La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 17 agosto 2016

Come la guerra al terrore favorisce Trump

di Sam Badger 
A fine settembre 2001 il direttore della CIA George Tenet telefonò a Michael Hayden, allora direttore dell’Agenzia della Sicurezza Nazionale (NSA), per porgli una domanda fatidica. La NSA aveva il bilancio più fornito della comunità dei servizi segreti, una schiera dei computer più potenti del mondo e il vantaggio di operare in quasi completa segretezza. Il presidente e il vicepresidente, Tened disse a Hayden, volevano sapere se c’era di più che la sua agenzia potesse fase per prevenire un altro attacco. “No,” disse Hayden, “non nell’ambito della mia autorità attuale”. Tenet fece una pausa: “Non è esattamente questa la domanda che ti ho posto. C’è qualcosa di più che puoi fare?” Un altro silenzio: “Ti richiamerò”.
Pochi giorni dopo, in flagrante violazione del Quarto Emendamento, [“…difende da perquisizioni, arresti e confische irragionevoli” – n.d.t.], il presidente George W. Bush autorizzò segretamente la raccolta non autorizzata di telefonate, email e dati internet degli statunitensi. Il programma – disegnato da Hayden e chiamato “Vento stellare” – esisteva come parte di quello che Dick Cheney memorabilmente chiamò il “lato oscuro”, il lavoro antiterrorismo condotto “nell’ombra … in silenzio, senza discussioni, utilizzando risorse e metodi disponibili ai nostri servizi segreti”.
Il generale Hayden aveva una propria espressione per ciò: “giocare sul limite”. “Giocare sul limite significa giocare così vicini alla linea che tiri su polvere di gesso sui tacchetti”, spiega la copertina delle nuove memorie di Hayden.
Ma per quanto riguarda la “guerra al terrore” le amministrazioni Bush e Obama non si sono limitate a giocare sul limite. Hanno tirato su polvere di gesso ben oltre i confini della legge e inconsapevolmente aiutato l’ascesa di Donald Trump.
Giocare sul limite
Questa settimana Hayden e quarantanove altri dirigenti Repubblicani della sicurezza nazionale hanno pubblicato una lettera aperta fustigando il nominato Repubblicano alla presidenza.
“Il signor Trump è privo del carattere, dei valori e dell’esperienza per essere presidente”, hanno scritto. “Indebolisce l’autorità morale degli Stati Uniti quali leader del mondo libero. Risulta mancare della conoscenza elementare della Costituzione statunitense, delle leggi e delle istituzioni statunitensi e della fede in esse”.
Come Hayden, molti dei firmatari hanno lavorato per la Casa Bianca di Bush-Cheney. Ci sono Michael Chertoff, co-autore del Patriot Act; Tom Ridge, il primo segretario della sicurezza patria della nazione e John “Freddo Guerriero” Negroponte, già direttore dei servizi segreti nazionali nel 2006 quando la NSA ricominciò a raccogliere all’ingrosso registrazioni telefoniche degli statunitensi.
In un editoriale separato della settimana scorsa il vicedirettore della CIA dell’era Obama, Mike Morell, ha denunciato la mancanza di “rispetto del primato della legge” da parte di Trump. Morell, un dichiarato sostenitore degli attacchi dei droni e della tortura, si è schierato per Hillary Clinton.
Le recenti denunce sottolineano una crescente unanimità tra le élite della politica estera di entrambi i partiti: che la mancanza di rispetto di Trump per le norme costituzionali e la sua antipatia per i limiti del potere esecutivo costituiscono, nelle parole del Washington Post, “una minaccia unica alla democrazia statunitense”.
Alcuni elettori, tuttavia, non sono convinti.
L’ottantotto per cento dei Repubblicani e il quaranta per cento del pubblico in generale appoggiano Trump. A giudicare dai sondaggi degli ultimi mesi, un segmento considerevolmente più vasto appoggia il suo programma sulla sicurezza nazionale. Metà del paese appoggia un temporaneo bando alle immigrazioni di mussulmani; il 44 per cento è a favore di un registro dei mussulmani già qui; il 53 per cento vuole intensificare la sorveglianza delle moschee statunitensi e il 63 per cento è a favore della tortura di sospetti terroristi. Nel più recente sondaggio Pew sull’argomento gli elettori affermano che Trump farebbe meglio della Clinton nel difendere il paese da futuri attacchi terroristici.
E’ allettante attribuire questi sentimenti autoritari alla sola demagogia di Trump. Ma Trump non ha generato da solo una brama di riforme reazionarie. I semi sono stati piantati molto tempo fa, seminati in quella conversazione criptica tra Hayden e Tenet e in migliaia di altre simili, da allora, nelle stanze del potere.
