La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 24 dicembre 2015

L'accordo di Parigi non fermerà il riscaldamento globale

di Pete Dolack
Il risultato del Vertice sul Clima di Parigi è il seguente: i governi del mondo affermano di essersi accordati per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius, ma in realtà si sono impegnati a quasi raddoppiarlo. Sul futuro incombe tuttora un potenziale riscaldamento globale al galoppo.
La sorpresa del vertice, ufficialmente noto come la Ventunesima Sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico, o COP 21, è stata la decisione di fissare un obiettivo di limitare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi sopra i livelli pre-industriali, invece del precedente obiettivo di 2 gradi. Ciò è stato fatto su richiesta dei paesi isolani del Pacifico che potrebbero essere sommersi con un aumento di due gradi e il nuovo, più ambizioso obiettivo, se conseguito, offrirebbe un maggior margine di errore considerato che un aumento di 2 gradi è diffusamente ritenuto essere il limite per evitare un danno catastrofico.

Come deve essere raggiunto il nuovo obiettivo? L’articolo 4 dell’Accordo di Parigi, raggiunto il 12 dicembre, afferma:
“Al fine di conseguire l’obiettivo di lungo termine [di 1,5 gradi] della temperatura, le Parti si propongono di raggiungere il picco globale delle emissioni di gas serra al più presto possibile, riconoscendo che il picco richiederà più tempo alle Parti in via di sviluppo, e a intraprendere, dopo di ciò, rapide riduzioni utilizzando il meglio delle conoscenze scientifiche, in modo da arrivare a un equilibrio tra le emissioni antropogeniche dalle fonti e lo smaltimento dei gas serra nella seconda metà di questo secolo, su basi di equità, e nel contesto dello sviluppo sostenibile e di tentativi di sradicare la povertà …
Le emissioni, determinate nazionalmente, di ciascuna Parte rappresenteranno un avanzamento oltre le emissioni correnti allora nazionalmente determinate … Le Parti rappresentate da paesi sviluppati dovrebbero continuare a essere in prima linea impegnandosi a obiettivi di riduzione assoluta a livello dell’intera propria economia. Le Parti in via di sviluppo dovrebbero continuare a rafforzare i propri sforzi di mitigazione e sono incoraggiate a dirigersi nel tempo a obiettivi di riduzione o limitazione a livello delle loro intere economie alla luce di differenti situazioni nazionali”.
Quali meccanismi saranno creati per assicurare che le “Parti” (governi nazionali) attuino questi piani? “Dovranno” riferire i loro progressi, “dovranno sottoporsi a una revisione tecnica di esperti” (articolo 13) e discutere i loro progressi tra cinque anni (articolo 14). I governi svilupperanno tecnologie (articolo 10) e “costruiranno mutua fiducia” mediante “trasparenza” (articolo 13).
In altre parole il meccanismo è basato sulla pressione tra pari. Non ci sono accordi legali vincolanti che prescrivano a ogni paese di attuare le riduzioni di gas serra promesse al Vertice di Parigi sul Clima.
Gli impegni equivalgono a un aggiustamento, non a un’inversione di rotta
Un ulteriore problema è che se tutti gli impegni fossero effettivamente attuati l’aumento delle temperature medie globali sarebbe di circa 2,7 gradi, secondo il Climate Action Tracker [Osservatorio degli Interventi sul Clima]. Il gruppo, costituito da quattro organizzazioni di ricerca che producono analisi scientifiche indipendenti, calcola che il mantenimento degli impegni nazionali determinerà un aumento della temperatura globale compreso tra 2,2 e 3,4 gradi C. (con una media di 2,7) entro il 2100, con ulteriori aumenti oltre tale data. Anche se il Climate Action Tracker nota che questo aumento potenziale e meno drastico dell’aumento di quasi 4 gradi cui il mondo era indirizzato prima degli impegni di Parigi, ciò che si è realizzato è semplicemente rallentare l’aumento delle emissioni di gas serra.
