La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 4 dicembre 2015

Paolo Sylos Labini: un intellettuale economista

di Joseph Halevi
Durante tre decenni l’Italia è stata il fulcro di un pensiero economico molto avanzato - sia filosoficamente che politicamente - ove si intrecciavano tematiche classiche e keynesiane. Poi dalla fine degli anni 80 tale filone venne accantonato non per volontà dei suoi principali ispiratori. Il declino coincise con la deriva politico-morale del paese (Sylos Labini, 2002, 2006) assieme all’omologazione subalterna della didattica e della ricerca ai criteri inventati nelle università statunitensi con irreparabile degrado della ricchezza del proprio bagaglio culturale. 
E’ mia convinzione che Paolo Sylos Labini abbia costituito, fin dalla metà degli anni 50, il polo di maggior rilievo per la formazione e la crescita di quell’età dell’oro del pensiero economico che in Italia si venne formando nel quarto di secolo successivo alla Liberazione e alla fondazione della Repubblica[1].
La pubblicazione della famosa monografia Oligopolio e progresso tecnico (1956, 1962, 1967) ebbe, in breve tempo, una risonanza internazionale come testimonia la profonda disamina dello studio svolta - congiuntamente al lavoro di J.S. Bain Barriers to New Competition - da Franco Modigliani (1958) sulle pagine del Journal of Political Economy ancor prima della traduzione in inglese. Il valore universale diOligopolio, comprovato dalle molteplici traduzioni, è stato ulteriormente sottolineato nel 1993 con la ristampa dell’opera da parte della casa editrice Augustus M. Kelley nella serie Reprints of Economic Classics. Inoltre, sul finire del millennio scorso vide la luce, con la Cambridge University Press, il più accurato studio sulle teorie dei prezzi soggiacenti alla macroeconomia post-keynesiana. L’autore, Frederic Lee, purtroppo prematuramente scomparso di recente, sostiene che per quanto concerne l’analisi della formazione dei prezzi i lavori di Sylos Labini restano insuperati (Lee, 1998, p. 138). 
La forza principale del pensiero di Sylos Labini risiede nella stretta integrazione tra teoria e storia, fenomeno molto raro tra gli economisti. In questo scritto cercherò di evidenziare l’originalità e la rilevanza dell’opera di Sylos Labini facendo leva sul nesso tra teoria e storia; legame che ha caratterizzato l’insieme della sua elaborazione intellettuale, dalla ricostruzione post-bellica al 2004, anno in cui venne pubblicato il suo ultimo libro di economia. Per una visione più completa e puntuale suggerisco la lettura delle analisi e dei quadri disegnati da Alessandro Roncaglia (2006a; 2006b; 2007). 
[…] 
Disoccupazione, nuove tecnologie, sviluppo, fine del fordismo, validità dei classici. 
L’espansione oligopolistica del fordismo - prezzi rigidi quindi - grazie all’effetto combinato della spesa pubblica e degli aumenti salariali pari, sovente anche superiori, alla produttività, ha dato luogo ad un’espansione del reddito e dell’istruzione mai avvenute in precedenza. Le condizioni inflazionistiche, in cui si è concretizzata la rottura della crescita, hanno però reso problematico il riassorbimento della disoccupazione tramite politiche di deficit di bilancio. Inoltre, l’eterogeneità occupazionale e nella stessa formazione della forza lavoro - l’estensione dell’istruzione aumenta le tra la popolazione attiva la quota delle persone aspiranti a lavori intellettuali e delle donne - implica da parte del sistema una reattività alle politiche economiche assai diseguale. 
