La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 4 dicembre 2015

Territorio, gestione, tutela e opportunità: prevenzione del dissesto e clima

Nell’Italia colpita da fenomeni atmosferici sempre più intensi, frequenti e localizzati, che ogni anno provocano alluvioni, smottamenti e frane causando vittime e danni, sono sempre più frequenti le immagini di città allagate e la nuova normalità sembra essere fatta di territori sempre più fragili, resi vulnerabili dal riscaldamento globale, dal crescente consumo di suolo e da una gestione del territorio, urbanizzato e non, che non ha mai messo la prevenzione del rischio idrogeologico al primo posto.
A ottobre c’è stato un alluvione a Benevento, in Campania, ma anche unondata di maltempo che ha colpito Olbia, Pisa, Cassino ed altre città e paesi di mezza Italia, disastri “naturali” che hanno drammaticamente riportato all’attualità il problema del rischio idrogeologico nel nostro Paese l’urgenza di avviare una serie di interventi per la tutela e la valorizzazione dei territori.
Legambiente che oggi a Benevento ha organizzato insieme al Comune il convegno “Ecosistema Urbano. Il territorio, gestione, tutela e opportunità” propone una strategia virtuosa: «Avviando una rigenerazione urbana, programmando interventi mirati per la tutela e la messa in sicurezza dei territori e politiche di mitigazione che garantiscono anche una migliore risposta agli eventi climatici estremi; ed ancora definendo un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, rilanciando le aree interne e puntando sulla forza dei territori, molte cose potrebbero cambiare disegnando così una nuova “geografia urbana” più green e sostenibile».
Proprio da Benevento, che lentamente sta tornando alla normalità dopo l’alluvione di ottobre, Legambiente ha ribadito l’importanza di «considerare la difesa del suolo e le politiche di prevenzione un tema prioritario del Paese e dell’agenda politica. È la prima vera grande opera pubblica da mettere in campo».
Michele Buonomo, presidente Legambiente Campania, ha spiegato: «Abbiamo fortemente voluto questo appuntamento a Benevento per rinsaldare, proprio da questo territorio, recentemente martoriato, i principi cardine della salvaguardia ambientale Il nuovo modello di sviluppo che di fatto la crisi ci impone di scegliere, dovrà puntare su una economia a basse emissioni, sulla corretta gestione del territorio per la sicurezza dei cittadini e delle imprese, sulla valorizzazione delle tipicità agricole ed artigianali. Un ruolo fondamentale sarà giocato dalle aree interne, sulle quali occorre scommettere e nelle quali rientrano anche città come Benevento. Serve combattere il pervasivo abuso di territorio, operare per la necessaria messa in sicurezza, valorizzare il patrimonio storico e culturale, favorire la permanenza dei giovani».
Secondo Rossella Muroni, direttrice nazionale di Legambiente, «Le città rappresentano il nodo intorno a cui si intrecciano e dipanano le emergenze umane, ambientali, sociali e culturali del nostro tempo e insieme lo scenario di soluzioni possibili e praticabili. La crisi urbana e i cambiamenti climatici ci obbligano a ripensare in modo diverso il territorio e le città, immaginando un futuro che guardi alla rigenerazione urbana, ad uno nuovo tipo di mobilità urbana, a scelte di vita sostenibili. E in questo futuro è importante che vi sia anche un cambio di passo da parte della politica attraverso nuovi interventi territoriali e politiche ad doc a partire da un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che contenga indicazioni concrete per mettere in sicurezza le persone e adattare i territori e le realtà urbane. I cambiamenti climatici stanno determinando impatti sempre più evidenti nelle città, con rischi per le persone e problemi che in Italia sono resi ancor più drammatici dal dissesto idrogeologico, da scelte urbanistiche sbagliate e dall’abusivismo edilizio. Per questo è imprescindibile ridurre le emissioni di gas serra e investire per la messa in sicurezza dei territori, due obiettivi fondamentali che devono essere fissati in modo obbligatorio nell’accordo internazionale che uscirà dalla COP21 di Parigi».
Al convegno di Benevento il tema centrale è stato il rischio idrogeologico e le politiche territoriali ed è emerso che «In Italia sono circa 6 milioni i cittadini che vivono o lavorano in aree ad alto rischio idrogeologico. Una condizione che interessa il 10% della superficie del territorio nazionale e l’82% dei comuni italiani».
Secondo i dati di Italia Sicura, negli ultimi 16 mesi i danni legati alle emergenze idrogeologiche ammontano a 7,9 miliardi di euro e da maggio 2013 sono stati aperti 40 stati di emergenza, di cui 14 ancora in corso. Dati che per Legambiente evidenziano quanto sia urgente intervenire al più presto con politiche territoriali ad hoc e risorse adeguate: «Gli oltre 600 milioni di euro, per i 33 interventi urgenti contro il rischio idrogeologico resi disponibili dal Governo, sono un’importante e positiva novità, ma rischiano di essere insufficienti rispetto all’ingente mole di danni e alla diffusa presenza di territori a rischio in Italia. Bisogna destinare maggiori fondi alla prevenzione per diminuire i costi delle emergenze. Gli interventi di prevenzione del rischio sono un investimento in termini ambientali ed economici. Si stima che ogni euro di investimenti pubblici ne sviluppa 6. Inoltre la gestione del territorio, attraverso presidi territoriali e il coinvolgimento dei soggetti interessati e delle diverse discipline tecnico-scientifiche permette di creare nuova occupazione a partire da quelle aree, come le aree interne, che oggi sono le più disagiate sotto questo punto di vista». Per questo il Cigno Verde oggi ha ribadito «l’urgenza di definire un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che dia indicazioni concrete per attuare le politiche di adattamento a partire dalle città, e che dialoghi con il programma delle misure di riduzione del rischio che si stanno mettendo in campo».