I governi del mondo hanno fissato vari obiettivi di riduzione delle emissioni tra il 2025 e il 2030, con l’impegno dell’Unione Europea a un taglio del 40 per cento entro il 2030 che rappresenta quello più ambizioso tra i maggiori emittenti di gas serra. Ma quanto più tardi tali emissioni di gas serra saranno poste sotto controllo, tanto più difficile sarà mettere un tetto al riscaldamento globale di 1,5 o 2 gradi. Un’analisi di Climate Action Tracker afferma:
“La necessità di colmare il divario tra il livello di emissioni proiettati (promessi) nel 2025 e i livelli necessari per limitare il riscaldamento globale sotto il 2 gradi C. significa che sarebbe necessario un intervento considerevolmente più rapido, e costoso, rispetto a una situazione in cui fossero adottati obiettivi più ambiziosi per il 2025 e in cui i governi intraprendessero iniziative immediate oggi per conseguirli … Percentuali annue di riduzione del carbonio del 3-4%, che sarebbero necessarie per raggiungere i livelli (promessi) dal 2025 sono realizzabili, ma i risultati dei modelli disponibili indicano che una simile riduzione determinerebbe costi maggiori, maggiori inconvenienti e maggiori sfide che se l’intervento iniziasse ora e proseguisse in modo omogeneo”.
Il rapporto del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) diffuso l’anno scorso prevede un aumento delle emissioni di gas serra negli anni a venire a più di 450 parti per milione, prima di scendere a 450 parti per milione entro il 2100, ciò che il rapporto afferma essere necessario per mantenere l’aumento della temperatura globale a 2 grandi. Sfortunatamente il rapporto dell’IPCC presuppone numerose svolte tecnologiche, tra cui la cattura e il sequestro dell’anidride carbonica, che tuttora non sono neppur prossime a essere realizzabili.
In un’analisi del vertice Ian Angus e Phil Gasper spiegano questo atto di fede:
“Quasi tutti gli scenari che mostrano un aumento inferiore ai due gradi entro il 2100 richiedono, innanzitutto, riduzioni delle emissioni molto maggiori di quelle che chiunque sta proponendo nei prossimi 30 anni. E a quel punto, dopo il 2050, richiedono ‘emissioni negative’. Dovrebbe, cioè, essere inventata una qualche tecnologia che estragga l’anidride carbonica dall’aria e una simile tecnologia non esiste. E se fosse inventata nessuno può dire come funzionerebbe su scala globale o se sarebbe sicura. E’ pura fantasia e non possiamo dipendere dalla fantasia”.
Peggio ancora, non tutti i paesi si sono neppure necessariamente impegnati a ridurre le loro emissioni. Scrivendo su Climate & Capitalism, Jonathan Neale calcola che numerosi paesi, tra cui Cina, India e Russia, si siano semplicemente impegnati a rallentare le percentuali del proprio aumento delle emissioni di gas serra, e altri governi, quali Stati Uniti, Unione Europea, Canada e Australia hanno concordato di tagliare le loro emissioni dell’un per cento l’anno. Scrive:
“Paesi come India e Cina promettono di tagliare le emissioni in termini di intensità del carbonio. L’intensità del carbonio è la quantità di carbonio nei combustibili fossili necessaria per produrre la stessa quantità di lavoro. L’intensità del carbonio sta calando negli Stati Uniti da un centinaio d’anni. Scende in tutto il mondo. Ciò è dovuto al fatto che usiamo carbone, petrolio e gas in modo più efficiente, proprio come impariamo a usare più produttivamente ogni altra cosa nell’industria. Dunque una promessa di tagliare l’intensità del carbonio è una promessa di aumentare le emissioni”.
L’inquinamento come articolo di mercato
Ai profitti a breve termine è data priorità rispetto alla salute a lungo termine dell’ambiente. Una manifestazione di questo è che i governi continuano ad affidarsi a meccanismi di “tetto e scambio” cherendono l’inquinamento un bene di mercato. Sono concessi gratuitamente troppi crediti e in conseguenza i loro prezzi sono calati drasticamente, e industrie politicamente influenti sono spesso esentate, anche se sono tra i maggiori inquinatori.