Il quadro storico e concettuale formulato da Sylos Labini per il periodo 1980-1993 è riassumibile in tre punti. Il primo concerne la strettoia in cui si viene a trovare la spesa pubblica di matrice keynesiana (cioè in deficit). Essa è condizionata dagli alti saggi di interesse che Sylos Labini attribuisce alla politica irresponsabile del governo americano durante la presidenza Reagan la quale, da un lato, attuava una politica monetaria restrittiva e, dall’altro, una politica fiscale espansiva verso il settore militare. E’ evidente che gli alti tassi americani trainavano anche i tassi europei aumentati, secondo i casi, dal differenziale inflazionistico, particolarmente alto per l’Italia. La seconda considerazione riguarda l’eterogeneità dell’occupazione e della forza lavoro. L’efficacia della politica fiscale nel curare la disoccupazione non è così certa come pensava Keynes durante la Grande Depressione il quale ragionava con uno schema ove la forza lavoro era in gran parte omogenea. Resta comunque fermo il fatto, scrive, che senza la rottura provocata dalle idee di Keynes in materia di politica fiscale, il progresso sociale post-bellico non avrebbe avuto luogo. Nel 2003 Sylos Labini criticherà le autorità statunitensi nel senso opposto. Cioè per aver voluto sostenere l’economia attraverso politiche di bassi tassi di interesse che hanno facilitato l’indebitamento al cospetto dei redditi stagnanti delle stragrande maggioranza delle famiglie americane. Egli paragona la decade 1990-2000 negli USA con gli anni Venti segnati da un massiccio spostamento della ricchezza verso i profitti e le rendite innescando il meccanismo speculativo sfociato nel crollo di Wall Street (Sylos Labini, 2003, in 2004, Appendice). Egli aveva quindi colto con svariati anni di anticipo la tendenza dell’economia americana verso una crisi finanziaria in cui l’indebitamento delle famiglie ha giocato un ruolo centrale. Su questo punto rimando lettrici e lettori ad un ottimo saggio di Marcella Corsi e Giulio Guarini (2010). 
La terza considerazione è la più importante ed è rappresentata dalla sua prolusione tenuta presso l’Università di Sydney nel 1980 alla R.C Mills Memorial Lecture. In quell’anno egli venne invitato per due mesi come Visiting Professor. Quando avanzai la proposta assieme al collega Peter Groenewegen, il fine e colto Vice Chancellor dell’Università, Sir Bruce Williams, si mostrò estremamente favorevole poiché conosceva bene - ed ammirava - i lavori di Sylos Labini. La lectioè stata ripubblicata nella collezione della MIT Press col titolo “Technological Change under Contemporary Conditions: an Economist’s View” (Sylos-Labini, 1984 cap. 3). Sylos divide la storia del capitalismo in tre periodi che corrispondono a tre forme di concorrenza abbinate a tre forme di evoluzione tecnologica. La fase iniziale è quella di Adam Smith ove la concorrenza si sviluppa grazie alle innovazioni introdotte da artigiani e dai ‘common workmen’. Il secondo periodo è di tipo marxiano-schumpeteriano, caratterizzato dall’emergere del settore produttore di macchinario che richiede la trasformazione delle invenzioni ottenute nel campo della meccanica. In questa fase opera ancora l’esercito industriale di riserva offrendo ampia forza lavoro a causa dell’esistenza di sottoccupazione agricola. Le figure schumpeteriane dell’imprenditore-innovatore e del banchiere si affermano in questo secondo momento. La terza fase è quella oligopolistica basata sull’interazione tra innovazioni di impresa e la ricerca scientifica pubblica e privata, quest’ultima concentrata nei laboratori delle grandi aziende. Pochi anni dopo Sylos-Labini aggiungerà una quarte fase segnata dall’adozione in massa di invenzioni che in precedenza non avevano un grande ruolo economico (ad esempio, l’aviazione nel periodo tra le due guerre mondiali aveva una funzione prevalentemente militare) e dalla rivoluzione elettronica (Sylos Labini, 1989, cap. 3). 
Ora, la terza e quarta fase appartengono alla dimensione keynesiana dell’economia, in cui il sistema reagisce prevalentemente attraverso la variazione della domanda e dell’occupazione. Leggendo il testo di Sylos Labini appare come non sia possibile trattare i problemi della disoccupazione rimandando al lungo periodo l’analisi dell’impatto delle innovazioni le quali, in larga parte, costituiscono un flusso continuo. Nel mondo attuale, anche nel breve periodo, gli investimenti hanno due effetti. Quando vengono decisi si presentano come ordinativi di nuovo macchinario creando in tal modo domanda ed occupazione addizionale nei settori di beni di capitale e nei servizi ad essi collegati. Tuttavia una volta installate, le nuove macchine generano un aumento della produttività del lavoro che, per