La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 24 dicembre 2015

Elezioni spagnole 2015. L’analisi del voto

di Enrico Comini
La Spagna che si è recata alle urne il 20 Dicembre 2015 è un paese che sta conoscendo una robusta crescita economica dopo anni di crisi e di gravi problemi sociali.
In realtà ancora oggi la situazione non è rosea: la disoccupazione si attesta al 21%, con una diminuzione di cinque punti rispetto al picco di oltre 26 punti percentuali del 2013, e quella giovanile viaggia sul 48%.
La totale liberalizzazione del mercato del lavoro da parte del Governo Rajoy (PP) ha visto la proliferazione di contratti atipici, precari, part-time, poco qualificati, con salari piuttosto bassi anche per i già contenuti standard spagnoli.
Il Partito Popolare (PP), che ha guidato la Spagna dal 2011 ad oggi, non è però percepito dall’opinione pubblica come il partito del “miracolo” della ripresa economica; anzi, gli scandali che hanno coinvolto alcuni esponenti del Partito e le riforme di austerità adottate negli ultimi anni ne hanno minato il consenso, crollato dal 44,6% del 2011 al 28,7% di queste ultime elezioni.
Rispetto ai sondaggi pre-elettorali, in realtà, il PP di Rajoy ha recuperato qualche punto percentuale, anche se il netto calo di voti è evidente e risulta difficile affermare che Rajoy abbia vinto le elezioni 2015.
L’elettorato di destra in Spagna, da quello cattolico-moderato a quello nostalgico del regime franchista, per decenni ha dato il suo voto al Partito Popolare, poiché unico partito rilevante del campo conservatore.
Nelle recenti elezioni, però, il PP ha avuto un nuovo competitor moderato (e “anti-casta”) che gli ha conteso spazio proprio in quel bacino di voti cui tradizionalmente andava a pescare. Si tratta di Ciudadanos, un partito centrista che, facendo leva sulla retorica del “superamento di Destra e Sinistra” e della lotta anti-bipartitismo, raccoglie consenso nell’elettorato moderato deluso dalle politiche di Rajoy e dagli scandali di corruzione che hanno minato la fiducia nel PP.
Ciudadanos, spesso rappresentato come un “fratello gemello” di centro-destra di Podemos per la comune polemica anti-partitica (contro PSOE e PP), era stimato anche oltre il 20% nei sondaggi pre-elettorali, quasi non lontano dai livelli del PP. In realtà, l’esito delle elezioni ha deluso le aspettative dei sostenitori del partito di Albert Rivera, che, infatti, si è fermato al 13,9%.
A Sinistra la contesa tra il riformista PSOE e Podemos ha visto l’affermazione, anche se di poco, dei socialisti (22%) e un buon risultato per Podemos (20,7%).
I socialisti, dal termine dell’esperienza dei governi Zapatero, sono andati incontro a una serie di sconfitte gravi (dal 43,9% del 2008 al 28,8% del 2011 al 22% odierno).
Dopo la prima competizione elettorale in occasione delle Elezioni Europee 2014 (8%), Podemos ha conosciuto, almeno nei sondaggi, un boom di consenso che avrebbe portato il partito in testa nella fiducia degli spagnoli nei confronti dei partiti politici, superando i tradizionali “bastioni” del bipolarismo spagnolo (PP e PSOE). In realtà il consenso reale verso Podemos, pur essendo molto significativo e del tutto inedito per un partito nato meno di due anni fa, è risultato un po’ inferiore alle aspettative di qualche mese fa.
Podemos è riuscito a raccogliere la fiducia di gran parte dell’elettorato della sinistra radicale tradizionale, ridimensionando Izquierda Unida – Unidad Popular a un magro 3,7% e tra i delusi del sistema bipartitico tradizionale (soprattutto tra l’elettorato socialista deluso).
E’ molto interessante osservare i risultati nelle diverse “Comunitad”, ossia le regioni spagnole: si rileva che il consenso verso Podemos e Ciudadanos, le nuove forze “anti-sistema”, è molto maggiore nei centri urbani e nella Spagna più avanzata economicamente.
