La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 23 dicembre 2015

Spagna, Europa

di Nicola Melloni 
Il dato politico più importante della tornata elettorale spagnola è il declino senza tregua dell’ancien regime. I socialisti avevano perso 15 punti alle ultime elezioni, e ne hanno ora persi altri 6. I popolari hanno lasciato nelle urne 18 punti percentuali tra il 2011 ed oggi. I partiti che hanno governato la Spagna del dopo-Franco hanno perso l’egemonia ed ora, per rimanere al potere, possono solo formare una grande coalizione.
È l’ennesimo schiaffo all’establishment, l’ennesimo colpo all’ordine politico europeo creatosi negli ultimi 30 anni, con un bipartitismo che governava senza grandi differenze in campo economico, e con qualche differenza di più per quel che riguarda diritti civili e posizioni in politica estera. L’anno che si era aperto con il fenomeno Syriza in Grecia, si chiude ora con il successo di Podemos in Spagna.
Nel mezzo, la virata a sinistra del Portogallo – dove la sinistra radicale è pure al 20% - e il Front Nationale divenuto primo partito in Francia. Sono risposte diverse a fenomeni però simili: un po’ ovunque partiti che si presentano come radicalmente alternativi all’establishment raggiungono risultati sorprendenti e rompono equilibri politici consolidati da decenni. Ed anche in Gran Bretagna, la vittoria dei Conservatori è stata accompagnata dall’affermazione degli indipendentisti scozzesi e dal successivo emergere, nel Labour, di Corbyn, un leader tanto distante dalla tradizione blairiana quanto Iglesias e Tsipras lo sono da quella del socialismo europeo.
Il bipartitismo europeo, a torto o ragione – e, secondo me, soprattutto a ragione – è stato screditato dalla crisi, che è stata una opportunità non per ridiscutere i problemi strutturali delle nostre società, ma per ridurne gli spazi democratici. I cittadini cercano risposte che i partiti tradizionali non vogliono e non sono più in grado di dare. Non vogliono perché ormai governati da un’elite ideologicamente omogenea, rappresentante un certo tipo di interessi e culturalmente aliena ad una analisi critica del capitalismo del XXI secolo. Non sono in grado perché comunque ostaggi di scelte politiche decise sempre più a Bruxelles e sempre meno nei parlamenti nazionali – una situazione che conservatori e socialisti hanno creato e che continuano a difendere strenuamente.
L’emergere di questi movimenti, completamente estranei alla tradizione neoliberale che ha egemonizzato l’Europa negli ultimi 30 anni, è una prima risposta alla domanda di rappresentanza degli sconfitti della crisi. Una cosa che l’establishment continua a non capire, basti guardare i commenti post-voto spagnolo di una Boschi o di un Renzi qualsiasi… “sia benedetto l’Italicum”, quasi a dire se uno non ha i voti meglio taroccare le elezioni e continuare a proporre lo stesso modello; ma è cecità politica anche quella dell’unione repubblicana contro la Le Pen, che per salvare il bipolarismo francese aiuterà ancora il FN; e pure quella dei sindaci che invocano una alleanza a sinistra, un po’ a prescindere, per battere le destre.
Non basta però il successo elettorale per cambiare le cose, come ha amaramente realizzato Tsipras durante l’estate. Il vero tavolo del confronto è quello europeo, ma le vittorie locali possono contribuire a ribaltare i rapporti di forza, sia nei singoli paesi, mettendo all’angolo le forze della conservazione, sia a Bruxelles, dove è necessario costruire un fronte che non può essere semplicemente anti-tedesco o contro l’austerity, ma deve rimettere in questione le istituzioni fondamentali della democrazia.

Fonte: MicroMega online - blog dell'Autore 

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