La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 18 febbraio 2017

Trotzky, il profeta ricordato

di Stefano Paterna 
Ci fu un tempo nel quale alle labbra del proletariato internazionale perveniva il medesimo grido: “Viva Lenin! Viva Trotzky!”. Negli anni che vanno dall’Ottobre rosso fino alla fine degli anni ’20, ma anche dopo, fino al suo assassinio in Messico, il nome di Lev Davidovic Bronstein detto Trotzky è rimasto il sinonimo della Rivoluzione in Russia e nel mondo. La riedizione nel 2011 della bellissima trilogia biografica di Isaac Deutscher sul grande rivoluzionario (“Il profeta armato”, “Il profeta disarmato” e “Il profeta esiliato”), da parte della casa editrice PGreco, dà modo di apprezzare a pieno lo spessore del personaggio, la sua dimensione umana, la vastità della tragedia che non è solo personale, ma di un’intera epoca e ha segnato in modo profondo il movimento comunista e il pensiero marxista.
Il comunismo post 1991, più che mai in occasione del centenario della Rivoluzione del 1917, non può permettersi ancora abiure e dimenticanze: se vuole ridestarsi al ventunesimo secolo ha bisogno dell’intera sua storia e di tutta la ricchezza e varietà del marxismo (o più correttamente dei marxismi), come già ribadito in altra occasione su questo stesso giornale). Di questa ricchezza e varietà è parte importantissima l’esperienza politica e teorica di Lev Trotzky, fondatore dell’Armata Rossa, presidente del Soviet di Pietrogrado nel corso della prima Rivoluzione del 1905 e poi di nuovo nel 1917, commissario agli Affari Esteri della Repubblica Sovietica e firmatario del Trattato di Brest-Litovsk che, per quanto riguarda la Russia, pose fine alla Prima Guerra Mondiale. Di fatto, al di là delle opinioni e delle preferenze ideologiche, l’esponente bolscevico più importante e maggiormente coinvolto nella Rivoluzione di Ottobre, dopo Lenin.
Certo, a partire dalla metà degli anni ’20 la marea montante dello stalinismo lo sommergerà di calunnie e di accuse le più fantasiose e aberranti fino a dipingerlo prima come un agente di Hitler e del Giappone imperiale e poi dell’imperialismo Usa. Tuttavia della sua proposta politica (industrializzazione accelerata e collettivizzazione dell’agricoltura) prenderà nota lo stesso Stalin che parzialmente e brutalmente la applicherà a partire dal 1929. Il medesimo Stalin che rimarrà ossessionato dalla figura dell’esule (pure ormai privo di qualsiasi potere rilevante) fino al 1940, quando lo farà uccidere da un sicario del NKVD, Ramon Mercader.
Di tutto ciò e di moltissimo altro scrive diffusamente Isaac Deutscher nella sua imponente trilogia pubblicata tra il 1954 e il 1963. Deutscher (1907-1967) è stato sì un militante del Partito Comunista Polacco e della sua corrente antistalinista, ma da storico ha dato vita nella biografia di Trotzky a un’opera assolutamente equilibrata che non nasconde le sue simpatie e le sue avversioni, ma le fonda sulla robustezza dei fatti. Così, non viene occultata la funzione progressiva dello stalinismo a partire appunto dalla scelta di recidere il cordone ombelicale con la Russia arcaica e contadina, anche se quel taglio suggerito dalla Opposizione unificata di Trotzky, Zinovev e Kamenev, fu applicato con una tale violenza e con i conseguenti gravi squilibri che i tre oppositori di certo non auspicavano; e non vengono dimenticati gli errori tattici che Trotzky commise a partire dalla morte di Lenin in poi non ponendo immediatamente e sino in fondo la questione dell’esautorazione del georgiano dal ruolo di segretario generale del partito come gli chiese di fare lo stesso Lenin poco prima di morire oppure con la stessa fondazione della Quarta Internazionale, creatura nata morta e di fatto sterile, così come gran parte delle sette trotzkiste avvicendatesi negli anni seguenti alla morte del fondatore. Di tutt’altra pasta erano invece i trotzkisti sterminati alla fine degli anni ’30 in Urss e che andavano alla morte cantando l’Internazionale.
