La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 24 dicembre 2015

Come Platone a Siracusa

di Hans Georg Gadamer
Sorprende la levata di scudi suscitata in Francia dal libro di Victor Farias. Si sapeva così poco del III Reich? I suoi adepti hanno sicuramente contribuito al caso se, credendo di difendere Heidegger, hanno ininterrottamente suonato il ritornello della sua «rottura» con il nazismo al termine di un anno di esperienze deludenti alla guida del rettorato di Friburgo. Nei paesi di lingua tedesca, quasi tutto quello che Farias rivela è noto da tempo. Più che consegnare un nuovo punto di vista, la sua frenetica elencazione degli archivi illumina maggiormente la vita burocratica degli anni successivi alla presa di potere da parte di Hitler. Qui nessuno può permettersi di far finta di scoprire che Heidegger non ha lasciato il partito nazista (cosa che alcuni si dilettano a presentare come una novità a partire dall’uscita del libro di Farias). Sicuramente anche in Germania i giovani fanno fatica a immaginare la realtà di quell’epoca: il conformismo, le pressioni, l’indottrinamento ideologico, le sanzioni… «Perché non avete fatto sentire la vostra voce?» chiedono in molti. Diciamo anzitutto che spesso si sottovaluta la naturale inclinazione dell’uomo verso un conformismo sempre pronto a farsi lusingare da qualunque soperchieria.
Il colmo di tale soperchieria non era forse: «Il Führer lo sa?». Nella primavera del 1934, gli ambienti accademici e anche i miei amici ebrei nutrivano ancora la speranza che, ad esempio, l’antisemitismo fosse stato solo un argomento di lotta elettorale – sicuramente terribile – grossolanamente utilizzata dal «Tamburo» (all’epoca era questo il soprannome di Hitler). Quando, nel maggio 1934, venne pronunciato a Marburgo il discorso di Papen stilato da Jung, non vi si lesse che la speranza tanto attesa, la fine della rivoluzione e il ritorno a uno Stato di diritto.

Un’altra strategia è consistita nello spiegare, attraverso l’ammirazione per il grande pensatore, che i suoi smarrimenti politici non avevano niente a che vedere con la sua filosofia. Tranquilli! Non si sottolineava nemmeno quanto fosse offensivo per un pensatore di tale levatura essere così vigorosamente «difeso». Come si immaginava di conciliare questa distinzione e le previsioni dello stesso Heidegger, a partire dagli anni ’50, sulla rivoluzione industriale e sulla tecnica – oggi così sorprendenti per quanto erano premonitrici? Ad ogni modo, meditando da più di cinquant’anni sulle ragioni che già in passato ci avevano costernati, e anni durante i quali ci siamo separati da Heidegger, non ci stupiremo (è il minimo) di sapere che nel 1933 – già molto prima peraltro, e quanto tempo dopo! – egli «credeva» in Hitler. Heidegger non era un semplice opportunista. Il suo impegno politico, è evidente, aveva poco a che fare con la realtà politica. Il sogno di una «religione popolare», infatti, integrava la sua profonda disillusione sul corso delle cose. Ma lo conservò segretamente. È il sogno che credette di inseguire negli anni 1933-1934, convinto che provando a rivoluzionare l’Università avrebbe assolto il suo obbligo filosofico. È con questo fine che ha compiuto tutto quello che ci ha indignato. Secondo lui si trattava di spezzare l’influenza politica della Chiesa e l’inerzia del mandarinato accademico. Oltre alla sue idee, diede spazio anche alla visione degli «operai» di Ernst Jünger, per vincere a partire dall’Essere la tradizione della metafisica. In seguito, è noto, si smarrirà, fino al discorso radicale della fine della filosofia. È stata questa la sua rivoluzione. Ma non si sentiva responsabile delle terribili conseguenza della presa del potere da parte di Hitler, della nuova barbarie, delle leggi di Norimberga, del terrore, del sangue versato – e, per finire, dell’incancellabile vergogna dei capi di sterminio? [La risposta è rigorosamente: no; perché tutto ciò era la rivoluzione pervertita e non il grande rinnovamento sorto dalla forza spirituale e morale (sittlich) del popolo, che aveva sognato e che si augurava in vista della nuova religione dell’umanità]. Mi viene chiesto, tuttavia, se dopo queste «rivelazioni» (che per noi non sono tali) sia possibile «ancora oggi» compromettersi con la filosofia di quest’uomo. Ancora oggi? Quanti fanno questa domanda sono piuttosto in ritardo. Quanto il mondo intero ha considerato come un
avanzamento radicale del pensiero, la sua riflessione sui Greci, su Hegel e alla fine Nietzsche, tutto sarebbe divenuto all’improvviso falso? Oppure non abbiamo ancora chiuso da così a lungo con tutto ciò? Forse ci viene chiesto di rinunciare definitivamente a pensare?
Vedendo di lontano, con angoscia, Heidegger che si lasciava fuorviare in questo modo nella politica culturale del III Reich, abbiamo pensato qualche volta a quanto era accaduto a Platone a Siracusa. Uno dei suoi amici di Friburgo, incontrandolo sul tram dopo la sua dimissione dal rettorato, gli chiese: «Di ritorno da Siracusa?». Nonostante un considerevole lavoro di ricerca e malgrado le informazioni che fornisce, il libro di Farias è molto superficiale e superato da molto tempo, cosa questa deplorevole. Ma quando abborda l’ambito filosofico, diviene di una superficialità grottesca e trabocca semplicemente di ignoranza. Non è facile delineare il pensiero. Anche coloro che in passato, sconcertati dall’avventura politica di Heidegger, hanno provato per anni a prendere le distanze da lui, non avrebbero mai osato negare la spinta filosofica che, dall’inizio, Heidegger non ha mai smesso di suscitare. [Come Heidegger, negli anni ’20, non aveva adepti ciechi nei suoi confronti, allo stesso modo soprattutto oggi si devono cercare i propri percorsi di pensiero]. [Chiunque pensi che oggi non sia più necessario occuparsi del pensiero di Heidegger non ha minimamente valutato quanto sarà per noi sempre difficile dibattere con lui e non cadere nel ridicolo assumendo nei suoi confronti un atteggiamento di superiorità].

Fonte: Scenari Mimesis

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