Si può pensare che un partito anti-austerity come Podemos abbia trovato terreno fertile in un elettorato urbano, a medio-alto titolo di studio, in particolare tra i lavoratori precari, i disoccupati; azzarderei con una maggiore presa tra l’elettorato giovanile, il più colpito dalla disoccupazione e dal precariato.
Ciudadanos, invece, sembrerebbe raccogliere consensi in un elettorato più benestante, sensibile all’antipartitocrazia, ai richiami contro la “casta dei vecchi politici”.
Guardando la cartina della Spagna post-elezioni si evince come il PSOE abbia recuperato la maggioranza relativa (anche e soprattutto a causa del crollo elettorale del PP) nelle regioni meridionali, come l’Andalusia, storicamente suo feudo elettorale. Il PP e il PSOE conservano la loro tradizionale predominanza nella Spagna rurale e meno sviluppata come tra gli elettori più anziani.
Ad esempio tra le “Comunitad” più povere spagnole, come l’Extremadura, Castilla-La Mancha, Murcia e Andalusia, la somma di PP e PSOE, i pilastri storici del sistema politico spagnolo, si attesta ancora oltre al 60% (a livello nazionale attorno al 50%), mentre nelle regioni più ricche e dinamiche, come i Paesi Baschi e la Catalogna, tale percentuale non raggiunge il 30% dei voti, anche (ma non solo) per l’importante presenza di partiti regionalisti.
Una parziale eccezione è costituita dalla regione della Capitale Madrid, in cui il PP si conferma il primo partito con un buon 33,5%, mentre il PSOE scivola ad un mediocre 17,9%.
A Madrid, comunque, la somma dei due nuovi partiti “anti-sistema” supera la media spagnola (34,6%), raggiungendo il 39,7%.
Si può affermare, quindi, che nelle aree urbane abbia un seguito maggiore la polemica contro il sistema politico tradizionale (anche se con istanze differenti).
Pare un po’ azzardato il confronto con altri paesi europei, come la Francia, dove un partito di “rottura” come il Front National raccoglie ampi consensi anche, ad esempio, nelle province impoverite del Nord, al contrario del caso spagnolo dove Podemos non sfonda nelle regioni arretrate. Ma si tratta di contesti diversi e di partiti ideologicamente incompatibili.
La peculiarità iberica, sia portoghese che spagnola, è infatti l’assenza di significativi movimenti xenofobi di estrema destra che, invece, nel resto d’Europa raccolgono le istanze securitarie e nazionaliste e fanno sempre più presa tra le vittime della Crisi e delle politiche di Austerità imposte dall’UE.
Potrebbe essere controproducente, pur essendoci le condizioni numeriche per farla, una riedizione in salsa spagnola della “Grosse Koalition” tra Popolari e Socialisti, quel “grande centro” PPE-PSE che governa l’Unione Europa. Tale disegno politico non potrebbe che reiterare per altri anni quelle politiche di austerità che hanno alimentato le contestazione degli Indignados e hanno favorito la nascita di nuovi partiti antagonisti, magari preparando le condizioni per un loro trionfo al prossimo appuntamento elettorale.
Si potrà anche parlare di “modello iberico” se, invece, con l’apporto delle forze di Sinistra e dei partiti autonomisti catalani e baschi, si formerà, come in Portogallo, una maggioranza parlamentare di sinistra.
Una coalizione progressista con un programma che si discosti nettamente, in campo economico e sociale, dai dettami del conservatorismo tedesco potrebbe rappresentare un salutare consolidamento dell’asse sud-europeo dei paesi “anti-austerity”.
Una forte coalizione di Sinistra al Governo della Spagna potrebbe costituire un ulteriore tassello nel rafforzamento di quelle istanze neo-keynesiane e welferiste che stanno prendendo piede nel Sud-Europa nella prospettiva di mettere sotto scacco l’egemonia ordoliberale dell’UE a guida tedesca.

Fonte: Pandora Rivista di teoria e politica 

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