Nel capitalismo tutti gli incentivi vanno a una maggiore crescita e l’accumulo di potere in capo alle imprese che crescono di più consente alla grande industria di piegare leggi e regolamenti a loro piacimento. La stagnazione in un’economia capitalista causa persistente disoccupazione e altri problemi, come dimostrano ampiamente gli ultimi parecchi anni. E ciò prima che arriviamo al problema che nessuna offrirà nuovo lavoro ai lavoratori messi sulla strada nel caso le industrie inquinanti di cui sono dipendenti dovessero essere chiuse o ridimensionate. L’industria può affermare che qualsiasi nuova restrizione le sia imposta costerà posti di lavoro e su tale base mobilita i lavoratori al proprio sostegno.
I professori Angus e Gasper, nella loro analisi del Vertice di Parigi sul Clima, sottolineano la necessità che gli ambientalisti collaborino con i sindacati.
“Il fatto è che i lavoratori non vogliono perdere il loro posto. Qui in Canada abbiamo il fenomeno di persone provenienti da alcune delle parti più povere del paese che vanno a lavorare presso le Sabbie Bituminose di Alberta. Dopo sei mesi o un anno possono andare a casa, in un luogo dove non c’è lavoro, e comprare una casa o un’auto, o rimborsare i loro debiti. Dire a queste persone ‘Non fatelo perché state causando emissioni di gas serra’ è semplicemente assurdo. E’ un modo garantito per far rivoltare i lavoratori contro il movimento ambientalista”.
“Oggi, disgraziatamente, vediamo di nuovo molto di questo. Ho sentito verdi sostenere che non dovremmo neppure tentare di rivolgerci agli operai delle sabbie perché sono semplicemente parte dell’aggressione colonialista d’insediamento nel territorio delle Prime Nazioni. Il che è vero; dunque dobbiamo convincerli a non farlo, non costringerli a un’alleanza più stretta con i loro capi. Dobbiamo trovare modi per collaborare con il movimento sindacale sull’intero concetto di “giusta transizione”. Tale concetto è emerso nel movimento sindacale internazionale, cioè che dobbiamo renderci conto che il cambiamento dell’economia determinerà la perdita di posti di lavoro e che nessuno dovrebbe soffrirne in conseguenza. Dovrebbero esserci posti di lavoro o salario pieno, riaddestramento gratuito e così via”.
Un obiettivo davvero valido. Ma un programma simile potrebbe essere realizzato nel capitalismo? Non pare. I professori Angus e Gasper indicano che tale obiettivo non sarà conseguito senza un movimento forte. Ma poiché il capitalismo è un sistema ideato per il profitto privato, ottenuto attraverso lo sfruttamento dei lavoratori, un movimento forte dovrebbe premere per andare oltre ciò, a un sistema economico più umano e razionale.
Un altro fattore da affrontare è che gli obiettivi del Vertice di Parigi sul Clima, per quanto inadeguati possano essere, saranno vani e vuoti se fossero approvati il Partenariato Trans-Pacifico e il Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti. Questi accordi multinazionali di “libero scambio”metterebbero in grado le imprese di promuovere cause per cancellare leggi che proteggono l’ambiente e offrirebbero maggiori incentivi per il trasferimento della produzione in giro per il mondo con il parallelo aumento di combustibili fossili utilizzati per trasportare componenti e prodotti finiti su catene di fornitura più lunghe. Le norme del TPP che codificano vantaggi per le imprese multinazionali sono scritte in un linguaggio rigoroso, ma non esiste alcun linguaggio simile per le protezioni dell’ambiente e della salute. La formulazione del TTIP probabilmente non sarà migliore. Il TPP non cita nemmeno una volta il riscaldamento globale nel suo testo.
Il Vertice di Parigi sul Clima è stato un esercizio di autocompiacimento, con i rappresentanti dei media industriali del mondo a rischio di spellarsi le dita a forza di dar pacche sulle spalle. Tuttavia un mondo sottoposto a un cambiamento climatico incontrollabile, con cicli agricoli alterati e specie che muoiono a ritmi accelerati non avrà motivo di compiacimento. La normalità non salverà il futuro; può farlo solo una mobilitazione di massa su scala globale.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Systemic Disorder
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.