il conto del sud e cercano di chiudere i confini agli immigrati fastidiosi, e certamente i popoli dei paesi del sud di prendere in considerazione, e forse giustamente, che sono degli intrusi e che il Nord gli sfrutta e gli punisce.
Questa situazione non può continuare.
E oggi abbiamo bisogno più che mai di un grande contrattacco delle forze europee progressiste per fermare l'assalto dell'estrema destra e del nazionalismo che trovano terreno fertile nelle condizioni create dalla semplicità e l'irresponsabilità dei mercati. Si potrebbe dire in due parole che abbiamo bisogno di un nuovo inizio ed una nuova visione di un'Europa unita. La discussione naturalmente si svolge sulla necessità di verificare se abbiamo bisogno di più o meno Europa. È ovvio che se la discussione su meno Europa si continua come è stata in Gran Bretagna, può accadere anche in altri paesi.
Mi ricordo il dibattito al vertice europeo, quando alla fine hanno deciso che abbiamo avuto anche noi dare il proprio consenso nonostante le nostre divergenze su uno status speciale per la Gran Bretagna, avevo preso la parola e risvolgendomi al primo ministro britannico gli ho detto che vi auguro con questa decisione che hai vinto per necessità, non con il pieno consenso di tutti, di vincere questo referendum, ma non sono sicuro che lo farei, perché quando ti rivolgi alla tua gente con la richiesta di meno Europa, dicendo che sono riuscito a vincere uno status speciale di meno Europa è molto difficile invertire la tendenza. Perché tra il dilemma di meno o per niente Europa, se tutto il tempo precedente hai cercato di convincere la tua gente della necessità di meno o per niente Europa, la scelta finale sarà per l’originale e non la scelta di mezzo. E così è successo.
Se questa discussione sarà continuata con lo stesso motiva sicuramente il maglione sarà scucito.
D'altra parte chi parlano e quanti parlano per più Europa devono chiarire che cosa significa. Se il concetto più Europa significa una Europa più autoritaria, più antidemocratica, più antisociale, senza sovranità popolare, allora di tutto questo possiamo fare di meno. Quindi la risposta è più Europa, un'Europa sociale, un'Europa democratica. Un'Europa in cui deve finalmente tornare la politica una Europa che deve prendere le redini dai tecnocrati che fanno i propri modelli economici, ma che non può soddisfare le esigenze dei popoli. Questa visione vogliamo servire e penso che lo abbiamo dimostrato nei momenti al limite di tempo massimo per il nostro paese, per il popolo greco.
Perché quando noi siamo rivolti al popolo greco l’estate scorsa non abbiamo pensato nemmeno per un istante la possibilità di abbandonare l'Europa e per la battaglia che dobbiamo dare con altri popoli per il suo cambiamento radicale.
Anche quel momento che gli attuali leader europei, ora che molti di loro ci sorridono e ci salutano, allora sia per intimidire o per vendicare “l’arrogganza" di un governo e di un popolo a resistere contro l'assurdo, hanno distorto i fatti e hanno detto soggiogato che la questione del referendum è stato "per la permanenza o l’uscita", e non ciò che è stato deciso dal Parlamento greco. E poi abbiamo chiarito con la massima fermezza che noi non cerchiamo l'uscita del paese dall’UE o la zona euro, ma cerchiamo un accordo migliore.
E questo credo sia la nostra differenza di base come Sinistra, come una forza identitaria internazionalista ed europea, che critica e dà battaglia per cambiare l'Europa e non per sciogliere Europa, come oggi dà la battaglia la destra trincerata nel nazionalismo e lo sciovinismo.
E non dobbiamo dimenticare questa cosa. Perché, quando la Nuova Democrazia cerca euroscettici e populisti nelle nostre fila, dimentica chi sono i suoi alleati nella destra europea.
Perché oggi, il rischio di disintegrazione dell’Euroa non è venuto da noi, che in tempo abbiamo fatto la nostra critica per il corso dell’Europa -e abbiamo avuto ragione- ma proviene dalla destra. E la Sinistra, insieme ad altre forze progressiste sono gli unici che possono fermare questa tendenza e cambiare l'Europa.
E per mettere in chiaro le cose, permettetemi un riferimento ad un fatto, perché questi giorni tutti coloro che o hanno una memoria selettiva, o sistematicamente vogliono speculare, denunciando che noi abbiamo rovesciato il verdetto popolare lo scorso luglio, voglio ricordare questo:
Il “Si” al referendum di luglio in Grecia non significava semplicemente di restare – tra l’altro è chiaro che il “No” non significava di uscire. Il “Si” voleva dire misure molto più difficili e senza fondi, senza l'impegno per debito, con gli avanzi primari del 4,5% che aveva firmato Samaras e un accordo sottoposto al diritto inglese e non europeo e internazionale.
