La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 24 dicembre 2015

Il capolavoro di Pablo e la strategia di Alexis

di Alberto Rotondo
Non so se si tratta di una coincidenza, ma mi pare significativo che Alexis Tsipras abbia aspettato la sera del 20 dicembre, per la pubblicazione di una sua intervista a Martin Wolf del Financial Times. Un intervista in cui il premier greco da un annuncio straordinario, sorprendendo i suoi interlocutori : il governo greco, dice Tsipras, sta pressando il Fondo Monetario Internazionale perchè resti fuori dal terzo programma di salvataggio da 86 mld di euro concordato nella drammatica estate di quest’anno.
In effetti nei difficili negoziati di questa estate, il FMI si è inizialmente tirato fuori dal programma di salvataggio perchè sposava la tesi dell’insostenibilità del debito pubblico, per cui reputava necessaria una profonda ristrutturazione del debito ( allungandone o addirittura cancellandone le scadenze) prima di concedere altri finanziamenti.
Chiedere al FMI di tenersi fuori dal programma significa per Tsipras allontanare un possibile alleato, quando agli inizi del prossimo anno si siederà nuovamente al tavolo delle trattative per chiedere una profonda ristrutturazione del debito e alleviare il peso insopportabile che grava sulle donne e sugli uomini di Grecia.
Ma ancora più straordinarie sono le motivazioni, Tsipras infatti si è detto “perplesso per gli atteggiamenti non costruttivi del fondo su questioni fiscali o finanziarie”, aggiungendo che “dopo sei anni di crisi straordinaria, l’Europa ha oggi la capacità istituzionale di risolvere da sola e con successo le questioni intra-europee”.
Un vero guanto di sfida lanciato a Berlino, che ha sempre frenato in tutte le sedi in cui si è cercato di ampliare i vincoli di solidarietà economica, sociale e politica tra i paesi dell’Unione. L’unica scelta possibile se si vuole salvare un’istituzione sempre più impopolare e che sembra sul punto di affondare nel mare della sfiducia, della probabile dissociazione della Gran Bretagna e dell’avanzare impetuoso delle destre nazionaliste e fasciste in Francia, Polonia e Ungheria.
Ma la cancelliera si sarà addirittura infuriata al leggere che “il governo greco si impegna ad attuare le misure richieste il più rapidamente possibile con l’obiettivo di recuperare la sovranità e sbarazzarsi dei monitoraggi continui della cosiddetta Troika”.
Dall’umiliazione di ferragosto ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti.
La Grecia umiliata dai diktat di Schauble e di Merkel può finalmente rialzare la testa.
Se in estate il governo greco era stato vergognosamente lasciato da solo al tavolo negoziale, e anzi fra gli alleati più feroci della Germania si erano segnalati il Portogallo e la Spagna . Oggi le cose sono cambiate.
In Portogallo governa il partito socialista, con l’appoggio determinante delle forze della sinistra di alternativa, mentre in Spagna la crisi del bipartitismo apre una fase nuova in cui si segnala il protagonismo manovriero di Pablo Iglesias, che ha già saputo capitalizzare la vittoria elettorale di Podemos conquistando il centro dello scenario politico spagnolo.
La scommessa politica di Pablo Iglesias è esaltante.
Nel Pais Vasco e in Catalogna, non a caso le nacionalidades in cui più forti soffiano i venti dell’indipendentismo, Podemos ha stravinto le elezioni. Nel primo caso il partito degli indignados è la prima forza politica . Nel secondo caso ha trionfato la lista En comù Podem, su cui sono confluiti anche Izquierda Unida e i movimenti sociali e politici che hanno portato all’elezione di Ada Colau a Barcellona.
Ha ragione Pablo Iglesias quando sostiene che “Podemos è l’unica forza politica di ambito statale capace di porsi alla guida di un nuovo accordo che rispetti il pluralismo nazionale di questo paese”.
Non possono farlo ovviamente nè i popolari, nè i giovani “en corbata” di Ciudadanos, che hanno avversato la proposta di referendum per l’indipendenza della Catalogna.
Non possono farlo neanche i socialisti, il cui leader Pedro Sanchez si era coperto di ridicolo sostenendo in un dibattito televisivo con Iglesias che l’unica costituzione che prevedesse il diritto all’autodeterminazione dei popoli era stata quella dell’Unione Sovietica.
Per questo motivo Pablo Iglesias ha subordinato ogni possibile accordo di governo con il PSOE a un via libera al referendum per l’indipendenza catalana e all’apertura di un processo costituente per una “nuova transizione”, dopo quella che nel 1975 portò la Spagna alla democrazia dopo gli anni lunghissimi della dittatura di Franco.
Il risultato è, come sottolinea lo stesso El Pais, di aver costretto i socialisti dentro un vicolo cieco.
O si piegano ai desideri dell’intero establishment europeo sempre pronto a sostenere le grandi coalizioni in Germania, in Italia e ora in Spagna; o in alternativa decidono di aprire una nuova stagione politica con Podemos e le forze popolari che chiedono la fine dell’austerità e della corruzione, un governo che potrebbe allearsi strategicamente con il Portogallo di Costa e la Grecia di Tsipras.
Un vero e proprio cul de sac . Nel primo caso per il Psoe il rischio di una pasokizzazione è dietro l’angolo, e Pablo Iglesias non ha perso l’occasione di ricordarglielo, facendo notare che il partito socialista domenica scorsa in Spagna ha ottenuto il peggior risultato della sua storia. Nel secondo caso finirebbe per regalare lo scettro a Pablo Iglesias, l’unico politico in grado di porsi in Spagna alla guida del cambiamento.
Un vero e proprio capolavoro, quello di Pablo che ha aggiunto come in Spagna sia arrivata l’ora degli “uomini di stato”.
Pablo e Alexis sembrano legati dal medesimo destino.
Non è mancato per loro un forte sostegno a livello di opinione pubblica europea,ma a sinistra, e in special modo in Francia e Italia, non a caso le due nazioni in cui la sinistra è più debole, la loro strategia è stata spesso incompresa, quanto non addirittura bollata come un cedimento ai poteri finanziari e all’ordoliberismo tedesco.
Non ci siamo fatti mancare nemmeno le accuse di tradimento rivolte a Tsipras e a Syriza .
E se Pablo Iglesias e Alexis Tsipras fossero invece gli statisti di cui la sinistra e l’Europa hanno bisogno?
Ma a noi che pure ci riempiamo la bocca con le citazioni di Gramsci sembrano non interessare affatto le questioni di “grande politica”, molto più appassionanti le ridicole beghe di casa nostra che sino a questo momento ci hanno impedito di partecipare al cambiamento.

Fonte: Esseblog 

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