La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 31 gennaio 2016

Università, ricerca, diritti

Pubblichiamo questo importante documento stilato da un gruppo di compagne e compagni toscani sul tema – cruciale – dell’Università e della ricerca. Lo riteniamo un punto di partenza essenziale, ricco di spunti e di proposte pienamente condivisibili per la sinistra che stiamo costruendo.
Università, ricerca, diritti
L’Università Pubblica in Toscana è composta sia da tre grandi istituzioni storiche (Firenze, Pisa, Siena) sia da Scuole di alto livello di specializzazione come la Scuola Normale Superiore (SNS) e la Scuola Superiore di Studi Universitari e Perfezionamento S. Anna (SSSUP S.Anna) e l’IMT di Lucca.
Gli Enti Pubblici di Ricerca sono invece presenti nella regione con le sedi operative dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), il primo con sede a Pisa e il secondo con sede a Firenze; con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), con sede a Pisa. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), si articola, nelle due aree principali di ricerca di Firenze e Pisa. In queste due sedi CNR sono operativi numerosi istituti (12 a Firenze e 13 a Pisa) e molte altre sezioni locali di istituti aventi sede centrale fuori regione (4 a Firenze e 7 a Pisa).
Ci sono poi altre due sezioni di istituti CNR che operano a Siena e Massa Carrara. Sul territorio toscano sono ancora presenti altre strutture di ricerca tra cui una internazionale, molto complessa e imponente, come l’ European Gravitational Observatory (EGO), un consorzio europeo con sede a Cascina (PI) che si occupa del funzionamento e mantenimento in attività di VIRGO, un interferometro per lo studio di onde gravitazionali. Sono infine presenti altri due laboratori di ricerca di rilevanza internazionale come il Laboratorio di Tecniche Nucleari per i Beni Culturali (LABEC), con sede presso l’INFN di Firenze e il National Enterprise for nano Science and nano Technology (NEST), presso la Scuola Normale Superiore. Nell’ambito delle scienze socio economiche e degli studi storici si segnala infine la presenza dell’Istituto Universitario Europeo (IUE) una istituzione di ricerca che affonda le sue radici nel processo di costruzione dell’unione europea. Da questo sommario e parziale esame delle strutture mancano una serie di laboratori specialistici per lo studio di argomentazioni di alto interesse scientifico, ma già questa breve panoramica rende l’idea della complessità e consistenza delle strutture pubbliche universitarie e di ricerca presenti nel territorio toscano.
In toscana esistono quindi molte realtà universitarie pubbliche importanti ma non esiste un sistema universitario regionale. Questa situazione, alla luce dei cambiamenti indotti dalla legge 240 del 2010, per un certo verso, non sembra essere del tutto negativa perché, per esempio, ha contrastato l’istituzione di un Politecnico accentratore che coinvolgesse i dipartimenti di Ingegneria dei tre atenei. Certamente comunque l’istituzione di strutture di governo molto centralizzate come il nuovo CDA, il nuovo Senato Accademico e i nuovi Dipartimenti hanno spinto verso una concentrazione gestionale e di governo molto forte e poco inclusiva. Occorrerà continuare a impegnarsi in ogni istanza possibile per continuare a resistere e contrastare la deriva accentratrice e per dire SI alla partecipazione e al coinvolgimento democratico e partecipato di tutte le componenti in tutte le forme di governo possibile, sia negli organi centrali che decentrati degli atenei. Sarà importante elaborare proposte e continuare a produrre idee innovative di controllo e governo per opporsi alla nuova riforma che si profila sull’università e che ne prevede anche la riduzione di numero, soprattutto a scapito di quelle meridionali. Diciamo SI alla semplificazione e deburocratizzazione del sistema di gestione universitario complicato oltremodo soprattutto da sistemi informatici complessi, farraginosi e poco elastici per la contabilità, la registrazione degli esami, il funzionamento dei sistemi di valutazione della qualità delle attività di ricerca e di didattica. Diciamo SI ai processi di regionalizzazione a patto che non diventino