ogni dato livello di reddito complessivo, riduce il numero di occupati. La capacità della società a gestire la formazione delle disoccupazione tecnologica dipende dal suo grado di civiltà. In particolare, dipende dal grado in cui riesce a spostare l’introduzione di nuove tecnologie da sostegno ai profitti ad obiettivi sociali, quali la riduzione degli orari di lavoro e la formazione di una forza lavoro poliedrica. La specializzazione, sostiene Sylos Labini deve ricadere sulle macchine non sulle persone che devono essere messe in grado di cambiare occupazioni. Si dovrebbe poter raggiungere un accettabile livello di flessibilità in cui i salari reali aumentano più della produttività in misura utile a stimolare le innovazioni, mentre la flessibilità dovrebbe permettere la redistribuzione dell’occupazione. Dato che le fluttuazioni economiche non possono essere completamente annullate, vi saranno dei periodi in cui è opportuno che la flessibilità abbia priorità nei confronti degli aumenti salari, i quali in ogni caso non devono scostarsi dalla dinamica della produttività. Tale impostazione scaturisce da una visione teorica decisamente dinamica dell’economia caratterizzata dalla sostituzione dinamica del lavoro con le macchine. Viene completamente respinta la concezione statica che fa dipendere l’assorbimento della disoccupazione dalla riduzione dei salari. 
L’attenzione all’evoluzione storica porta Sylos Labini a riconsiderare gli aspetti quantitativi dello sviluppo. Sono elaborazioni svolte dalla metà degli anni Ottanta fino ai primi del 2000, che comportano anche un bilancio critico dell’opera di Marx (Sylos Labini, 1994). Su quest’ultimo aspetto non mi soffermo preferendo rinviare ad alcune mie osservazioni passate (Halevi, 1998) e soprattutto alla lettura del recentissimo saggio di Massimo Cingolani (2015) su Moneta e Credito. 
In Torniamo ai classici (2004), l’Autore spiega i fattori che hanno portato allo smorzamento nei paesi sviluppati della fase fordista associata al dominio delle grandi imprese oligopolistiche. In prima fila troviamo la nascita delle nuove tecnologie elettroniche il cui uso è accessibile alle piccole e medie imprese conferendo loro anche una maggiore capacità di diversificazione dei prodotti. Il processo si è integrato con l’aumento dei redditi individuali permettendo in tal modo un più ampio ventaglio di spesa da parte delle famiglie. Inoltre l’aumento dei salari rispetto al prezzo del macchinario ha facilitato l’adozione di metodi sia di automazione che di delocalizzazione da parte delle grandi imprese. L’impatto dei salari sulle ristrutturazioni corrisponde forse al caso europeo dato che negli USA la pressione salariale è stata molto debole a partire dalla fine degli anni Settanta. Nel libro viene infatti mostrato come in America la dinamica della produttività sia stata notevolmente inferiore a quella europea con conseguenze opposte, rispetto all’Europa, sulla crescita occupazionale. Oggi, guardando retrospettivamente, è necessario tener conto del fenomeno Cina il quale riconferma in modo nuovo alcune delle posizioni classiche di Sylos Labini e di Luigi Pasinetti, l’altro grande pilastro internazionale del pensiero economico italiano[2]
L’industrializzazione perseguita dalla Cina nell’ultimo trentennio ha implicato la creazione di sistemi concatenati verticalmente. All’interno di essi operano tanto fattori di diffusione delle attività, quanto fattori di oligopolio nei punti nodali di ciascuna catena e nelle congiunzioni tra le catene stesse (Milberg e Winkler, 2013). Attraverso l’utilizzo delle capacità produttive raggiunte nei settori di base - quali la metallurgia, acciai e leghe speciali, macchinario pesante, cemento - la Cina ha reso possibile lo sviluppo di ampie economie di scala nei rami più diversi. Dalla costruzione di laboratori sterilizzati di grandissime dimensioni per la produzione di microprocessori, alla messa in opera in tempi brevi di fabbriche - appartenenti ad aziende multinazionali - ad alta capacità produttiva da dove esce un flusso di merci tecnologiche che nessun altro paese potrebbe eguagliare. Il caso della