La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 12 agosto 2016

Come ricostruire un campo progressista in Europa?

di Bill Mitchell 
In un interessante articolo uscito il 4 agosto, (Is The Nation-State And Its Welfare State Dead? A Critique Of Varoufakis) l'esperto di scienza politica (ed economista) spagnolo Vicente Navarro ha contestato l'affermazione del già ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis che lo stato nazione è morto e perciò, al fine di ripristinare la democrazia e costituire un bastione contro il capitalismo globale, servono movimenti pan-internazionali. Apprezzo molto le argomentazioni di Navarro, dato che il tema è strettamente legato al libro che sto scrivendo insieme al giornalista italiano Thomas Fazi sulle ragioni per le quali la sinistra ha abbandonato il campo progressista e ha adottato, in economia, posizioni neoliberali le quali la portano a un continuo declino.
In questo quadro, è ammirevole che l'ex ministro tenti di rivitalizzare un discorso di sinistra, ma, come nota Navarro, lo fa in modo fuorviante. Probabilmente, DiEM25 non è destinato a costituire la base per un futuro manifesto progressista. Va ammesso, al limite, che DiEM25 riguarda l'Europa, un continente talmente vincolato dal difettoso (neoliberale) sistema monetario (l'euro), che è difficile sostenere un qualunque sviluppo progressista senza che si abbandoni tale assetto monetario. Il solo modo con il quale lo stato-nazione potrebbe riaffermare la propria sovranità è l'uscita da quel fallace sistema monetario. Uno stato-nazione deve avere il controllo della propria valuta oltre ad avere un sistema legislativo con il quale affermare la sua indipendenza e la capacità di provvedere al benessere della popolazione. Gli stati membri dell'eurozona potrebbero generare uno stato-nazione sovrano soltanto se rinunciassero ulteriormente alla loro identità e si accordassero per creare un'Europa federale con il pieno controllo della valuta, affidata a a un governo europeo di livello federale. Come ho spiegato nel mio libro Eurozone Dystopia: Groupthink and Denial on a Grand Scale questo non accadrà. Ovviamente queste osservazioni condizionano tutto ciò che dico a proposito degli argomenti di Varoufakis e Navarro, entrambi sostenitori dell'eurozona e del progetto europeo, che è stato tradito dal consenso di Bruxlesses-Washington-Francoforte e che fa venir meno persino gli elementi essenziali della democrazia. Varoufakis e Navarro sostengono entrambi che bisogna attivare un ampio movimento per introdurre la democrazia nelle istituzioni che governano la UE, anche se non concordano sul percorso da intraprendere per riuscirci. Il loro punto di disaccordo è, nelle parole di Navarro, che “Varoufakis crede (sbagliando, secondo me) che lo stato-nazione sia praticamente scomparso nella UE” e che “è un pò troppo dire, come fa l'ex ministro greco, che gli stati hanno perso tutto il potere”. 
Credo che sia Varoufakis che Navarro abbiano una notevole perspicacia, ma nonostante ciò, abbiano torto.
Concordo con Varoufakis quando dice, per usare le parole di Navarro: “i governi e i parlamenti negli stati-nazione sono stati trasformati in mere cinghie di trasmissione di tutto quanto viene deciso dalla Troika e dalle istituzioni associate”. In un'intervista dal titolo Democracy, power and sovereignty in today’s Europe nel dicembre 2015, l'ex ministro ha esposto la sua idea di stato-nazione.
In quella occasione ha detto che: “la sovranità dei parlamenti è stata dissolta dall'Eurozona e dall'Eurogruppo. La possibilità di compiere il proprio mandato al livello dello stato-nazione è stata sradicata e quindi qualunque manifesto indirizzato ai cittadini di un particolare stato membro diviene un esercizio teorico. Impossibile, in questo quadro, adempiere a un mandato elettorale”.
