La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 23 dicembre 2015

Il nuovo sogno americano

di Christian Marazzi
Lo scorso 16 dicembre, esattamente sette anni dopo la decisione di abbassare il tasso direttore allo 0-0,25% (16 dicembre 2008), la Federal reserve, la Banca centrale americana, ha aumentato di un quarto di punto percentuale il suo tasso d’interesse. Ormai anticipata da tempo dai mercati finanziari, questa decisione di aumentare, benché di pochissimo, i tassi d’interesse e di continuare nel 2016 con altri quattro aumenti, ha prima di tutto un valore simbolico: gli Stati Uniti dichiarano al mondo di considerarsi ormai fuori dalla crisi scoppiata nel 2008 nel loro paese e poi nel resto del mondo.
E così i mercati sorridono. La decisione della Fed ha anche, e ci mancherebbe, un’importanza reale, se è vero che in Europa la politica monetaria della Bce va esattamente nella direzione opposta a quella americana e se è vero che in tutti questi anni tassi interesse prossimi allo zero hanno favorito una crescita impressionante dell’indebitamento in settori quali, ad esempio, quello energetico americano e, soprattutto, delle corporation dei paesi emergenti che si sono indebitate in dollari (secondo il meccanismo delcarry trade).
Una rivalutazione eccessiva del dollaro potrebbe, secondo alcuni analisti, far esplodere una bolla gigantesca.
Ma atteniamoci alla buona novella, e cioè che l’economia statunitense si è irrobustita in questi anni di crisi al punto da poter imprimere una svolta alla politica monetaria che renda conto della diminuzione del tasso di disoccupazione e che permetta di prevenire un aumento dell’inflazione conseguente alla pressione al rialzo del costo del lavoro. Se, come diceva Marx, l’anatomia dell’uomo è la chiave per l’anatomia della scimmia, allora l’Europa, che segue a distanza di qualche anno le orme degli Stati Uniti, ha tutto l’interesse a guardare a quel che è successo alla società americana.
È di questi giorni la pubblicazione sul Financial Times di una serie di articoli sulla distribuzione del reddito negli Stati Uniti. Il quadro che ne emerge non è molto esaltante:
la società americana ha la forma di una clessidra, con molti ricchi al vertice e molti poveri alla base. La classe di mezzo, la middle class, si è alquanto assottigliata e c’è solo da sperare che gli over 65 anni, che hanno conosciuto aumenti salariali duraturi nella loro vita attiva, assicurino una crescita del consumo tale da poter rivitalizzare il ceto medio.
Sta di fatto che un quinto degli adulti americani vive in condizioni di povertà o di quasi povertà.
Negli ultimi sette anni, i poveri sono cresciuti cinque volte più della classe media e 23 milioni di americani si trovano decisamente sotto la soglia di povertà ($ 18,850 per un’economia domestica di tre persone). Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è sceso al 63%, il più basso da decenni, perché molti sono i disoccupati scoraggiati o coloro che semplicemente aspettano che aumenti la domanda di lavoro.
E questo rende molto improbabile che l’inflazione riprenda nel medio termine, contrariamente alle previsioni dellaFederal Reserve.
Come ha detto Torrey Easler, un predicatore battista impegnato sul fronte della lotta alla povertà, “Il vecchio sogno americano era di avere una casa e due auto. Il nuovo sogno americano è di avere un lavoro e un reddito”.

Fonte: Tysm.org

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