La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 10 novembre 2016

L'establishment macinerà anche Trump. Intervista a Nadia Urbinati

Intervista a Nadia Urbinati di Fabrizio Patti
«Su Trump sospendo il giudizio, vediamo di chi si circonderà. Intanto ha già abbasato i toni: sta già tornando nei gangli dell’istituzione americana, che macina e modera tutto». Nadia Urbinati, titolare della cattedra di Scienze politiche alla Columbia University di New York, crede che sia arrivato il momento non solo di capire le ragioni di una vittoria inaspettata da tutti gli studiosi e gli esperti di sondaggi. Ma anche di vedere nel merito come governerà. Perché se sono da condannare le sue uscite razziste e sessiste, è anche vero che nessuno sa cosa farà, perché in concreto non ha promesso nulla.
Di certo c’è che il populismo di Trump ha radici molto diverse da quello europeo di Marine Le Pen o Viktor Orbán e l’Europa, piuttosto, dovrebbe approfittare dei nuovi rapporti che si possono aprire con la Russia di Putin.
Professoressa, si attendeva questo risultato?
"Lo sappiamo che non era atteso. È anche questa la dimostrazione della mancanza di radar cognitivi e predittivi che hanno le scienze politiche ma anche gli esperti di sondaggi. Evidentemente qualcosa non funziona. Non è la prima volta che succede qualcosa del genere ma questa volta l’errore è stato mastodontico. Nemmeno i sostenitori e i responsabili della campagna di Trump ci credevano. Ieri sera dicevano: “soltanto un miracolo può farci vincere”. È una vittoria uscita dalla traccia dei radar."
Come è riuscito Trump a intercettare qualcosa che nessuno aveva capito?
"Di fatto non ci sono progetti politici su che cosa fare, con la condizione di un lavoro industriale che scompare, con la delocalizzazione che porta un lavoro residuo negli Stati Uniti e che trasporta il grosso nel Sud Est asiatico, dove il lavoro costa nulla. Ci sono delle ragioni strutturali, rispetto alle quali i partiti non sanno cosa dire. Perché seguono, soprattutto il Partito Democratico in questo caso, senza troppa critica o autocritica la cultura del mercato, post-blairista: se noi aiutiamo la tecnologia a svilupparsi e il mercato ad aprirsi tutto si risolverà da sé. Loro non hanno una strategia, delle strutture di pensiero che vadano al di là del mercato. È il pensiero unico di tutta la dirigenza democratica. Dall’altro lato c’è una popolazione che è fuori da ogni comprensione."
Perché?
"Perché i punti di riferimento [dei partiti] sono le università, le grandi megalopoli, le grandi città. Il cittadino ordinario non ha più nulla: non ha i partiti, non ha le attività amministrative locali, perché sono tutti impoveriti, diciamo la verità. Che cos’ha per farsi sentire? Ha i social network. E ha un modo nuovo di aggregazione, attraverso delle forme fai-da-te. È attraverso queste forme che si è creato lo stesso movimento attorno a Trump. Fuori dal partito repubblicano, contro il partito repubblicano."
E per che cosa?
"Non lo so e non lo sa nessuno. In fondo Trump è un outsider totale. È un palazzinaro, è l’equivalente di un Caltagirone, con bancarotte e riprese, non ha mai avuto un incarico politico. È un puro della politica e la politica là è una ragione di male, mentre non lo è l’industria e il farsi le ossa nel business. Quindi lui rappresenta al meglio il bene, il male, la debolezza umana del mondo ordinario dei cittadini americani. Perché non puntare su di lui invece che su una rodatissima donna di potere che sta a Washington da 30 anni in modo o nell’altro?"
Cos’è quello di Trump? È populismo, è gentismo, è qualcos’altro?
"Il populismo in America non ha una valenza negativa come da noi. È nato là ed è nato nell’Ottocento come una forma di democratizzazione di una repubblica ormai oligarchica. Ha tutti i crismi della democrazia. È il mito della comunità locale e del cittadino ordinario contro l’artificiosità del sistema politico e delle retoriche politiche. In questo senso senso il populismo non è cattivo, là. Trump lo ha reso molto cattivello, perché ha usato un linguaggio durissimo, che però è il linguaggio che lui usava già nelle trasmissioni televisive. Lui è un navigatissimo presentatore. Gli americani lo conoscevano già molto bene. E si identificano con lui per la sincerità quasi radicale che ha sempre esemplificato. Chiamiamolo populismo. Nel merito ora si tratta di vedere come governa."
Cosa si aspetta dalla presidenza Trump? Che andrà in fondo con le cose che ha promesso?
"Ma cos’ha promesso, in fondo?"
Ottima contro-domanda.
"Lui ha criticato l’amministrazione Obama, ha criticato la politica sanitaria. Tra l’altro la stessa Clinton l’ha criticata perché è una politica che impone con finanziamenti un aiuto dello Stato ai datori di lavoro e agli operai per comprare un’assicurazione sulla salute, facendo in questo modo lievitare i prezzi di tutte le assicurazioni. Trump ha sfondato una porta già aperta da Clinton su questo. Poi, ha proposto di riaprire le miniere? È una cosa ridicola. Di fatto non ha proposto nulla, ha soltanto attaccato chi aveva aveva governato."
Le cose che rimangono più in mente sono le politiche sull’immigrazione e la rottura degli accordi internazionali come il Tpp.