Questo, nel contesto dell'eurozona, è innegabile. Ma deriva dalla decisione, assunta dagli Stati membri, di unirsi all'UME, rinunciare alla capacità di emettere moneta e, inoltre, di cedere al cospetto delle disfunzionali regole fiscali (Patto di stabilità e crescita nonchè i trattati seguenti chiamati two-pack, six-pack, fiscal compact) e permettere alla Banca centrale di sottrarsi al controllo democratico. 
Quando, nella stessa intervista, è stato chiesto a Varoufakis“se tornare alla moneta nazionale avrebbe perlomeno potuto restituire un minimo di credibilità democratica”, rispose: “l'idea di tornare allo stato-nazione per creare una società migliore, secondo me è particolarmente stupida e non plausibile”. Ha poi delineato un quadro piuttosto deprimente di ciò che potrebbe accadere se si lasciasse l'euro, compresa la stagflazione e persino una grande guerra, cioè quel tipo di tattiche volte a incutere timori che la Destra sa diffondere abilmente, ma che poi non sono seguiti dai fatti. Sono profondamente in dissenso rispetto a questa visione dell'Europa senza euro e lo sarò fintanto che il deludente corso neoliberale non sarà anch'esso abbandonato e le nazioni non impiegheranno la loro sovranità monetaria per ottenere il benessere dei propri cittadini. Ho parlato di questo nel mio libro prima citato. Il Democracy in Europe Movement 2025 dell'ex ministro delle finanze greco suggerisce che c'è una terza via (scusate!) fra due opzioni terrificanti (ritornare nel guscio dello stato-nazione... O arrendendersi alla zona libera di Bruxlesses): “un'ondata di democrazia...una semplice, idea radicale...democratizzare l'Europa”.
E mentre la Grecia patisce una disoccupazione di lungo periodo del 25%, DiEM25 attende allegramente il 2025 per raggiungere il suo scopo. E, comunque, come si creerà questa ondata? Ebbene, propongono un percorso graduale:
1.Subito, piena trasparenza nei processi decisionali delle maggiori istituzioni politiche europee (Consiglio Europeo, Consiglio dei ministri delle finanze, BCE); pubblicazione dei verbali degli incontri, dei registri dei gruppi di pressione, ecc.;
2.Entro un anno, affrontare la crisi economica impiegando le istituzioni esistenti, nei limiti dei trattati vigenti – sarebbe a dire, nella camicia di forza neoliberale! Qualche passo avanti democratico!;
3.Enrtro 2 anni, un'Assemblea costituente democratica per decidere su una futura costituzione democratica che sostituirà, entro un decennio, i trattati esistenti;
4.Entro il 2025 l'attuazione delle decisioni dell'Assemblea costituente.
Non è proprio un granchè. 
Ma soprattutto si suppone che la situazione storica e culturale in Europa permetterebbe a una sorta di Parlamento europeo riformato di diventare un'istituzione federale che governi l'Europa sul modello di quanto avviene negli Stati Uniti o in Australia. Ciò presuppone che gli attuali stati europei, con tutti i loro antagonisti, presenti e passati, diversità culturali, di lingua e di identità nazionali, vorranno diventare “stati Americani”. Non devono fissare una data. In tutte le discussioni su Maastricht e dintorni, la vera questione è stata quella. Una delle ragioni per cui l'UME è una costruzione così difettosa è proprio che gli stati mebri si sono rifiutati di rinunciare ad altro, oltre che alla loro moneta e alla banca centrale, cioè le istituzioni politiche cruciali. L'idea che la Germania potrebbe perderebbe la propria preminenza in un Parlamento europeo nel quale i rappresentanti spagnoli o greci avrebbero un potere decisionale pari a quello delle provincie tedesche è, per usare le parole di Varoufakis, “particolarmente stupido e non plausibile”. E' questo il problema della UME, un percorso a metà. Gli stati membri non sono più sovrani, nel senso che non hanno più la moneta, eppure restano aggrappati alla politica nazionale. Il livello europeo non è un'istituzione democratica e, agli occhi dei cittadini, non appare un governo federale legittimato. Veramente il peggiore dei mondi possibili. In questo articolo, Thomas Fazi (February 9, 2016) – A Critique Of Yanis Varoufakis’ Democracy In Europe Movement (DiEM25) va più a fondo in questi problemi.