taiwanese Foxconn è paradigmatico. L’azienda - che produce per le società multinazionali Apple, Cisco, Microsoft, Sony e molte altre ancora - possiede siti industriali in 9 città cinesi per un totale di 12 stabilimenti. Ciascun sito occupa decine di migliaia di dipendenti, in alcuni si arriva ad oltre centomila persone. In questo tipo di produzioni di avanguardia i ritmi di lavoro sono iper-fordisti con effetti devastanti sulle maestranze (Matt, 2012). Contemporaneamente i prodotti appartengono alle tecnologie che, nei paesi di vecchia industrializzazione, stimolano l’allargamento degli spazi delle piccole e medie imprese rispetto alla stasi delle grandi aziende tradizionali. 
Lo sviluppo delle nuove tecnologie e la crescita dei servizi implicano, in primis per i paesi tradizionali e alla lunga anche per la Cina, un mutamento tendenziale nei meccanismi della distribuzione del reddito. In uno squisito saggio sulla robotizzazione Sylos Labini, mostra come al suo progredire viene meno il rapporto produttività del lavoro e salario su cui si basa l’aspetto obiettivo della determinazione del reddito. Parallelamente l’estendersi dei servizi crea a sua volta attività in cui non si può più quantificare la produttività (Sylos Labini, 1989, cap. 10). Ciò è particolarmente vero nel lavoro diretto alla protezione e rigenerazione dell’ambiente. Complessivamente pertanto l’economia dovrà rispondere in misura crescente a dei criteri sociali. Per queste ragioni Sylos Labini preconizzava anche il superamento degli obiettivi di sviluppo quantitativo. Nel 1963 assieme a Giorgio Fuà egli elaborò uno schema di crescita quantitativa dell’economia Italiana quando il paese ne aveva ancora grande bisogno (Fuà e Sylos Labini, 1963). Nei tempi più recenti, nei paesi maturi lo sviluppo quantitativo è diventato un obiettivo strumentale per creare occupazione (Sylos Labini, 1989, cap. 9). Per l’insieme del pianeta il modello seguito nei paesi industrializzati non è riproducibile. Basti pensare, osserva Sylos, quali sarebbero gli effetti se la diffusione dell’automobile nei paesi del Terzo mondo raggiungesse i livelli dell’occidente. Posta in maniera interlocutoria nel 1989 la questione è diventata un grave problema nella Cina di oggi. 
Il superamento auspicato da Sylos Labini avrebbe richiesto un progresso in termini di civiltà. Tuttavia analizzando nel 2003 lo stato dell’economia statunitense e mondiale egli osservava: “Allo squallore delle prospettive economiche si accompagna lo squallore delle prospettive di incivilimento: oggi sembra che ci si muova nella direzione opposta” (Sylos Labini, 2004, Appendice, p.136). Potrei fermarmi qui e sottolineare come la crisi americana del 2000-2002, basata sul processo di indebitamento del decennio precedente, venisse vista da Sylos Labini in forma tutt’altro che passeggera. Egli accompagnava però anche le sue più fosche osservazioni con una fiducia nella capacità di creare le condizioni culturali e civili per reagire all’imbarbarimento. Ed è proprio con questo spirito che si chiude il suo ultimo scritto di economia. 
Paolo Sylos Labini era un grande economista e pensatore classico. A livello mondiale si trova assieme a Michal Kalecki e a Paul Sweezy riguardo il ruolo fondamentale dell’oligopolio nel processo di accumulazione, innovazione e distribuzione, avendo sviluppato strade assolutamente nuove e tuttora valide sul piano conoscitivo. Contemporaneamente, sempre a livello mondiale, si colloca assieme a Luigi Pasinetti nell’elaborazione moderna del filone classico da Smith a Piero Sraffa, incorporando, nel suo caso, l’insegnamento di Schumpeter. Infine i suoi contributi sono assolutamente unici e preziosi tanto per il contenuto storico quanto per quello metodologico. Nessuno ha integrato e fatto “lavorare” la teoria per sceverare i processi storici come Paolo Sylos Labini durante tutto il suo lungo e grande viaggio intellettuale. Per l’Italia Sylos Labini rappresenta uno dei punti culturalmente più alti della speranza di civiltà espressa dalla Resistenza e dalla Repubblica. Lascia un patrimonio la cui preservazione è possibile solo arricchendolo. 