processi o occasioni per fare cassa ma diano reale impulso, sostegno e sviluppo agli atenei pubblici. Questi processi non devono essere però il preludio per esternalizzazioni massicce e riduzione di personale. Siamo per dare lo stesso stipendio a parità di mansioni e siamo per avviare un turn-over vero e reale che renda efficienti l’offerta didattica, la ricerca ed il trasferimento tecnologico. Siamo per il pieno riutilizzo degli immobili di proprietà delle università, laddove non vengano utilizzati per didattica e ricerca, anche se necessitino di interventi di recupero e manutenzione, immaginando e programmando destinazioni d’uso di pubblico utilizzo come centri di servizi multivalenti, musei, biblioteche, laboratori audiovisivi e multimediali. Negli atenei della toscana è necessario aumentare e tenere in efficienza gli spazi destinati agli studenti e favorire l’esistenza e l’insediamento, laddove possibile, delle strutture universitarie all’interno del tessuto urbano delle citta superando e armonizzando le eventuali esigenze edilizie che si creano o si verranno a creare. SI all’istituzione di un sistema museale regionale intrecciato e interconnesso con le realtà universitarie e che sia in grado di evolversi ed essere utilizzato come vettore di cultura sul territorio. In alcune città della Toscana l’intreccio tra musei e università ha fatto sistema ed ha creato ricadute positive, si potrebbe allora pensare ad un sistema museale regionale, supportato anche dalle competenze accademiche che esistono nella regione, che favorisca la creazione di un circuito con due livelli, uno classico di tipo culturale e turistico che preveda anche eventi collaterali che favoriscano l’interesse del pubblico ed uno specialistico di taglio accademico destinato a chi vuole approfondire il proprio studio e conoscenza utilizzando materiali presenti in strutture accademiche museali di solito poco accessibili al grande pubblico.
La ricerca regionale è un punto che riteniamo importate non solo per il suo stretto collegamento legato al ruolo della missione istituzionale delle università ma anche per l’importanza che può ricoprire nella creazione e nel mantenimento dei distretti tecnologici. Diciamo SI quindi al mantenimento dei Poli Tecnologici che, per le loro caratteristiche, hanno rilevanza e valenza regionale. Il trasferimento tecnologico e le politiche di sviluppo dell’innovazione sono fondamentali per il mantenimento di elevati standard di ricerca sia nei poli pubblici che in quelli partecipati dal pubblico e in quelli privati e sono fattori importanti per l’attrazione di investimenti o il consolidamento di presenze industriali importanti per lo sviluppo regionale. L’immediata applicazione ai Centri di sostegno all’innovazione ed al trasferimento tecnologico delle direttive di legge che impongono la dismissione delle società partecipate dagli Enti locali potrebbe rappresentare un clamoroso autogol perché mette in crisi la grande partita del Trasferimento Tecnologico in un momento nel quale la competizione economica si gioca sulle concrete capacità di innovazione. Siamo anche per una gestione migliore dello Spin-off e per una sua reale proiezione produttiva sul territorio in modo che non diventi solo un sistema per gestire il precariato o per esternalizzare in modo a volte ambiguo attività di ricerca. Siamo per la riunificazione delle competenze e delle attività svolte dalla regione per la gestione della Ricerca e per una più efficace e razionale correlazione con il sostegno all’innovazione nelle Attività produttive superando anche l’eccessiva burocratizzazione presente nei bandi per il finanziamento della ricerca e dell’innovazione mantenendo uno sguardo d’insieme sulla pianificazione territoriale. Sarebbe importante poi, a tal fine, aprire una opportuna riflessione pubblica e partecipata sull’istituzione di un ente di area vasta che gestisca le politiche universitarie e di sostegno alla ricerca che venivano gestite dalle province e magari l’istituzione di un Assessorato Regionale per le politiche di raccordo con le università per il sostegno alla ricerca e al trasferimento tecnologico, unificando quindi la gestione e le politiche sviluppate su questi tre aspetti.