Navarro ritiene che mentre i Parlamenti nazionali nella UME sono “seriamente vincolati da queste istituzioni” sia esagerato dire che hanno perso completamente il potere. E che sia sbagliato ritenere che governi e parlamenti applichino le politiche di austerità (con i tagli al welfare state) dichiarando di non avere altra scelta. Quindi cita scelte fatte da diversi governi spagnoli che hanno tagliato il deficit pubblico, dando a questa misura la priorità rispetto all'aumento delle tasse, quali esempi di discrezionalità rimasta ai parlamenti nazionali nonostante i limiti imposti dalle regole della UME. Ha anche citato l'attuale governo portoghese, il quale “ha fermato l'applicazione delle politiche di austerità impostegli dalla Commissione europea”.
Concordo con questa affermazione. Anche all'interno delle regole draconiane e arbitrarie, stabilite per depoliticizzare il funzionamento dell'UME, i governi nazionali hanno qualche capacità di prendere decisioni economiche, soggette, naturalmente, al giudizio finale dei mercati finanziari privati, dato che gli stati membri hanno rinunciato alla prerogativa di emettere moneta. 
Allora, le cose stanno così: gli stati nazioni hanno ancora una certa discrezionalità fintanto che non violano le regole fiscali, e se, soltanto se, i mercati dei titoli sono disposti a prestargli euro per permettergli deficit fiscali. In tempi normali, tale “flessibilità” potrebbe rivelarsi sufficiente, un 3% di deficit sul Pil potrebbe consentire un certo stimolo fiscale per la crescita. E' difficile che i mercati boicottino un governo che avesse un 3% di deficit ma che desse l'impressione di avere un'economia in forte crescita e una bassa disoccupazione. Data questa flessibilità, cosa è stato, a partire dalla crisi, a impedire ai governi di prendersi cura dei propri cittadini (in termini di lavoro, sostegno al reddito, ecc.)? La risposta è la diffusione del pensiero neoliberale.
Come abbiamo visto in Gran Bretagna e altrove, anche nazioni con moneta propria hanno avuto cattive prestazioni dopo l'arrivo della Grande Crisi Finanziaria. Il record di John Osbourne in Gran Bretagna è impressionante. E ciò perchè ha applicato il distruttivo approccio neoliberale alla sua politica. Questa ideologia ha moltiplicato i problemi all'interno dell'eurozona e la via per uscirne deve includere sia l'abbandono dell'euro, sia l'accettazione di una quadro di politica più progressista. Nel mio libro – Eurozone Dystopia: Groupthink and Denial on a Grand Scale – scrivo che la semplice uscita dall'euro con il mantenimento dell'ortodossia neoliberale sarebbe un probabile disastro, lo stesso che predicono coloro che si schierano contro l'abbandono dell'euro. Navarro dovrebbe essere d'accordo, perchè scrive: “veramente, molti di tali governi (in modo particolare i liberali e i conservatori) stanno perseguendo, attraverso politiche impopolari, quello che hanno sempre voluto: ridurre la forza dei lavoratori e smantellare il welfare state. Ciò a cui assistiamo in ciascun paese è un'allenza fra i gruppi di potere economici e finanziari sostenitori delle politiche pubbliche le quali, se calate dalla Troika e dalla dirigenza europea, i parlamenti nazionali non approverebbero. Adoperano le istituzioni europee, che mancano di credibilità democratica, per ottenere ciò che hanno sempre voluto, e si giustificano dicendo: non ci sono alternative. Ma, ovviamente, alternative ve ne sono”.
