La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 29 gennaio 2016

Cuius partito eius primarie

di Alessandro Gilioli
Negli Stati Uniti, dove le primarie ci sono da un secolo e mezzo, non ci si fanno molti problemi: si sa che più o meno esistono due aree con idee diverse tra loro, e alla fine quasi tutti si candidano con quella a cui ci si sente più vicini. Anche se non si è organici a un partito: tipo Sanders, che democratico non era, o Trump, che pure è storicamente esterno ai repubblicani.
In Italia abbiamo cercato di emulare quel modello per la prima volta nel 2005, quando si votò per le primarie dell'Unione. Che non era un partito, ma appunto un'area, peraltro dai confini eterei come quelle americane: tanto che in quella competizione c'erano Mastella e Bertinotti, una no-global e Scalfarotto, oltre a Prodi, Di Pietro e il verde Pecoraro Scanio.
Le primarie in Italia sono state figlie di quella visione - o illusione: che ci fossero due aree abbastanza ampie e aperte da contenere tutto, all'interno delle quali misurarsi in vista delle elezioni vere.
Ma ha funzionato per poco, se mai ha funzionato, poi abbiamo incasinato tutto.
Ad esempio, a un certo punto è stato deciso di rinchiudere le primarie all'interno di confini rigidi, come la Carta d'intenti del 2012: in pratica, a quel giro, l'elettore delle primarie era costretto ad accettare e firmare un programma elettorale già definito per poter votare un candidato alle primarie, il che è logicamente assurdo visto che le primarie servono proprio a scegliere - con il vincitore - anche il suo programma elettorale (pensate se oggi mettessero una regola così negli Stati Uniti che casino verrebbe fuori, viste le notevolissime distanze programmatiche sia tra i candidati democratici sia tra quelli repubblicani).
Secondo problema (quello decisivo) è il fatto che le due aree che nel 2005 erano opposte tra loro nel frattempo si sono diluite e impastate, insomma oggi non esistono più come tali: una governa con un pezzo dell'altra, una parte dell'una sta al governo e un'altra all'opposizione (in entrambe le aree). Il tutto mentre una terza forza al di fuori dei due schieramenti (il M5S) prima si è affacciata e poi è diventata importante come le altre due.
Sicché adesso, in vista delle amministrative, siamo un po' alla parodia di quelle primarie lì, quelle di area o coalizione che dir si voglia.
Specie a Roma, dove il tizio che le ha vinte l'ultima volta ora si chiede come sia possibile chiedere ai cittadini di «sacrificare una domenica mattina, mettersi in coda e versare i due euro» e forse si presenterà al di fuori; dentro invece, allo stato, risulta esserci solo un candidato (Giachetti) scelto dal capo per vincere mentre i suoi stanno cercando qualcuno che si presti a perdere (per conservare almeno la finzione). E ciò mentre un altro pezzo di sinistra presenterà altri candidati in proprio.
Ma anche a Napoli la gente di centrosinistra andrà in parte a votare alle primarie e in parte no, perché fuori da quella consultazione c'è il sindaco uscente De Magistris.
Per Torino di primarie manco si è parlato: il Pd sta con Fassino, la sinistra cosiddetta radicale ha Airaudo, una parte degli elettori di sinistra probabilmente voterà Appendino - e ciao.
Resta il tentativo di primarie "come una volta" solo a Milano - il villaggio di Asterix del vecchio centrosinistra - ma è un canto del cigno e con Sala sarà tutto finito anche lì.
In questo quadro - cioè ormai defunta l'alleanza di centrosinistra - far perpetuare formalmente le primarie del centrosinistra è un po' grottesco. È tipo la notte dei morti viventi. Si fa finta che esista una cosa che non c'è più.
In altre parole: le primarie all'americana (con due aree contrapposte tra loro e al loro interno abbastanza vaghe per essere molto aperte) da noi non funzionano. O almeno non funzionano più, perché la realtà che ci sta sotto è diversa. Migliore o peggiore non so, ma di sicuro diversa.
Sia ben chiaro: le primarie sono e restano il modo più prezioso per dare la parola alla base delle forze politiche, anziché ai corridoi dei vertici.
Però, in Italia, queste sembrano funzionare solo all'interno dei partiti: quelle del fu centrosinistra ormai sono quelle del Pd, ad esempio; e in diverse città il M5S fa le sue, di solito on line, tra gli iscritti. Perfino la Lega ha fatto qualcosa di simile quando ha eletto Salvini, anche se quelle non erano tecnicamente primarie.
Del resto, è da primarie di partito (non di coalizione) che è uscito l'attuale presidente del Consiglio, il quale da quelle trae la sua prima legittimità politica.
A proposito: oggi dovrebbe e potrebbe fare le sue primarie anche la sinistra che sta fuori dal renzismo. Insomma la sinistra. Visto che con le primarie dell'ex centrosinistra (oggi di fatto del Pd) non c'entra più.
Sarebbe più utile di tante parole e di tanti "tavoli" tra vecchi leader e leaderini, se davvero vogliono fare un partito di sinistra.

Fonte: L'Espresso - blog Piovono rane 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.