Gli interventi succedutisi durante il convegno hanno anche sottolineato l’importanza di avviare nelle città italiane una vera e propria rigenerazione urbana basata su: «mobilità nuova e sostenibile per uscire dalla morsa di traffico e smog, ecoquartieri per rigenerare le periferie, riqualificazione energetica e statica per rilanciare il patrimonio edilizio. Per l’associazione ambientalista la rigenerazione urbana è fondamentale per fermare il consumo di suolo, per riportare qualità e identità dei centri urbani rispondendo alle sfide delle trasformazioni socio-economiche, dei cambiamenti climatici e degli inderogabili impegni in campo energetico».
Legambiente conclude: «E se nelle città è importante pensare ad un rinascimento urbano, dall’altra parte è fondamentale valorizzare e rilanciare le aree interne del Paese, luoghi di bellezza e culle di buone pratiche sostenibili. Qui le comunità locali stanno costruendo società resilienti, attrezzate a rispondere alle nuove emergenze climatiche e a prevenirle grazie a strumenti e politiche di mitigazione che favoriscono la crescita di nuove imprese, professionalità e specializzazioni sul territorio in grado di dare risposte strutturali a danni di abbandono e spopolamento, di degrado dei paesaggi e del patrimonio edilizio, di dissesto idrogeologico, cattiva pianificazione, consumo di suolo, perdita di capitale umano e incapacità a formare le giuste competenze per le economie dei territori».
Alla vigilia della Giornata mondiale del Suolo, anche il Wwf propone di dotare al più presto l’Italia di «norme e regole efficaci che interrompano il consumo del suolo consentendo ai Comuni di compiere scelte urbanistiche che individuino aree verdi e libere dedicate all’adattamento climatico e consentire la mitigazione/riduzione degli impatti e la resilienza dei sistemi naturali, mettendo in grado le nostre aree urbane di far fronte adeguatamente ai fenomeni estremi che le flagellano».
Basandosi sulla ricerca “Terra rubata”, il Panda sottolinea che «Se la conversione urbana e il consumo del suolo continua ai ritmi che abbiamo seguito per 50 anni in Italia, rischiamo che (con un trend di crescita della popolazione vicino a quello registrato dal 2001 al 2011) con quasi 3 milioni di abitanti in più nel prossimo decennio si abbiano altri 1000 kmq di territorio urbanizzato aggiuntivo corrispondente alla sparizione dell’intero agro pontino». 
Per questo anche il Wwf dunque propone di «bloccare questo modello ipertrofico di consumo del suolo (in soli 50 anni, dal 1950 al 2000, si è passati In Italia dal 2% ad oltre il7% di densità di urbanizzazione, cioè tre volte di più nonostante un incremento della popolazione che è stato di solo il 20%) e di adottare l’approccio all’adattamento climatico indicato sin dal 2007 dallo IPCC che indica la strada maestra della “modifica dei sistemi naturali o umani in risposta a stimoli climatici in atto o attesi o ai loro effetti, che riduce i danni o sfrutta le opportunità più vantaggiosi”, alla base anche della Strategia Nazionale sull’Adattamento Climatico, approvata il 30 ottobre 2014 ma non ancora divenuta operativa». Un’opportunità che, come emerge da “Terra rubata” «consentendo che la grigia epidemia dell’asfalto e del cemento si diffondesse ad una velocità media di 82 ettari al giorno (10 mq al secondo) colpendo in particolare le nostre coste e le nostre pianure».
Secondo la ricerca “Terra rubata” «Anche che le nostre coste (peninsulare, Sicilia e Sardegna) sono state cementificate ad un ritmo di circa 10 km/anno, facendo registrare un dato sostanzialmente e singolarmente omogeno per la costa adriatica, tirrenica e per ambedue le coste delle isole maggiori. La sola Pianura Padana ha contribuito per oltre un terzo (30 ha/g) al fenomeno nazionale (82 ha/g) pur occupando un sesto del territorio italiano. Anche i parchi, le zone tutelate per eccellenza dove più alto è il grado di naturalità, sono sotto assedio in Italia: si calcola, valutando cosa è successo in un buffer di immediata adiacenza largo 1 km, che il territorio attualmente urbanizzato sia al 10% (quasi 5 volte in più degli anni ’50), cioè più della media nazionale (7%)». Inoltre «Il modello insediativo in Italia rispetto all’Europa occidentale è molto più dispersivo e funzionalmente disorganico (definito “sprinkling” a fronte dello standard internazionale “sprawl”)».
Per questi motivi il Wwf chiede «un salto di qualità nella cultura amministrativa e urbanistica del nostro Paese, ritenendo che per ridurre gli impatti climatici sugli insediamenti urbani non siano più sufficienti gli interventi, seppur virtuosi, di riuso e rigenerazione urbana basati su infilling (collocazione dei siti dismessi di funzioni sostitutive economicamente vantaggiose) o di densificazione (utilizzando i singoli spazi interstiziali inutilizzati o dismessi) ma sia necessario dare negli strumenti di pianificazione spazio e respiro ai sistemi naturali, ampliando la dotazione di verde ed orti urbani (green and blue infrastructure), promuovendo la diffusione di tetti verdi e di greening delle superfici artificializzate. E’ dalla pianificazione che bisogna partire per contrastare il cambiamento climatico e prevenire il rischio idrogeologico».

Fonte: Green Report 

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