Tuttavia, Deutscher, nell’opera ha il merito di riportare a galla le grandi capacità di lettura della realtà in movimento, del farsi storia del presente e del futuro prossimo e remoto, che erano tra le caratteristiche salienti del profilo intellettuale del rivoluzionario di origine ucraina, appunto del “profeta”: dall’annuncio della necessità della Nep e della chiusura del comunismo di guerra anche prima di Lenin, alla profonda comprensione della natura del fascismo e del nazismo (piccola borghesia infuriata e organizzata militarmente), all’inevitabilità della guerra che si sarebbe scatenata contro l’Urss dopo l’ascesa al potere di Hitler, sino alla prefigurazione di un futuro da esule fatta al capo socialdemocratico norvegese, Trygve Lie che lo fece internare a causa di pressioni che provenivano da ambienti nazisti e stalinisti: “Vi credete sicuri e liberi di trattare un esiliato politico come più vi piace. Ma si avvicina il giorno, ricordatelo, si avvicina il giorno in cui i nazisti vi scacceranno dal vostro paese, tutti quanti siete, insieme al vostro Pantoffel-Minister-President!”[1]. Profezia verificata, come tutti sanno, quattro anni dopo.
Nell’elenco delle intuizioni, degli annunci di ciò che sarebbe avvenuto, non si può omettere di ricordare la previsione della fine dello stalinismo che Trotzky pronosticava sulla base dello stesso sviluppo economico, sociale e culturale dell’Urss che quasi inconsapevolmente quel regime che aveva definito di “bonapartismo proletario” incubava in se stesso. Del resto, il grande rivoluzionario espresse sempre la sua convinzione che ogni suo sostenitore dovesse “incondizionatamente” difendere l’Unione Sovietica da qualsiasi attacco le fosse stato portato dall’estero e che il compito di abbattere il regime autocratico di Stalin fosse pertinenza del proletariato di quell’immenso paese. L’alternativa che poneva Trotzky è ben nota: o la classe operaia avrebbe abbattuto la burocrazia ricostituendo una democrazia proletaria oppure la burocrazia avrebbe riconsegnato il paese al capitalismo. Il 1991 si è incaricato, purtroppo, di sciogliere negativamente il nodo.
Questa capacità anticipatoria era dovuta a una conoscenza profonda della natura dialettica del marxismo, a un patrimonio di conoscenze di cui faceva parte anche la tanto discussa teoria della rivoluzione permanente. Questa concezione elaborata da Trotzky a partire dalla sua intensa collaborazione con il socialista di origine russa Parvus (altra figura discussa e discutibile, ma su cui sarebbe urgente e necessaria una rivisitazione e una attenta riflessione) può certamente essere contestata, ma solo a partire dal riconoscimento della sua indubbia origine marxista.
Non viene omesso da Deutscher, inoltre, il ruolo di Trotzky come grande intellettuale europeo, come esponente del marxismo che interloquiva con le più importanti correnti culturali del suo tempo nei settori della letteratura, della pittura e dell’architettura (il surrealismo, il futurismo), non trascurando la psicoanalisi freudiana. In questo contesto si inquadra il suo Letteratura e rivoluzione e più tardi il Manifesto per la libertà dell’arte firmato da Breton e da Rivera (ma ispirato da lui), in cui si riafferma la necessità di un’arte libera da indicazioni di partito e che solo rispettando questa condizione può davvero essere sé stessa e servire la causa della Rivoluzione Socialista.
La trilogia del profeta è pervasa certamente da un ottimismo datato. D’altra parte Deutscher dalla sua posizione sugli spalti degli anni ’60 del secolo scorso poteva permetterselo: i fallimenti e i crolli morali e politici sarebbero venuti dopo. Però bisogna riconoscere che la sua postfazione all’ultimo volume, “Il profeta esiliato”, suggestiona ancor oggi il lettore interpretando, ad esempio, la sistemazione dei paesi dell’Europa dell’est dopo la seconda guerra mondiale come “rivoluzione dall’alto o per conquista” e la lunga storia della Rivoluzione Cinese come un caso di rivoluzione permanente nella quale il ruolo predominante è stato (al contrario di ciò che pensava anche Trotzky insieme a tutta la tradizione marxista) quello dei contadini, spinti a un ruolo inusitato dall’assenza di una classe operaia, dall’esempio dell’Urss e dalla pressione ostile dell’imperialismo occidentale.
Infine la morale è questa: Trotzky va studiato nella sua figura di rivoluzionario e di raffinato intellettuale capace di parlare a tutta la modernità. Deutscher ce ne ha offerto l’occasione grazie a un’opera di analisi attenta degli Archivi di Trotzky autorizzata da sua moglie Natalia Sedova e il centenario della Rivoluzione non può che essere il momento migliore.

Note
Isaac Deutscher, Il Profeta esiliato,Milano, PGreco Edizioni, 2011, p. 436

Fonte: lacittafutura.it 

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