La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 7 luglio 2016

Il racconto della fraternità

di Eligio Resta
Come per la “comunità di coloro che non hanno comunità”, la solidarietà , nel suo punto più alto, si esplica fra “estranei”. Valeva anche per l’idea degli “amici”, “conosciuti e non conosciuti” (scrive Blanchot) a ribadire che vi è sempre una quota in-confessabile, in-visibile, che fa insieme da fondamento e da cornice all’idea di “comunità politica”. In un linguaggio più semplice la domanda che si pone è fra chi si è (e si deve essere) solidali o fra chi si è amici. E questo, come è noto, è anche l’interrogativo che precede ogni discorso sulla fraternità. Il discorso scivola dal piano strettamente speculativo a quello più apertamente normativo. Cosa vi è dietro l’idea dei doveri di solidarietà (rigorosamente al plurale) delle nostre costituzioni moderne o cosa si nasconde dietro il “dovere di fraternità” richiamato nell’art. 1 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948?
Si sa, del resto, che quella delle Costituzioni è una delle ultime “grandi narrazioni” del moderno e che ogni dottrina della Costituzione implica una antropologia di fondo e persino un modello cognitivo, come il costituzionalismo tedesco ci ha insegnato. In questo complesso racconto, spesso dimenticato o tradito, un posto singolare è occupato dall’enigma della solidarietà fraterna o dalla fraternità solidale; da prendere sul serio a patto che se ne rendano visibili problemi e paradossi di cui sono cosparse. Ha ragione Stefano Rodotà quando ne parla come di uno dei “modi di declinare l’universale”, così cariche di forme simboliche e di progetti politici concreti.


Fonte: costituzionalismo.it

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