Da una parte, il neoliberalismo si è rinforzato con le dinamiche di un pensiero diffuso che non fa vedere alternative ai politici. Dall'altra, una visione progressista della politica basata sulla comprensione dei principi della Teoria Monetaria Moderna, darebbe ai governi nazionali la capacità di perseguire come obiettivo primario il benessere della gente. Chiaramente, l'ortodossia attuale non ammette alternative. Il rilievo di Navarro, che a livello nazionale vi è un poco di flessibilità, è esatto fintanto che i mercati finanziari non costringono un paese a chiuedere, come nel caso della Grecia. Chi investe in titoli non può danneggiare uno stato che emette moneta. Ma può sicuramente mandare in rovina uno stato membro dell'eurozona. Il che rappresenta una differenza sostanziale fra i due tipi di sistema monetario. Navarro non condivide neppure la proposta del DiEM 25 relativa al “reddito di base garantito” o “reddito di base universale”, come sostituto del welfare state. 
Sotto questo aspetto, gran parte del ragionamento di Varoufakis si basa su una nozione sbagliata di come si finanziano i programmi di spesa pubblica. Alla “ Future of Work Conference” (May 5, 2016), Varoufakis ha detto: Il reddito di base è una necessità...questa socialdemocrazia, il paradigma del “New deal”, è finita e non può essere rianimata...è soffocata...la classe lavoratrice non può più sostenersi...perchè i salari ristagnano a un punto tale...la politica è ormai completamente tossica...l'intelligenza artificiale prenderà il posto dei lavori ripetitivi...un effetto sostituzione di massa...sopravanzerà la creazione di lavoro...che rinforzerà la tendenza alla deflazione...e a un aumento ancora maggiore della ineguaglianza di reddito.
Così, uno degli argomenti è che la classe lavoratrice non può più attendersi un welfare state perchè, nelle parole di Navarro (che riassume il pensiero di Varoufakis):
“il suo finanziamento non è sostenibile perchè esso dovrebbe provenire dal versamento delle tasse correnti che diminuiranno a causa del ridotto numero dei lavoratori e a causa del ridotto livello dei salari”.
Se si interpreta correttamente la posizione dell'ex ministro delle finanze, è chiaro che egli cade nella narrazione neoliberale secondo la quale un governo, pur in grado di emettere moneta, deve finanziare la propria spesa e se la base contributiva si restringe è costretto a tagliare la spesa. Naturalmente, la realtà è molto diversa. Un governo sovrano non soggiace a limitazioni di entrate perchè è il monopolista della moneta che può essere emessa. E' chiaro che questo non vale per i singoli stati membri dell'eurozona ma vale per l'eurozona nel suo insieme, considerata la capacità della BCE. Un governo sovrano può acquistare qualunque cosa sia disponibile sul mercato, con la propria moneta, ogni volta che ha la volontà politica di farlo. Ciò vale altresì per la manodopera, anche indolente. La sfida al calo del lavoro dovuto alla robotica è lo sviluppo di nuovi tipi di impiego, piuttosto che considerare la perdita dei posti di lavoro tradizionali come la fine del lavoro salariato nel modo in cui l'abbiamo conosciuto. Questa posizione arrendevole è caratteristica della sinistra moderna, a cominciare dall'adozione del monetarismo da parte del Partito Laburista Britannico e dal suo avvicinamento alla politica dei prestiti da parte del Fondo Monetario Internazionale (con il pretesto che non si sarebbe più potuto finanziare il welfare), il quale ha scartato posizioni alternative basate sull'evidente fatto che, con la prerogativa di emettere la sterlina, non si può mai essere a corto di soldi. A questo punto la domanda logica è: se il governo non può più permettersi di mantenere un welfare state adeguato, allora come può permettersi di sostenere un sistema che provveda a un reddito di base in grado di garantire un livello di vita dignitoso? Non voglio addentrarmi ora nell'argomento. Ne scriverò presto e ne ho già scritto in passato sul blog Income or employment guarantees?
