La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 3 dicembre 2015

Il ritorno dei nazionalismi. L'anno zero dell'Europa

di Mario Leone
Alla presentazione del suo libro si scopre un viaggio, nel “male” d’Europa, quel patologico vulnus che l’antico continente – con la memoria troppo breve – oggi stenta a “combattere”. L’incontro con Eva Giovannini autrice, per le edizioni Marsilio, di “Europa anno zero. Il ritorno dei nazionalismi” avviene a Latina, il 28 novembre, grazie all’iniziativa del Movimento Federalista Europeo di Latina e del centro regionale del Lazio in collaborazione con la Feltrinelli.
Giovane giornalista professionista, ha iniziato collaborando con «Il Tirreno» e «Affari & Finanza» di Repubblica. Il suo libro nasce dall’esperienza vissuta con i reportage per il programma di Raidue Annozero, come inviata del talk show di La7 Piazzapulita e oggi per Ballarò su Raitre. Per due anni è stata a Sky Tg24 dove si è occupata sia delle “news” sia del programma di approfondimento Controcorrente. Con lei il discorso è stato molto ampio, frutto anche di un ulteriore incontro tenuto con circa 300 studenti del Liceo “Manzoni” di Latina l’indomani, il 29 novembre.
Il ritorno dei nazionalismi in Europa. L’attualità nel libro di Eva è lampante. C’è un sogno, quello dell’unità politica dell’Europa, che perde la sua forza, a causa dell’Europa che non c’è, di un’Europa “comunità” che stenta a prendere piede, così invischiata sul piano nazionale e sui particolarismi.
La vicenda dei migranti ha aggravato il timore, la paura. Questa è cresciuta con gli attentati di Parigi prima a Charlie Hebdo poi al Bataclan.
Eva mi lascia un messaggio, un augurio, che viene dalla lettura del libro, “perché la storia non si ripeta…”. Sì la storia...
L’Europa silente e inerte è il miglior amico dei populismi di destra che si insinuano e crescono davanti alla “crisi” che, come ricorda Eva riprendendo Thomas Kuhn, “sta nell’indicazione, da essa fornita, che l’occasione per cambiare strumenti è arrivata”. Gli strumenti sono quelli della comunicazione, dei media, dei social net di cui queste nuove destre fanno largo uso, perché sono “professionisti della paura e del pessimismo” soffiando sul malcontento della popolazione.
Il vento dei nazionalismi spira sulla nostra Europa senza distinzione, con alterne “fortune”. Dal Front National di Marine Le Pen, all’Ungheria di Orban, dalla Polonia di Duda alla Danimarca del Partito del Popolo, passando per gli anti euro tedeschi di Alternative fur Deutschland all’FPO austriaco fino a Farange in Inghilterra e la Lega Nord in Italia. Si proclamano spesso anche non partiti di destra anzi rifiutano questo termine. Addirittura la Le Pen, fa sobbalzare, dal momento che strategicamente rifiuta la distinzione tra destra e sinistra, esaltando invece la contrapposizione “mondialismo” e “nazionalismo”. Il Front National ondeggia tra un'anima nostalgica che resta (nonostante l'espulsione di Jean-Marie) e un processo di storytelling che ha visto la nuova leader eliminare completamente parole come “razza” dal suo vocabolario.
Quando leggo l’intervista che Eva fa a Marine Le Pen mi viene in mente il passo del Manifesto di Ventotene (al secolo Progetto di manifesto per un’Europa libera e unita) scritto da Altiero 
Spinelli ed Ernesto Rossi al confino politico dell’Isola pontina nel 1941, che Eva ricorda all’inizio del libro, quasi per fissare subito una traccia dell’incredibile intuizione come monito alla lettura. Il passo è noto, laddove Spinelli scrive che la distinzione tra “progresso” e “conservazione” non sta più nella maggiore e minore democrazia o socialismo da realizzare ma lungo quello “nuova” linea tra coloro che vogliono un “solido stato internazionale” e coloro che vogliono il potere concentrato nella Nazione.
