La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 29 gennaio 2016

L’insostenibile miseria dell’uomo

di Paolo Ercolani 
Una misera cosa gettata tra l’infinito tutto e l’infinito nulla.
Questo è l’uomo secondo la descrizione che ne dava il filosofo cristiano Blaise Pascal.
Il nulla che ne precede e segue la breve e fragile esistenza, ma anche l’immenso tutto dell’universo che lo circonda, gli sbattono in faccia con forza perentoria la sua condizione precaria e angosciante. Di minuscola particella di un ingranaggio tanto più grande e imperscrutabile.
Al punto da fargli sentire impellente e quasi naturale la ricerca di un’entità superiore, un Dio mosso da «amore» (nel caso del cattolicesimo) che restituisca senso a ciò che senso non ha.
E soprattutto che garantisca quella salvezza finale di cui non si scorgono segni tangibili (e credibili) in questa esistenza terrena.
Nell’epoca di Gutenberg erano le parole a far costruire in chi leggeva un’immagine interiore, dai contorni indefiniti ma dall’impatto devastante, di questa terribile condizione.
Oggi, nell’èra delle immagini che scorrono veloci e frammentarie all’interno della magmatica galassia di Internet, può essere appunto un’immagine a produrre in chi la guarda suggestioni, pensieri e quindi parole in grado di vestire i contorni sfumati dell’ineffabile.
E’ il caso della splendida e suggestiva opera grafica dell’artista argentino Pablo Carlos Budassi, che utilizzando le immagini provenienti dalla Nasa (e dai satelliti che da decenni gravitano nello Spazio) tenta di restituirci l’infinita immensità dell’universo, in una maniera che non può non frustrare le nostre terrene (e terrestri) illusioni di esserne il centro o anche soltanto una parte significativa.
Il vecchio e vecchissimo mondo, concentrato nell’epoca medioevale della vicenda umana, aveva un bel da fare nel prefigurarsi un universo di cui il pianeta terra era il centro, con l’essere umano a sua volta centrale nella creazione divina.
Copernico sconvolse la struttura spaziale di quella grande illusione, raccontandoci di un immenso universo in cui il nostro pianeta rappresenta una misera parte. Darwin avrebbe sconvolto la struttura temporale, invece, dimostrando con la sua teoria dell’evoluzione che il nostro pianeta ha vissuto migliaia di anni prima della comparsa dell’uomo, e che quindi il Creatore del tutto, ammesso che vi sia stato, non decise di creare un bel nulla (ossia l’uomo) a sua immagine e somiglianza. Almeno non per primo.
L’essenza della filosofia
In questi giorni, in cui i mass media e i social network pullulano ancora una volta di immagini che ci provengono dai satelliti orbitanti nello spazio, ci viene fornita ancora una volta la possibilità di compiere quel gesto tragico ma supremo che forse costituisce il metodo più significativo della filosofia come disciplina (non a caso proprio oggi osteggiata e impoverita in vari modi da chi detiene il potere): innalzarci rispetto alle miserie nostre e del mondo, fare astrazione dal vortice di conflitti, divisioni, ideologie nefaste e convinzioni pervicaci, per riuscire a raggiungere quella «visione di insieme» in grado di restituirci (in maniera sempre transeunte) l’unica grande verità del tutto.
Questa verità, appunto l’unica a cui ci è dato di attingere, ci parla inascoltata del nostro essere nulla nel grande tutto, frammenti fragili, angosciati ed esposti a qualunque colpo di vento, di un puzzle che non possiamo mai ricomporre integralmente.
Esseri insensati («siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa», declamava in note il poeta Guccini) che tentano disperatamente e pervicacemente di vestire di un senso sdrucito la propria esistenza grazie a fedi in cui credere ciecamente, ideologie per cui dividersi e combattersi indegnamente, idoli a cui votarsi pateticamente.
Il trionfo dell’iniquità
Non per caso, credo, il buon Boezio concepiva la filosofia anzitutto come «consolazione» per la sua afflizione: «cioè che pur essendo il mondo governato da un essere [Dio] che si identifica con il bene, possano comunque esserci mali e restare non puniti […] Poiché a dettar legge e a prosperare è l’iniquità» (De consolatione philosophiae: IV,1).
Insomma, quando ci viene sbattuta in faccia l’oscena insensatezza, inadeguatezza e ininfluenza della condizione umana rispetto al Tutto, possiamo reagire in due modi.
Il primo è quello sistematicamente ignorato dall’essere umano: rendersi conto della nostra situazione comune, di abitare tutti una barchetta fragilissima gettata per mari grandi e tempestosi, e quindi unire laddove possibile tutte le nostre forze per poterci attrezzare insieme ad affrontarla con dignità.
Il secondo è quello preferito e ripetutamente messo in pratica nella Storia: ovviare a quell’insensatezza ricercando fedi, credenze, ideologie in nome delle quali combatterci, dividerci, distruggerci.
E dire che basterebbe guardarla per pochi minuti, quella foto. Come basterebbe pensare all’infinita grandezza del Tutto rispetto al nostro nulla per cogliere l’assurdità di chi vuole dividerci in poveri e ricchi, neri e bianchi, ebrei, musulmani e giudei, oppure in famiglie tradizionali e famiglie innaturali.
Quando in realtà avremmo bisogno di lavorare costantemente affinché trionfi l’unione, il comune sentimento di chi sa che la tragica condizione di esseri umani ci accomuna tutti e tutti ci angoscia e spaventa.
Ma è un dato di fatto della Storia che la misera e patetica condizione dell’uomo nell’universo si sia sempre tradotta in pensieri e azioni umane altrettanto miseri e patetici.
Basterebbe poco, pochissimo. Ma è quel pochissimo che continua inesorabilmente a sfuggirci fin dalla notte dei tempi…

Fonte: il manifesto 

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