Se esiste un elettorato favorevole all’estremo programma antiterrorismo di Trump è perché sia i Repubblicani sia i Democratici hanno passato gli ultimi quindici anni a coltivare paranoia, segretezza e deferenza nei confronti dell’autorità esecutiva, contemporaneamente esagerando molto la minaccia di attacchi sul suolo statunitense.
Per quindici anni il governo statunitense ha condotto una guerra al terrore basata sull’idea che la straordinaria minaccia del terrorismo globale richieda misure straordinarie, che la prevenzione efficace di complotti terroristici richieda il sacrificio di libertà civili e che sradicare il terrorismo dal mondo rende necessario un ampliamento di ciò che le tradizionali leggi di guerra permettono. Per quindici anni lo stato ha “giocato sul limite” e oltre, rendendo possibile l’emergere di un candidato che non sa dove il limita sta, o non se ne cura.
Le élite della politica estera si sono costruite il proprio letto; oggi ci dorme Trump.
In effetti molte delle élite che oggi criticano Trump erano felici di consentire che l’’islamofobia e le paure irrazionali alimentassero la loro guerra al terrore, fintanto che era codificata nell’inossidabile linguaggio della “sicurezza nazionale”.
Si prenda John Yoo, autore dei memorandum sulla tortura. Nessuno è più responsabile di John Yoo dell’architettura legale della guerra al terrore. Bush e Cheney si sono basati sulle sue opinioni per giustificare anticipatamente le loro violazioni della Costituzione e delle Convenzioni di Ginevra.
A marzo Yoo ha condannato la posizione di Trump sulla tortura dei finti annegamenti. Non lo ha fatto perché ha cambiato idea sulla moralità o legalità di quelli che chiama “interrogatori potenziati”, ma piuttosto perché Trump ha lasciato intendere che userebbe la tortura come strumento di punizione.
“Non è quello il suo scopo”, ha insistito Yoo. “Lo scopo non è di vendicarsi per atti del passato. Consiste nello stabilire che cosa fare ora per ottenere informazioni per bloccare attacchi futuri.”
Trump, rifiutandosi di adeguare il suo linguaggio al legalese della sicurezza nazionale, ha rivelato una verità scomoda: che la tortura è sempre stata inefficace, motivata tanto dal livore quando dalla convinzione del suo valore per ottenere informazioni. Per Yoo è stata quella l’offesa imperdonabile.
La guerra al terrore di Bush-Obama
Le proposte di Trump riguardo alla sicurezza nazionale sono orripilanti, peggiori di qualsiasi cosa si sia vista dai tempi della Guerra Fredda. Ma anche le sue idee più deplorevoli differiscono di grado, non di sostanza, dalle politiche abbracciate da Bush e da Obama. Suggerire qualcosa di diverso significa ignorare i cambiamenti veramente reazionari che hanno avuto luogo dall’avvio della guerra al terrore.
E’ cominciata con conversazioni come quella tra Hayden e Tenet. Favorito dal Congresso, il presidente Bush ha vastamente ampliato la sorveglianza interna, ha ridotto la prescrizione di mandati, ha istituito liste di sorveglianza discriminatorie, legalizzato la detenzione a tempo indeterminato di sospetti terroristi e arrestato e condannato centinaia di persone sulla base di inconsistenti accuse di “sostegno materiale”. Per buon peso i suoi legali hanno inventato una giustificazione giuridica della tortura.
Il Dipartimento della Giustizia di Obama ha in larga misura proseguito queste politiche (a eccezione della tortura) abbandonando un impegno della campagna elettorale di introdurre trasparenza nella guerra al terrore. Ha invece intensificato le indagini e i processi contro rivelatori della sicurezza nazionale e si è opposto a tentativi di rendere pubblici i peggiori crimini dell’amministrazione Bush.
Anche nella guerra sul campo c’è stata molta continuità tra Bush e Obama. I legali dell’amministrazione Bush hanno riformulato il significato della guerra, aumentando l’autorità unilaterale dell’esecutivo di condurla e creando un quadro legale per una guerra senza confini, multilaterale e senza alcuna fine necessaria.
Nonostante una maggiore riluttanza a impegnare soldati statunitensi all’estero, Obama ha più o menoabbracciato il paradigma del suo predecessore. La guerra più “morbida” di Obama al terrore favorisce il prudente impiego di Forze delle Operazioni Speciali (nel 2014 sono state inviate in 133 – o il 70 per cento – delle nazioni del pianeta) e un sistema non chiamato a rispondere di assassinii mirati mediante attacchi di droni, che ha eroso le nozioni tradizionali della sovranità e ha lasciato uccisi molte centinaia di civili.
