La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 10 dicembre 2015

Poletti e noi

di Cobet
Parliamoci chiaro e smettiamo di fare gli offesi, gli indignati, gli stupiti ma sopratutto i “rivoluzionari” da tastiera davanti alle sempre più frequenti dichiarazioni-attacchi del ministro Poletti al mondo del lavoro. All’oggi, il ministro, ha tutta la possibilità di dire quello che vuole, spalleggiato da Confindustria e lanciare sassi nello stagno che diventano diga negli anni perché a contrapporsi a lui e loro c’è il nulla.
Nel giro di pochi anni questi figli della peggior socialdemocrazia hanno e stanno sterminando il mondo del lavoro portandolo a loro immagine somiglianza, sfruttando la crisi e sfruttando lo sfruttamento del soggetto lavoratore quale esso che sia: dipendente, precario, autonomo o occasionale.
E’ un gioco al rimbalzo tra governo e padroni, una volta parla uno lanciando proposte che diventano reali nel tempo, una volta parlano gli altri lanciando segnali ben precisi al governo, spalleggiandosi ogni qual volta. In un vecchio articolo ho messo in risalto l’ascesa del leader di Confindustria Squinzi, una ascesa tutta emiliano-romagnola accompagnata dall’altro ministro emergente, con esperienza nel mondo cooperativo, Poletti (che, secondo un articolo di Repubblica, sarebbe al primo posto tra i ministri più graditi).
Sistema cooperativo ed Emilia Romagna, un’accoppiata che per i padroni è vincente, un laboratorio politico che da decenni, nel mezzo di una pace sociale assodata da anni sta devastando il welfare sociale. Un sistema che ha visto un piccolo attacco e messo in parte in crisi dalle lotte dei facchini della logistica (in parte perché ha toccato solo quel settore specifico, mancando l’allargamento a tutto il resto del sistema) ma che attraverso il Jobs Act sta ritrovando fonte di rinnovamento e sostentamento.
Cosa succede?
Succede che in molte aziende dove il sistema cooperativo è oramai realtà consolidata nel “prestare” manodopera a basso costo, queste rompono i contratti con le cooperative appaltanti per crearne delle nuove dove i dirigenti sono gli stessi delle aziende appaltatrici, creando di fatto delle scatole cinesi vere e proprie, licenziando i vecchi lavoratori, riassumendoli nel nuovo soggetto cooperativo con il Jobs Act con un taglio del salario sostanziale, aumentando lo sfruttamento e il ricatto all’interno dei posti di lavoro.
Ma questo è solo la prima parte dell’attacco e del disegno voluto dal tandem Governo-Confindustria perché il prossimo passaggio sarà quello di colpire quei lavoratori cosiddetti “privilegiati”, cioè a tempo indeterminato, andando a chiudere il cerchio, facendo tornare il mondo del lavoro indietro di decenni.
E qui arriviamo alla domanda che ultimamente ci facciamo. E “noi” dove siamo e come siamo messi? Noi siamo assenti, troppo preoccupati a difendere il nostro orticello, o troppo concentrati in lotte, sì importanti e necessarie, ma che limitano l’attenzione da tutto il resto che ci circonda e sono di nuovo a chiedere: un movimento che si possa considerare tale può veramente a fronte di un attacco imponente da parte del capitale a 360° accontentarsi della fondamentale lotta in Val Susa, della lotta per la casa e qualche lottarella nel mondo della logistica?
A mio avviso no. Così facendo si lasciano spazi aperti a soggettività anch’esse figlie della peggior socialdemocrazia come i sindacati confederali o organizzazioni rimaste a metodi e modi e ragionamenti del secolo scorso, incapaci di analizzare l’attuale fase e ripensare e ridisegnare lotte degne di essere chiamate tali.
Se oggi non parte una discussione seria su quello che ci sta accadendo intorno a “noi” rimarremo sempre in ritardo rispetto alla controparte, una discussione che parta anche dai numeri che ci offre la controparte ma deve essere serrata, dal mondo del lavoro, alla guerra in atto, su tutto quello dove il nostro nemico, senza una contrapposizione, mette mano e distrugge.
Solo così potremmo ribaltare le certezze della controparte e ribaltare i meccanismi del capitale che vogliono farci credere che crisi è uguale paura e essere pronti che a un nuovo rinnovamento dello stesso, noi possiamo farci trovare pronti, attraverso quelle soggettività formatesi, non solo sotto l’aspetto teorico (aspetto importante), ma anche in quello pratico attraverso lotte reali, le uniche assenti in questa fase storica.

Fonte: commonware.org

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