La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 11 novembre 2016

La rivincita dell'anti-Gandhi, paladino degli "intoccabili"

di Raimondo Bultrini
La prima statua ufficiale del re dei dalit Bhimrao Ramji Ambedkar venne inaugurata a Bombay nel 1962, a sei anni dalla morte. Ma fin dal giorno della sua cerimonia funebre il 6 dicembre 1956, nelle più remote campagne dell'India e nei suburbi per gli "Intoccabili" delle nuove metropoli cominciò una frenetica gara per costruirne migliaia di diversa foggia e dimensione. Oggi ne svettano 60 mila nel solo Uttar Pradesh, la più popolare delle quali lo ritrae in abiti occidentali da avvocato, quale egli era, nonché filosofo detto affettuosamente Babasahev, il signor Padre.
Ha una copia della Costituzione nazionale scritta di suo pugno e l'indice puntato a monito supremo: "La nascita non decide la pena", il motto con cui a milioni lo ricordano fino ai giorni nostri.
Passati sei decenni esatti dalla scomparsa di questa figura storica dell'antiapartheid dell'Asia, antitesi incarnata del "buonismo" gandhiano, l'India gli rende omaggio con celebrazioni e raduni di massa che di anno in anno crescono in numero e gettano sempre nuova luce sul pensiero e il messaggio di un fuoricasta che la sua gente considera l'unico vero rappresentante degli emarginati e negletti, il primo che ha fatto sentire la loro voce nei Palazzi.
Secondo solo a Gandhi in quanto a popolarità ma non per numero di statue, salì ai vertici del mondo accademico e giudiziario nonostante le severe restrizioni imposte dal suo infimo status sociale. Dopo gli studi perfezionati negli Stati Uniti e in Inghilterra, Ambedkar ha passato la vita a cercare di convincere gli induisti che gran parte dei mali dell'India viene da un sistema religioso crudele all'origine, che divide dall'alto in basso la società. Usava il termine Bramanesimo o religione delle caste, zeppo di dogmi che discriminano come "impuri" milioni di esseri umani venuti al mondo nella famiglia "sbagliata".
Per decenni, fuori dal Continente, è rimasta in sordina la sua sfida al Mahatma, che non ha mai contestato i testi sacri e la separazione rituale dei censi. Eppure milioni di dalit e altre caste arretrate non amavano sentirsi definire dalla Grande anima con un termine di moda in occidente, Harijan , figli di dio. Ambedkar lo vedeva come uno dei tanti falsi gesti "caritatevoli" lasciati scendere dall'alto senza mai identificarsi nella causa della sofferenza, la piramide di privilegi costruita nei millenni dagli hindu.
Col tempo Gandhi divenne il principale destinatario degli scritti più taglienti di Ambedkar, come il celebre discorso sull'"annientamento delle caste" del '37, censurato perfino dai bramini più moderati e oggi uscito in ristampa, con o senza la pepata prefazione di Arundhati Roy. «Per molti hindu, egli (Gandhi) è un oracolo» scriveva «così grande che quando apre le sue labbra ogni argomento si ritiene chiuso e nessun cane può abbaiare». Ma, aggiunge dissacratorio, «il mondo deve molto al ribelle che osa argomentare col pontefice e insiste che egli non è infallibile».
La logica del ribelle Babasahev divenuto ministro indipendente della Giustizia, lo portò alla guida di un vasto movimento che stava per unificare per la prima volta nella storia dell'India oltre 44 milioni di Fuoricasta, a quel tempo 5 volte superiori in numero ai neri d'America e 6 volte inferiori al resto della popolazione continentale.Per capire la sua influenza, quando Ambedkar fu sul punto di creare liste elettorali separate della sua gente, Gandhi iniziò un digiuno a oltranza per impedirglielo in nome dell'unità di tutti gli hindu. Babasaheb non se la sentì di accollarsi la responsabilità della morte di un avversario tanto amato dalle masse e dal mondo. Ma la sua retromarcia tattica per salvargli la vita non significò la fine dei suoi attacchi al sistema di censo dei "quattro varna" e ai "santi" – diceva non senza ironia – che lo difendevano.
La fama di Ambedkar come paladino dei principi di eguaglianza socialedivenne tale che fu affidata a lui la stesura della prima Costituzione dell'India dopo la fine del colonialismo inglese, alla lettera la più voluminosa e democratica del mondo. Sparì ogni discriminazione di fede o censo e si incrementò il sistema di quote per lo studio e il lavoro delle categorie emarginate. Il suo testo ha permesso anche la nascita di nuovi Stati per separare etnie da sempre in conflitto, come il Telangana dove gli sarà dedicata la più alta statua del mondo, 40 metri, in competizione con quella analoga di Lucknow nell'Uttar Pradesh. Ma ancora oggi lo spirito egualitario di quelle pagine non tocca il destino delle decine di milioni di dalit e dei tribali, rimasti indietro anche nei pensieri di Babasaheb. Come accadde al loro idolo, in molte scuole gli studenti dalit ancora siedono negli angoli più remoti delle classi, e si tengono ben distanti dai compagni di studi d'alto censo, mangiano con diverse posate e bevono da diversi bicchieri e fonti. Lo stesso insegnante bramino che adottò come pupillo il giovane Ambedkar gli versava da bere nella ciotola facendo cadere l'acqua dall'alto per non "contaminarsi".