Non credo che sostenere il “reddito di base garantito” si collochi in una posizione progressista. E' una posizione piuttosto fallace e riflette spesso un fallimento nel comprendere la capacità dello stato di aumentare l'occupazione, se solo lo vuole. Più avanti affronterò anche la questione dei problemi legati alla robotica. Credere che il numero e il tipo di nuovi lavori produttivi che possono essere creati in una società sia limitato, può essere soltanto frutto dell'immaginazione, nonostante la variazione nella composizione dell'occupazione che l'automazione potrà generare. Predire una contrazione dei posti di lavoro nel futuro proviene da una immaginazione piuttosto limitata. Col passare del tempo dovremo ridefinire il significato di sforzo produttivo, ma il dibattito aiuta a mettere a fuoco ciò che penso debba essere una posizione progressista in relazione a questi problemi. Dal mio punto di vista, non ho ancora trovato una bandiera bianca da sventolare. Pare che l'ex ministro delle finanze greco sventoli continuamente bandiere bianche. L'arrendevolezza mentale si è profondamente insinuata nella sinistra, particolarmente in quella europea. Navarro spiega la differenza del suo punto di vista rispetto alla descrizione di socialdemocrazia fatta da Varoufakis, che considera una versione ristretta di welfare state esemplificato dal modello Cristiano Tedesco, in cui il finanziamento del welfare state avviene grazie ai contributi dei lavoratori. Questa visione ristretta del welfare state era “più una caratteristica della corrente conservatrice piuttosto che di quella socialdemocratica”. E va distinta dal più generale modello di welfare state, dove I benefici sono riconosciuti a chiunque, in ragione di un diritto di cittadinanza. Il modello generale, secondo Navarro, è finanziato dalla fiscalità generale piuttosto che dai contributi dei lavoratori. Il punto è però che entrambe le concezioni cadono in un dibattito superfluo su come può uno stato permettersi di mantenere il sistema. E questo un impianto concettuale neoliberale dal quale nè Navarro nè Varoufakis sembrano, con i loro argomenti, poter uscire. I vincoli che si oppongono al finaziamento del welfare state provengono dalla volontà politica. Non si tratta affatto di un vincolo finanziario e così, tutti gli argomenti che vengono elaborati circa il reperimento delle risorse evaporano o sono comunque irrilevanti. Non devono in alcun modo far parte di nessuna visione politica progressista. I progressisti devono affrontare i problemi che contano e non farsi distrarre da certi argomenti spuri, i cosiddetti problemi di finanziamento. Navarro cita la volontà politica ma sempre in un contesto di restrizione fiscale. Dice: “nel modello socialdemocratico, le entrate dello stato sono legate alla volontà politica dello stato circa la tassazione sul capitale e circa la tassazione sul lavoro, e questo dipende soprattutto dai rapporti di forza in uno stato-nazione”.
Di nuovo: si gira intorno al punto cruciale. Che è, ancora usando le sue parole, “finchè la gente sosterrà lo stato sociale, esso sarà finanziato”. Ecco il punto. I governi possono spendere ciò che vogliono se pensano di poterlo fare politicamente. Cambiare il panorama politico richiede un processo educativo in modo che i cittadini possano apprendere ciò che è un sistema valutario a corso legale e quali possibilità offre ai governi l'emissione di moneta. Allora la politica cambierebbe perchè i governi non potrebbero più rifiutarsi di sfruttare un'opportunità che porterebbe benessere, o, continuare con una scelta che mina il benessere sulla base che non ci sono soldi o non c'è alternativa. I cittadini con tale conoscenza acquisirebbero potere e rifiuterebbero del tutto governi che hanno mentito circa il fatto di non avere risorse.
Continua il travaglio per stabilire una coerente posizione progressista.

Traduzione di Sergio Farris per facciamosinistra! 
Fonte: Blog dell'Autore 

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