Sul versante della ricerca industriale, dello sviluppo e del trasferimento tecnologico nel settore privato, la Toscana soffre delle stesse contraddizioni che caratterizzano il settore a livello nazionale. Ad una ricerca universitaria e pubblica, di base ed applicata, di elevato livello scientifico e tecnologico, e che in non pochi ambiti raggiunge livelli di assoluta eccellenza internazionale, non corrisponde un tessuto altrettanto forte realmente in grado di leggere ed interpretare i bisogni del sistema produttivo, identificare le opportunità di diversificazione e sviluppo e “catturare” i risultati della ricerca pubblica più promettenti attraverso collaborazioni con le Università ed i Centri di Ricerca ad un livello di maturità tecnologica tale da permettere alle imprese di integrarle nel loro portfolio come nuovi prodotti, nuovi processi o nuovi servizi. Negli ultimi 20 anni ci sono stati diversi tentativi di colmare questo gap, con la creazione di parchi tecnologici, di centri per il trasferimento tecnologico, poli di innovazione e distretti che facevano come una sorta di “Demiurghi” (tipicamente consorzi pubblico-privati con l’obiettivo di un confronto-incontro tra capacità di ricerca e bisogni delle imprese) che quasi mai sono in possesso di specifiche competenze scientifico-tecnologiche, né di risorse di personale e strumentali, tali da renderli soggetti attivi di un processo di trasferimento tecnologico lungo, complesso ed impegnativo e di cui soggetti come università e CNR spesso non riescono a farsi carico per vari motivi legati alla loro stessa natura ed organizzazione burocratica.
La principale funzione della ricerca universitaria, al di là dell’importante attenzione al territorio in cui risiede ed alle sue caratteristiche economiche, sociali e produttive, travalica infatti necessariamente i confini dello stesso territorio, e quelli nazionali, mirando ad una eccellenza internazionale nelle pubblicazioni scientifiche e nella generazione di nuova conoscenza e di nuove tecnologie, con un orizzonte applicativo che molto raramente può essere immediato. Il successivo lavoro di valorizzazione (trasformazione di conoscenza in valore) dei risultati della ricerca “di base” richiede invece un approccio ed un atteggiamento forse meno “visionario” e molto spesso più noioso, fatto di un lavoro intenso in termini di tempo, personale e risorse strumentali che impone uno scambio continuo con il partner o cliente industriale e la capacità di adattarsi alle sue esigenze e specifiche. Una professionalità diversa da quella del ricercatore “accademico” che si sviluppa lungo percorsi di maturazione e crescita di largo respiro che non trovano spazio nel mondo della ricerca universitaria, in cui il turn-over dei ricercatori precari è troppo rapido (raramente infatti si rimane nel sistema oltre i 6-8 anni dalla laurea).
Il successo delle industrie di altri paesi Europei in termini di maggiore competitività è anche legata all’esistenza di forti organizzazioni come FhG in Germania, VTT in Finlandia, TNO in Olanda, i Centri Tecnologici in Spagna che sostengono le politiche della ricerca e dell’innovazione.
In Italia invece esiste una vasta terra di nessuno, popolata in modo sparso da una miriade di piccoli e piccolissimi soggetti come spin-off, consorzi e piccoli laboratori (per fare un esempio: su 5000 soggetti accreditati dal MIUR come laboratori di ricerca, solo 50 impiegano più di 50 persone), che non riescono a dare corpo e struttura ad un sistema capace di rispondere in modo organico e complessivo ad un bisogno che è tanto forte quanto poco chiaramente espresso (ed a volte addirittura non chiaramente percepito). Lo stesso CNR, sebbene capace a volte di sviluppare relazioni più strette con il mondo della produzione di beni e servizi, risente di problemi simili, ed alla fine dei conti non riesce a rispondere in modo sistematico al bisogno di innovazione espresso ed inespresso dal sistema produttivo toscano (ed italiano).
L’Italia, e la Toscana in misura ancora maggiore, possiedono un potenziale enorme fatto di migliaia di giovani laureati e dottori di ricerca a cui il sistema degli istituti di ricerca universitari e pubblici non è in grado di offrire una prospettiva di lavoro di lungo periodo (per sua stessa natura ancora più che per la situazione contingente, che dura da troppo tempo, di blocco delle assunzioni). Chiediamo che si avvii una riflessione complessiva mirata ad identificare le risposte migliori a questo bisogno, attraverso l’analisi ed il confronto con altri casi di successo di altre Regioni Europee e del resto del mondo, con cui i nostri ricercatori hanno peraltro rapporti quotidiani, per definire una strategia che serva a riempire questa voragine anche a partire “dal basso”, promuovendo ad esempio forme di aggregazione fra gli stessi ricercatori di tipo cooperativo, che sposano particolarmente bene il carattere collaborativo e sociale che ha la ricerca, di qualsiasi livello, quando si pone l’obiettivo di creare valore e qualità di vita affrontando problemi complessi ed intrinsecamente interdisciplinari quali, ad esempio, quelli della salute e della sostenibilità.
