La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 17 settembre 2016

Lega: dalla secessione alla nazionalizzazione delle paure

di Ilvo Diamanti
Sono passati vent'anni da quando, proprio in questi giorni, il popolo della Lega discese lungo il Po, al seguito di Umberto Bossi. Il leader e padre della Lega, al Monviso, riempì un'ampolla d'acqua di sorgente. Fino ad arrivare a Venezia. Un rito, ripetuto ancora, per segnare i confini padani. Da allora, pare trascorso un secolo. E anche più. Tanto che se ne sono dimenticati tutti. Perfino i leghisti. Eppure, vent'anni fa, quella marcia apparve una sfida eversiva. Alle istituzioni e all'identità nazionale. Vent'anni fa. Tutti gli occhi e gli occhi di tutti erano puntati sul Po. Presentato, dalla Lega, come un muro. Tra due Nazioni distanti. La Padania e l'Italia.
La Padania opposta all'Italia. Due società che esprimevano valori e modelli alternativi. Il Nord padano contro Roma ladrona. La società produttiva contro lo Stato assistenziale e il Sud assistito. La marcia padana veniva dopo oltre dieci anni di leghismo. Dal 1983, quando la Liga Veneta aveva fatto la sua comparsa, appariscente, nel Nordest. In particolare, nel Veneto Centrale. A Vicenza, Padova, Treviso, Verona. La Lega delle Leghe: si allargò presto ovunque, nel Nord. In Lombardia e in Piemonte. Soprattutto nelle aree del lavoro autonomo. Così, nel 1993, a Milano, alle prime comunali con elezione diretta del sindaco, la Lega riuscì a imporre il proprio candidato, Formentini. E il "suo" Nord divenne Nazione. La Padania, dove cresceva l'insoddisfazione fiscale e l'insofferenza verso lo Stato assistenziale e il Sud assistito... Alle elezioni politiche dell'aprile 1996, agitando la bandiera dell'indipendenza, la Lega ottenne oltre il 10% dei voti validi. Quasi quattro milioni. Il 23% nel Nord "padano". Ma oltre il 25% in Lombardia e quasi il 30% in Veneto. La Lega, allora marciava da sola contro tutti. Ma soprattutto contro il Polo di Centrodestra. La coalizione costruita da Silvio Berlusconi, intorno a Forza Italia, nel 1994 aveva vinto le elezioni. Sulle macerie dei partiti della Prima Repubblica, aggregò la Lega e i post-fascisti di Alleanza Nazionale. Ma governò pochi mesi. Troppe differenze e troppe ambizioni divergenti, allora. Di partito e personali. Fra Berlusconi, Fini e lo stesso Bossi: chi poteva comandare sugli altri?
Così, la Lega riprese la strada dell'indipendenza. Non solo dall'Italia, ma anche dal Polo e, ovviamente, dai partiti nazionali di sinistra. Insomma: da tutti. Alle elezioni politiche del 1996, dunque, la Lega padana e indipendentista corse da sola. Sconfisse il Centrodestra, nel Nord. E, di conseguenza, in Italia, favorì la vittoria dell'Ulivo, guidato da Romano Prodi. Così, per ri-affermare la missione politica e sociale leghista, Bossi decise di mobilitare la protesta dei ceti produttivi del Nord contro lo Stato Centrale. Contro Roma. E si mise in marcia. Non su Roma, ma lungo il Po. La marcia sul Po: nell'estate di vent'anni fa monopolizzò l'attenzione dei media e dell'opinione pubblica. Riprodusse e amplificò tensioni e paure. Perché si trattava di tensioni e paure reali. La "frattura" tra società, politica e istituzioni era forte, allora. Come il distacco fra i ceti produttivi del Nord e il sistema politico romano. Mentre l'identità nazionale, in vista dell'avvio del sistema monetario europeo, appariva incerta. Tanto da rendere realista la questione, evocata da Gian Enrico Rusconi: cosa può avvenire "se cessiamo di essere una nazione? ".
Il sostegno alla secessione fra i cittadini, però, era limitato. Canalizzava, piuttosto, altre domande: il federalismo, l'autonomia fiscale, l'efficienza della macchina pubblica. E intercettava l'insoddisfazione verso i partiti, vecchi e nuovi. Tuttavia, la debolezza delle istituzioni e del sistema politico, dopo la dissoluzione della prima Repubblica, era tale da far temere che le crepe aperte dalla Lega potessero produrre fratture profonde. Facendo diventare la Padania ben altro che una provocazione folclorica. Da ciò la preoccupazione, diffusa. Fino al 15 settembre 1996. Quando a Venezia, destinazione della marcia, arrivarono qualche decina di migliaia di militanti. Mentre lungo il Po marciavano non più di 100 -150 mila persone. Meno di quanto avrebbe potuto attirare una festa popolare di fine estate. Allora finì la "grande paura". Della secessione. Della fine della nazione.
Ma non è finita la Lega. Che, però, vent'anni dopo, è cambiata profondamente. Anche se, dal punto di vista geo-politico, conserva il profilo tradizionale. Infatti, nel Nord: governa le Regioni del Lombardo-Veneto. Fino ad alcuni anni fa: anche il Piemonte. In ambito nazionale, ha conosciuto una lunga esperienza di governo, insieme al centrodestra. Accanto a Berlusconi. Ma, nel frattempo, ha cambiato strategia e identità. La secessione ha, progressivamente, lasciato il posto all'in-dipendenza, cioè, all'autonomia. Perché la secessione non la vuole quasi nessuno, neppure fra gli elettori della Lega. Ma tutti vogliono più federalismo. Vent'anni dopo. La Lega non è più il "partito di Bossi". Ma resta un "partito personale".
La Lega di Salvini. Che ha trasformato profondamente l'identità leghista. Da partito secessionista a partito di protesta. Agita la politica dell'anti-politica. Intercetta e amplifica l'inquietudine del mondo che ci assedia. La Lega di Salvini: imprenditore politico della paura. Anzitutto: degli immigrati. E poi: portabandiera dell'euro-scetticismo. Interlocutore e alleato di Marine Le Pen, leader del Front National. Così oggi Salvini guida la Ligue Nationale. Nella quale (sondaggio Demos, sett. 2016) prevalgono gli elettori di Destra (36%) e di Centro-destra (26%). Un partito anti-partito. Alternativo a tutti i partiti. Per questo, il suo maggiore avversario, il soggetto politico che più degli altri ne condiziona l'espansione, è il Non-partito per (auto) definizione. Il M5s. La Lega, invece, condivide lo spazio politico con Forza Italia e Berlusconi. Che Salvini tratta da concorrenti. Anche per questo, però, è messo in discussione dai precedenti "capi" della Lega. Bossi e Maroni. Che continuano a considerare Berlusconi un alleato. Obbligato, se non privilegiato. Vedremo domenica, a Pontida, le reazioni del "popolo leghista" a queste scelte. A queste tensioni interne. Politiche e personali.
Vent'anni dopo, coerente con la nuova identità, la Ligue Nationale ha cambiato geografia. Si è nazionalizzata. Secondo i sondaggi più recenti, oggi avrebbe superato il 10%, in Italia. E il 15% nel Nord (il 25% nel Nord Est). E sarebbe intorno al 9-11% al Centro, e al 6-7% nel Sud e nelle Isole. Perché la paura non ha confini. E non ha bisogno di marce per venire coltivata. Al contrario. La "Lega degli uomini spaventati" dissemina il Paese di confini. Fra noi e gli altri.

Fonte: La Repubblica 

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