Bibliografia 

Cingolani, Massimo (2015) “Sylos Labini su Marx: implicazioni per la politica economica”, Moneta e Credito, vol. 68 n. 269, 81-147. Accessibile presso: file:///Users/jh/Downloads/13074-24048-2-PB%20(1).pdf 

Corsi, Marcella e Guarini, Giulio (2010) “Le cause reali delle crisi finanziarie: l’approccio di Paolo Sylos Labini”, Studi e Note di Economia, Anno XV, n. 3-2010, pagg. 389-412. Accessibile presso: 


Fuà, Giorgio e Sylos Labini, Paolo (1963), Idee per la programmazione economica; Bari: Laterza. 

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Matt, William (2012) “Foxconn audit finds illegal overtime and unpaid wages at Apple factory”; London: The Guardian, 29 marzo. Accessibile presso:http://www.theguardian.com/technology/2012/mar/29/apple-foxconn- audit-labour-violations. 

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Sylos Labini, Paolo (1984) The Forces of Economic Growth and Decline; Cambridge, MA; London, England: The MIT Press. 

Sylos Labini, Paolo (1986) Le classi sociali negli anni 80; Bari: Laterza. Una prima versione fu pubblicata nel 1974. 

Sylos Labini, Paolo (1989) Nuove tecnologie e disoccupazione; Roma-Bari: Laterza. 

Sylos Labini, Paolo (1992) Elementi di dinamica economica; Roma-Bari: Laterza. 

Sylos Labini, Paolo (1993) Progresso tecnico e sviluppo ciclico; Roma-Bari: 

Laterza. 

Sylos Labini, Paolo (1994) Carlo Marx: è tempo di un bilancio; introduzione di Giacomo Becattini Roma-Bari: Laterza. Questo volume contieni vari scritti. Il saggio di Sylos Labini va da pagina 3 a pagina 24. Dopo gli interventi seguono le sue conclusioni da pagina 187 a pagina 204. 

Sylos Labini, Paolo (2001), Underdevelopment : A Strategy for Reform; Cambridge: Cambridge University Press. 

Sylos Labini, Paolo (2002) Un paese a civiltà limitata : intervista su etica, politica ed economia; a cura di Roberto Pettini. Roma-Bari : Laterza. 

Sylos Labini, Paolo (2004) Torniamo ai classici: produttività del lavoro, progresso tecnico e sviluppo economico; Roma-Bari: Laterza. 

Sylos Labini, Paolo (2006) Ahi serva Italia : un appello ai miei concittadini; a cura di Roberto Petrini. Roma: Laterza. 

NOTE 

[1] Basti pensare a Federico Caffè, Giorgio Fuà, Augusto Graziani, Claudio Napoleoni, Sergio Steve. Tutti molto diversi tra loro eppure legati dai fili rappresentati dalla conoscenza dei processi storici e delle istituzioni. E’ doveroso ricordare Pierangelo Garegnani il quale, negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso svolse un ruolo importante, sia in Italia che nel mondo, nella critica alla teoria neoclassica del capitale. E’ d’uopo menzionare inoltre Luigi Spaventa che, tra la fine degli anni 50 e il 1970, apportò dei contributi di grande rilievo al dibattito, cruciale per la formazione di politiche riguardo il Mezzogiorno, sul dualismo economico, terreno in cui eccelsero lo stesso Sylos Labini e Augusto Graziani, nonché alla discussione sulla teoria del capitale. Ai fondatori dell’età dell’oro appartengono due economisti viventi: Marcello De Cecco - che ha prodotto il miglior studio esistente al mondo sul sistema monetario aureo ed è oggi, a livello internazionale, uno dei maggiori studiosi dei meccanismi monetari - e Luigi Pasinetti, fondatore della fondamentale teoria dei settori verticalmente integrati connessi ai cambiamenti strutturali. 

[2] Le interconnessioni esistenti tra Paolo Sylos Labini e Luigi Pasinetti sono state sottolineate nel mio saggio del 1998 (Halevi, 1998).

Fonte: MicroMega online 

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