Molto è cambiato nelle città e nelle regioni più progredite, eppure lo status continua a separare a ogni livello gruppi che lottano con le unghie e con i denti per mantenere vecchi privilegi o per abolirli, come nel caso delle quote riservate, all'origine di molte rivolte. I nemici delle riforme anti-apertheid e delle leggi contro le atrocità di casta hanno spesso preso di mira e danneggiato le sue statue proprio per il suo ruolo di artefice della rinascita dalit, dal Tamil Nadu all'Haryana, dal Punjab all'Uttar Pradesh. Nella città di Nagpur in Maharastra, dove è nata anche la più grande organizzazione della destra fondamentalista hindu, la Rss, a centinaia di migliaia si sono ritrovati insieme il 14 ottobre scorso, come ogni anno, i dalit e i figli dei dalit che nel ‘56 abbracciarono il buddhismo su invito di Babasahev per sfuggire alle discriminazioni. Quella inedita conversione di ben 600 mila anime (oggi sono parecchi milioni) diede il via alla prima forma di separazione storica dei Fuoricasta da un sistema che non li considera degni nemmeno di sfiorare l'ombra di un bramino, guerriero o mercante di alto lignaggio.
La simbolica scelta di una religione che non discrimina il censo dei devoti è solo parte dell'eredità lasciata ai posteri dal grande pensatore nato nella famiglia di una semplice guardia e sposato a una donna, Ramabai, che faceva le pulizie per mantenerlo agli studi. La sua idea di modernità in contrasto con la visione conservatrice di Gandhi – che riteneva l'industria un mostro da combattere con vanghe e arcolai – è un altro degli aspetti della contesa tra questi due poli di una visione opposta del futuro nel prossimo più popoloso Paese del pianeta. Da anni la politica si è appropriata di Babasahev e nel grande Stato dell'UP i comizi delle elezioni di primavera sono già stracolmi di bandiere col suo volto, marchio di garanzia della Intoccabilità doc. Il primo a utilizzare massicciamente statue e ritratti del padre della Costituzione fu il partito dei fuoricasta Bsp dell'UP portato 4 volte al potere da Mayawati, ribattezzata "la regina dei dalit". Prima di venire sconfitta nell'ultima votazione, aveva costruito alla gente della sua origine un grande Memoriale dell'Orgoglio dalit nel cuore del capoluogo Lucknow, ovviamente intitolato a B.R. Ambedkar. Tra mura e cupole di minareti fece trasportare statue in marmo, bronzo e peperino non solo di Babasaheb e di sua moglie ma di molti altri leader storici dei fuoricasta compresa se stessa, contestate come spese folli in uno Stato tra i più poveri del mondo. Anche il governo nazionale dell'ultrareligioso Bjp ha commissionato busti e figure intere del leader dalit in cerca di voti, e per i 60 anni dalla morte ne sarà inaugurata un'altra in competizione d'altezza non tanto col Babasaheb del Telangana, quanto con la Statua della libertà e quella del Cristo Redentore di Acapulco.
Nonostante la megalomania architettonica dei seguaci, fuori dal Sud dell'Asia solo qualche studioso è consapevole della sua influenza in una fascia di opinione pubblica inascoltata, gente che su suo consiglio negli anni '30 bruciava le copie del Manusmrti , il primo libro sacro degli induisti dove è scritto che la testa dell'uomo è il bramino, il torso il guerriero, le gambe il mercante e i piedi il Sudra o servitore. Per quel testo attribuito a Brama stesso, anche l'ultimo anello delle caste superiori può vantare – scriveva Babasaheb – una supremazia di "purezza" rispetto a dalit e tribali, in un effetto domino sull'intera società che dura ancora in forme spesso estreme. È di pochi mesi fa l'episodio di un gruppo di dalit frustati a sangue dai bramini per aver scuoiato carcasse di vacche sacre nel Gujarat.
Per spiegare la grande contraddizione di un destino acquisito alla nascita, Ambedkar scrisse che «se uno dovesse seguire la sua chiamata ancestrale, allora uno sfruttatore di prostitute deve continuare a farlo perché lo faceva il nonno e una donna dovrebbe essere prostituta perché lo era la nonna. È preparato il Mahatma a seguire questa logica conclusione della sua dottrina?» gli domandava malizioso. Gandhi rispose con lunghe lettere per dichiarare la sua fedeltà a una tradizione di divisioni religiose e sociali senza le quali, disse, in India regnerebbe l'anarchia.

Fonte: La Repubblica 

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