La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 3 dicembre 2015

Il gioco grande del potere e l'agonia della democrazia

di Adriano Prosperi
I nostri lettori conoscono già le notizie emerse dal mondo della Curia romana e qui riferite sulla scorta del libro di Emiliano Fittipaldi, Avarizia. Storie di soldi, tanti: e di quel che si vede al di là della fitta nebbia che ne avvolge la raccolta e gli usi. Ma anche storia di come tra le mura del Vaticano, nel cupo torrione antico dove ha sede lo Ior (Istituto per le Opere di Religione), si pratichi un culto speciale al dio che i Vangeli chiamano “Mammona”, parola aramaica che significa appunto “tesoro nascosto”. Ci si attendeva che dal pontefice, impegnato in un riorientamento strategico dell’offerta religiosa cattolica, arrivassero rassicurazioni sulla volontà di andare avanti nel processo di moralizzazione. Invece è arrivata la denuncia dei giornalisti. Come dire che il reato lo compie non chi adora Mammona, ma chi svolge il compito della libera stampa scoprendo il marcio nascosto.
Un marcio antico e in gran parte italiano: per ricordarlo basta leggere Il gioco grande del poteredi Sandra Bonsanti (Chiarelettere). Qui una coraggiosa e bravissima giornalista racconta come ha dedicato per tanti anni il suo lavoro alla lunga vicenda di cui quel torrione dello Ior fu uno degli snodi fondamentali: è un racconto da raccomandare a chi non c’era, e ancora emozionante per chi ha vissuto quegli anni. Al centro c’è la figura di Licio Gelli, volontario fascista nella guerra di Spagna e “repubblichino” in Italia, infiltrato nei servizi segreti, poi “maestro venerabile” della loggia “segreta” P2. Intorno a lui ombre sfuggenti e protettive, come Andreotti, Craxi e tanti altri. E ombre di gente uccisa: il giudice Vittorio Occorsio, per esempio, ammazzato il 10 luglio 1976 mentre stava indagando sull’estrema destra romana e sui nessi che la legavano a Gelli. Il quale intanto redigeva la seconda versione di un suo “Piano di rinascita democratica” mirante all’instaurazione di una Repubblica presidenziale sul modello della Francia gollista. La versione precedente era un progetto di occupazione violenta del potere con l’intervento delle Forze armate. Ma il terrorismo di Stato era stato sconfitto dalla tenuta del Paese. E ora si passava a un disegno più morbido, di revisione della Costituzione. Si trattava di ottenere in maniera più sommessa lo stesso risultato. Nelle liste della P2, scoperte con una perquisizione alla villa di Gelli nel 1981, si lessero tanti nomi che dovevano segnare la successiva storia italiana con intrecci di politica, criminalità comune e finanziaria. C’era quello di Roberto Calvi, morto impiccato a Londra sotto il ponte dei Blackfriars il 18 giugno 1982. Un altro nome importante era quello di Michele Sindona, morto in carcere nel 1986 avvelenato con una tazzina di caffé. Ma prima di morire aveva fatto in tempo a far ammazzare l’11 luglio 1979 l’avvocato Giorgio Ambrosoli, un vero, rarissimo eroe civile, inflessibile servitore dello Stato.
Il “gioco” continua col sequestro e la morte di Aldo Moro. Il terrorismo brigatista e le trame nere si intrecciano in quella che fu la lunga notte della Repubblica. E intanto, con l’aiuto di Craxi, comincia l’ascesa di un iscritto alla P2 della prima ora, il cavalier Berlusconi. La storia continua: il disegno di rovesciare il disegno costituzionale ha fatto lenti ma decisivi progressi. Ma non è un “gioco grande”: piuttosto una meschina, ripugnante successione di mezze figure del tutto prive di grandezza nella loro criminale furbizia, espressione di quello che definiremmo l’italico fascismo perenne di una borghesia tesa a rapinare ricchezze e a garantirsi l’impunità. Minare la capacità dello Stato democratico di garantire gli interessi generali è l’esito finale dell’opera loro: così osserva Gustavo Zagrebelsky nella sua postfazione.

Pubblicato su left, 28 novembre 2015
Fonte: Libertà e Giustizia 

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