Significherebbe tagli automatici delle pensioni, nessuna protezione della prima casa - questo avevano accordato con i creditori – l’abolizione del regolamento delle 100 tranche per i debiti verso lo stato, dicendo che avevano deciso questo regolamento in modo unilaterale nella prima metà dell’anno, 15.000 licenziamenti nel settore pubblico, licenziamenti collettivi nel settore privato e naturalmente quello, che per alcuni dei estremisti più duri dell’Europa e l’establishment interno, è stato il loro obiettivo principale, mettere come una parentesi il governo di SYRIZA e restaurare il vecchio sistema politico degli intrecci economici e politici, che portava e continua di portare sulle spalle.
E tutto questo senza alcun impegno per la copertura normale, e lo ripeter, delle esigenze di finanziamento del paese.
Perché oggi la Gran Bretagna che ci lascia onn è nella eurozona ma i mercati hanno oscillato da nord al sud e dall’est all’ovest. E in Gran Bretagna. Immaginate che cosa potrebbe significare per un piccolo e debole paese dell'eurozoma.
E voglio chiudere questo riferimento al fatto storico di ieri, dicendo che è ormai chiaro che il ritiro della Gran Bretagna dall'Unione europea, ci porta avanti a due grandi dilemmi e di fronte di due strade.
Una strada è quella di trincerarci e isolarsi.
Il ritorno all'isolazionismo nazionale che indossa il mantello di indipendenza e la diffusione della piaga del nazionalismo che il nostro continente ha pagato a caro prezzo, il secolo scorso.
Sapete già che un certo numero di forze che difendono e lottano per questa opzione, cercando di capitalizzare la decisione di Brexit. Già le forze di estrema destra in Francia, Paesi Bassi e Austria vogliono che i loro paesi seguono la strade degli inglesi e non nascondono ce il loro obiettivo è la dissoluzione del progetto europeo.
L'altra strada è la strada della battaglia per cambiare l'Europa. È il percorso della battaglia per la solidarietà e la sincera collaborazione dei popoli e degli stati. Che richiede riflessione e l’impegno collettivo sui valori e sui principi che hanno la loro origine nei valori fondanti dell'Unione europea. I principi sui quali è basato il progetto di integrazione europea. Il rispetto dei diritti civili e sociali. Delle libertà democratiche, in quello che abbiamo chiamiamo sovranità popolare. La parità dei diritti e degli obblighi reciproci. La necessità di superare collettivamente – rispettando sempre la diversità e la sovranità di ogni stato - i problemi che toccano tutti.
Credo che viene quindi il tempo in cui dobbiamo prendere decisioni politiche coraggiose e che abbiamo di fronte il bisogno di un cambiamento radicale di strategia.
Ogni ritardo ci porterà inesorabilmente ad alimentare di nuovo con precisione matematica la crisi. Nella fortezza Europa. Nell’Europa delle frontiere chiuse, dell’odio e di estrema destra. Noi abbiamo scelto di dare questa battaglia per un'altra Europa. E credo che la Sinistra, le forze progressiste non sono con l’Europa semplicemente perché credono nella convivenza pacifica e la cooperazione tra i popoli. Noi siamo con l'Europa perché crediamo che un solo paese è quasi impossibile di frenare gli appetiti dei mercati finanziari selvaggi e l'agenda neoliberista estrema che impongono in molti paesi che hanno bisogni finanziari e di prestito.
Per anni abbiamo detto diciamo e diciamo, e penso che oggi si riconferma di più, che l'Europa è l'area geografica più piccola in cui la politica, i governi, le forze progressiste, la sinistra sono grado di proteggere le società dal programma neoliberista, lo smantellamento dello Stato sociale, le disuguaglianze permanenti e grandi.
Così abbiamo scelto di dare questa battaglia per un'altra Europa. E il costo di questa opzione lo abbiamo assunto e per di più con grande coraggio.
Ecco perché penso che siamo i più adeguati in Europa per prendere iniziative di risveglio in tutte le direzioni, per far si che le cosa vanno in un'altra direzione.
Questo senso aveva la mia conversazione telefonica, un momento fa, con il presidente Hollande – che è la ragione per il mio ritardo. Credo che oggi più che mai abbiam bisogno di avere una consultazione tra le forze progressiste del più ampio spettro. E soprattutto abbiamo bisogno che le forze della socialdemocrazia che hanno enormi responsabilità di cambiare prima di tutti la loro rotazione iniziale e la loro direzione.
Credo che in questo sforzo, non saremo soli. Non saremo soli, perché già aumentano le voci che ci sono all'interno della socialdemocrazia europea, in linea con gli obiettivi della nostra famiglia europea, la Sinistra Europea, per cambiare le cose in Europa.
Questo è il testo del discorso di Tsipras al Comitato centrale di Syriza di Sabato 25 Giugno.
Fonte e traduzione: pagina Facebook di Argiris Panagopoulos

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