"Sì, e poi questo ritorno al nativismo. Anche ai primi del Novecento c’era questa volontà di chiudere le frontiere, perché arrivavano i cattolici con il loro bagaglio non liberale, non adatto a vivere nella democrazia americana. È periodico, ogni tanto ritornano queste forme di originatismo, come le chiamano. Ora viene ripresa in funzione tutta ideologica. È chiaro che la riapertura delle frontiere, se non c’è un sistema economico forte e di produttività e possibilità di lavoro, abbassa i salari e le tutele. Trump si ritrova a essere un nazional-protezionista che piace molto alle parti più bastonate delle classi lavoratrici."
Non modererà il suo agire e i suoi toni rispetto alla campagna?
"I toni li ha già moderati. Quando è salito sul palco nel discorso della vittoria, sembrava già un altro. Finché c’è la campagna elettorale usano tutti i metodi. Tutto è lecito. Poi le cose cambiano. Lo si vedeva in viso: era tiratissimo, quasi timoroso di quel che gli era capitato. Ha addirittura esaltato Hillary Clinton come una donna di grandissima combattività. Quindi figuriamoci, torna dentro i gangli della istituzione americana, che macina, assorbe e modera tutto. (ndr: nella serata di mercoledì 9 novembre sono arrivati l’appoggio di Paul Ryan, che rimarrà come speaker della Camera, e le congratulazioni di George W. Bush)."
La sinistra aveva capito che le cose non andavano già ai tempi di Occupy Wall Street, denunciando i problemi dell’ineguale distribuzione del reddito e della ricchiezza. Come mai dal 2009 riapriamo gli occhi e la protesta sta tutta a destra?
"La protesta è a destra perché è un tema molto facile alla manipolazione, all’uso nazionalistico. È come l’Italia prima del fascismo, è come l’America durante la Depressione. Ora, che cosa ha fatto Obama, per uscire da questa crisi? Non ha fatto il New Deal, certamente, non ha fatto quelle grandi politiche di infrastrutture - che adesso Trump dice di voler fare -. Non ci sono state politiche di recupero e di reazione contro questa crisi economica micidiale. Che continua, è uno stillicidio. Non è vero che c’è una ripresa dell’occupazione. Non ci può essere un’occupazione con un livello di salario di 6-7 dollari all’ora. Ma cosa si fa con 7 dollari all’ora? C’è quindi più lo scossone in sé che un progetto. Era quello che si voleva dare."
Questo per la sinistra può essere una sveglia? Tocca alla sinistra recuperare la categoria della critica economica e sociale?
"Ci ha provato con Sanders. Che ha usato un linguaggio un po’ vecchiotto ma ha posto problemi chiari ed è il caso di ritornare a parlare di classi. Anche in America, che ha sempre rifiutato il discorso della classe e del risentimento dei poveri contro i ricchi, di fatto le classi ci sono. Se nasciamo in un quartiere invece che in un’altro, la nostra possibilità di futuro è molto diversa. Ci sono le classi, allora tanto vale entrare in quest’ottica invece di persistere a dire che il mercato, il merito, le startup ci risolvono la situazione. Non risolvono proprio nulla."
Sanders avrebbe potuto intercettare i bianchi non istruiti che hanno votato in massa per Trump?
"Beh, Obama ci è riuscito in qualche modo. Prima di tutto perché nel suo primo mandato ha fatto una politica tutta a favore dei lavoratori metalmeccanici. Ci ricordiamo anche l’accordo con la Fiat su Detroit. Ha salvato l’industria automobilistica americana. Nel secondo mandato però non ha continuato le sue politiche sociali, né con gli immigrati né con la scuola, pur avendo promesso all’inizio di intervenire per rendere possibile a tutti di entrare nelle scuole. C’è stata una defaillance da parte sia del presidente che di Hillary Clinton. Non so dirle che cosa abbia proposto lei su questi temi."
C’è il pericolo di tensioni anti Trump che sfocino nella violenza o gli Usa sono immunizzati?
"No. Ha vinto. Forse se avesse perso avrebbe potuto soffiare su questa anima anti-tirannica che arma qualche volta i fanatici americani. Ma ha vinto, quindi è tutto rientrato, è tutto tranquillo. Non credo che ci siano sostanziali problemi."
Si può fare una similitudine tra Trump e un Orbán (primo ministro ungherese) o una Le Pen in Francia?
"No. Questi mettono mano alla costituzione, lui non mette mano alla costituzione. Questi sono paralleli che sono oziosi perché non ci fanno vedere i problemi nostri e in questo modo noi li esorcizziamo gridando al lupo al lupo. Ma non è vero: Trump non cambia la costituzione, non manipola le regole del gioco come ha fatto Orbán. Non usa argomenti alla Le Pen. È vero che è razzista ma gli Stati Uniti hanno un sistema sociale multiculturale, a differenza della Francia. Quindi loro vivono di multicultura. Trump ha avuto bisogno del voto degli ispanici, che hanno votato anche per lui. Non è proprio la stessa cosa."
Che effetti potrà avere la vittoria di Trump sull’Europa? Darà fiato ai populismi?
"Mah, non è lui che decide tanto. Vediamo piuttosto chi chiama al governo, quali sono i suoi supporter, perché lui è stato abbandonato dal suo partito. Ora che le persone rientreranno dovremo capire come si muovono e si comportano. Il resto non possiamo dirlo. È sensato pensare a un accordo con Putin sulla Siria, come lui ha fatto, a differenza di Hillary Clinton. Perché oggettivamente questo è buono anche per l’Europa. Vediamo, sospendiamo il giudizio."

Fonte: Linkiesta.it 

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