Queste destre populiste sono antisistema, spesso si toccano tra loro, si scambiano messaggi, sono contro gli immigrati e contro l’euro. Eva ricorda nel suo intervento uno degli “ideologi” diciamo non ufficiale del FN, Eric Zemmour: “Dal 1968 una triade si è impossessata del pensiero dominante dei nostri governanti e ha distrutto il paese. Sono le tre D: Derisione, Distruzione e Decostruzione. Di cosa? Dei nostri valori principali: lo Stato, il lavoro e la famiglia”.
L’Europa matrigna non ha posto a Margate. Eva cita una piccola località balneare del Kent a sud di Londra. 50 mila abitanti orfani del turismo anni ’70 e ’80, oggi landa silenziosa e ricca di polverose vetrine. Lì l’UKIP (United Kingdom Indipendence Party) di Farage fa il pieno di voti. E’ in tutta la Gran Bretagna che ottiene un grande successo, medaglia di bronzo nella competizione elettorale nazionale; osserva Eva che se lì avessero avuto un sistema non uninominale maggioritario oggi non avrebbero, a fronte di 4 milioni di voti, 1 parlamentare ma ben 82 alla Camera dei comuni! A Margate il Labour retrocede ben 4 punti dove UKIP avanza, e il “partito viola” toglie qualche voto anche ai Tory che cedono solo 2 punti. Ma l’esempio di Farage, definito un “oscuro pagliaccio” dai suoi detrattori ex alleati, si giunge alla definizione del prototipo conquistato, “un inglese medio, beve birra e vuole stare tranquillo”, afferma Emmott già direttore di Economist.
Eva ricorda come tutti questi movimenti “condividono un nazionalismo considerato escludente, conservatore, populista e anti: anticomunista, antieuropeista, antislamico”.
L’informazione un altro obiettivo di questi movimenti. Eva prova sulla sua pelle, nelle piazze che ha calcato, l’opposizione al dialogo, all’inchiesta, all’approfondimento. Uno di questi movimenti è Pegida in Germania, “i nuovi patrioti contro l’islamizzazione dell’Occidente” che tra gli slogan di un corteo mostra un “giornalisti bugiardi”. Gli slogan. La “mano santa” per l’adesione a una rivoluzione culturale “contro”. Un ragazzo si avvicina a Eva ed esclama: “Meglio in piedi oggi con Pegida che in ginocchio domani alla Mecca”…
Si gioca con la “pancia” del popolo, lo stimolo giunge lì, dove l’essere umano è forse più debole. E in Ungheria questo lo sanno, coloro che sostengono Orban si preoccupano di “godere” dell’inversione di tendenza, così insoddisfatti dall’ennesimo fallimento della sinistra, qui come altrove in Europa. “Orban è riuscito a tagliare i costi della politica”, e un pensionato che spiega: “Orban finalmente ci ha abbassato le bollette di luce, gas e telefono”. Proprio come ha risposto lo stesso premier quando gli venivano rinfacciati gli attacchi alla democrazia istituzionale del paese. Paladino della “dittatura” di Bruxelles, Orban si preoccupa di difendere la sua posizione nazionalista da chi è anche più nazionalista di lui, un derby tutto a destra col partito Jobbik. Eva ricorda che questi si definiscono “i migliori” ma anche “i più a destra” appunto. Bandiere a doppia croce bianca per la Grande Ungheria, pronti a ridarle i confini, entro il 2020, che aveva nel 1915.
A Eva chiedo, alla fine del suo intervento, ma davanti a questa piena populista di destra non è giunta l’ora di un sano populismo europeo? Abbiamo bisogno di un patto di (ri)fondazione per questa Europa. “Certo! ne avremmo bisogno” ma Eva stessa ammette di essere disincantata, davanti a una Europa che – come negli anni di Kissinger – ancora non ha un numero di telefono unico col quale rispondere…

Fonte: Europa in movimento 

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