Che molto di questo sia stato attuato discretamente, senza la magniloquenza razzista di un Trump, non è un gran merito. Scalpellando gradualmente norme costituzionali le amministrazioni Bush e Obama hanno agevolato quella che Karen J. Greenberg, direttrice del Centro sulla Sicurezza Nazionale della Fordham University, ha definito “la morte della libertà per mille ferite”.
Come scrive la Greenburg nel suo nuovo libro Rogue Justice: The Making of the Security State, sono precisamente le “decisioni silenziose, le sentenze giudiziarie individuali e le leggi e i decreti presidenziali … che rendono possibili i fiaschi, le follie e gli eccessi che trasformano i governi in nemici dei loro elettori”.
Sia Bush sia Obama hanno trattato le norme democratiche come sacrificabili di fronte alle minacce terroristiche. Hanno creato perpetui stati d’eccezione in cui non si applicano le vecchie norme del sistema legale; una permanente sospensione della normalità.
In un discorso fiducioso alla Oxford University nel 2012, il Segretario alla Sicurezza Patria, Jeh Johnson, ha affermato: “La guerra deve essere considerata come uno stato di cose finito, straordinario e innaturale” che “viola l’ordine naturale delle cose”. La guerra al terrore – come architettata dalla Casa Bianca di Bush e perpetuata da quella di Obama – ha violato questo principio più di qualsiasi altro. La guerra stessa è divenuta l’ordine naturale delle cose.
In questo scenario un autoritario come Trump prospera. E’ già in corso la sospensione delle norme che eglipromette: “Dovremo fare cose che non abbiamo mai fatto prima … cose che erano francamente impensabili un anno fa”. L’eccezione è già la regola.
Anche l’aumento del potere esecutivo sotto i due ultimi presidenti fa il gioco di Trump.
Dalla risoluzione sulla guerra in Iraq nel 2002 il Congresso ha in effetti abdicato al suo dovere di autorizzare le guerre. Il programma dei droni di Obama opera fuori dalla vista del pubblico con un limitato controllo del Congresso. La Casa Bianca ha gravemente comunicato al ribasso il numero dei non combattenti uccisi dai droni e si è rifiutata di spiegare come la sua politica di “attacchi indiziari” – che eliminano bersagli anonimi sospettati di attività terroristiche – rispetta la legge umanitaria. E nonostante i tentativi post Snowden di frenare l’Agenzia della Sicurezza Nazionale il prossimo occupante dell’Ufficio Ovale avrà ancora accesso al più esteso apparato di sorveglianza mai ideato, controllato da un paio di comitati congressionali amici e da un tribunale segreto di parte.
L’implicito patto di Obama con il pubblico – in effetti: concedete alla mia amministrazione superlativamente onesta poteri straordinari e vi garantiremo la sicurezza – è una ricetta per l’autocrazia. Se rabbrividiamo al pensiero di Trump a capo di un programma globale di assassinii, dovremmo, tanto per cominciare, deplorare anche l’amministrazione presidenziale che lo ha concepito.
La tirannia c’era già
In politica interna molti liberali e della sinistra hanno trovato comodo incolpare lo stesso Partito Repubblicano di aver consentito l’ascesa di Trump: avendo scatenato forze malefiche fuori dal proprio controllo il Partito Repubblicano sta ora raccogliendo ciò che ha seminato. Ciò che irrita di più i Paul Ryandel Grande Antico Partito a proposito di Trump è che il suo stile privo di tatto rende chiara la politica dell’insofferenza razziale bianca al centro del conservatorismo statunitense.
Una dinamica simile, anche se meno commentata, è stata all’opera sui temi della sicurezza nazionale.
Nelle menti delle élite della politica estera, la piattaforma antiterrorismo di Trump è preoccupante ma anomala: un inesplicabile abbandono del retto percorso della lealtà costituzionale, un singolare e autonomo pericolo per la salute della nostra democrazia. Per loro la tirannia di Trump è un’intrusa dall’esterno nella nostra repubblica immacolata.
Ma questa è una fantasticheria. La tirannia c’era già. Trump, com’è suo costume, l’ha solo resa più evidente.
Viviamo già in un paese impegnato in una guerra interminabile, sconfinata contro un nemico mal definito, una guerra in cui ogni livello di compromesso costituzionale può essere giustificato. Non vogliamo vivere in un paese simile, dobbiamo fare più che rigettare le abominevoli politiche di Trump. Dobbiamo rigettare la guerra al terrore che ha reso la sua ascesa possibile.

Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Jacobin Magazine
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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