La tutela dei Diritti è l’asse fondante dell’impegno della Lista del SI. Questi diritti vanno dalla necessità di incremento dell’edilizia abitativa studentesca all’aumento della platea dei vincitori degli assegni di studio. Siamo per il miglioramento e l’incremento dell’azione esercitata dal Consiglio Regionale del diritto allo studio caratterizzato, al momento, per una carenza di volontà di dibattito e confronto reale. E’ troppo evidente, per esempio, la carenza di personale dell’ARDSU e, se mancano gli investimenti, è chiaro che non ci sarà tutela del diritto allo studio. La differenza tra i borsisti che usufruiscono dei servizi e tutti gli altri studenti è veramente molto sottile nel senso che il miglioramento dei servizi per il diritto allo studio deve poter coinvolgere tutta la platea degli studenti per innalzare il livello complessivo di successo accademico e ridurre, per esempio, il numero di abbandoni accademici. La mancanza di personale non può nemmeno però portare ad esternalizzazioni massicce anche perché il personale delle ditte o cooperative esterne spesso percepisce, a parità di mansioni, stipendi molto più contenuti. E’ necessario favorire una politica di utilizzo dei trasporti con prezzi concordati a livello regionale e con l’istituzione di una Carta Unica Regionale dei Servizi Toscani che deve essere estesa anche ai fuori sede e agli stranieri. Le politiche regionali devono contribuire a sviluppare una reale integrazione che non sia aleatoria e superficiale ma che preveda forme di partecipazione che comprendano il voto per le elezioni Amministrative e le Elezioni Regionali per gli studenti fuori sede. Su questi aspetti le regioni hanno conservato un buon grado di autonomia e non possono certo nascondersi dietro la legge di stabilità o le politiche economiche nazionali o le indicazioni del governo centrale. Su questi aspetti fondamentali si deve avere il coraggio di ribellarsi e di dichiarare il proprio forte dissenso. Occorre estendere l’esperienza della Consulta Università Territorio (CUT), presente solo nella realtà pisana, alle altre città universitarie stabilendone le competenze e, al tempo stesso, migliorandone l’efficacia nella gestione e sviluppo di politiche attive per il diritto alla studio collegate ai vari territori.
Diritti però per noi sono anche quelli dei giovani ricercatori che studiano e lavorano per conseguire un titolo di alto profilo come il Dottorato di Ricerca e che necessitano di un forte sostegno per ottenere il riconoscimento pieno dell’attività di ricerca da loro svolta. Per garantire alti livelli di qualità per le scuole di dottorato, potrebbe essere decisiva la creazione di un sistema regionalizzato di Scuole che siano in grado di fornire le strutture e le competenze idonee a sostenere le attività di ricerca dei dottorandi. A tal fine un sostegno al numero di borse di dottorato, su base reddituale, da parte della regione potrebbe essere un obiettivo da sostenere con forza per ridurre ed infine eliminare la grave ingiustizia del dottorato senza borsa (circa il 20 % dei nuovi posti di dottorato in Toscana sono banditi senza copertura di borsa). Allo stesso modo l’estensione ai domiciliati in Toscana dei voucher, attualmente erogati dalla Regione ai soli residenti non borsisti, per pagare le tasse d’iscrizione al dottorato eliminerebbe almeno l’ingiustizia generata dalla tassazione ai dottorandi senza borsa. E’ necessario fornire l’assistenza sanitaria ai dottori di ricerca stranieri e istituire un incentivo consistente ai giovani che vengono a studiare in Toscana. Sarebbe anche utile aprire una discussione sulla necessità di possedere il titolo di dottore di ricerca per svolgere alcuni ruoli importanti, nel pubblico e nel privato, come si potrebbe pensare a bandi specifici per la gestione di fondi di ricerca finalizzati al periodo post dottorale direttamente affidati ai giovani ricercatori, così come sarebbe indispensabile una consistente azione di sostegno alla progettazione europea da parte della Regione fornendo quei servizi che possono incrementare i tassi di successo delle istituzioni di ricerca aventi sede in Toscana, quali ad esempio il supporto alla gestione burocratica dei progetti e la facilitazione dei rapporti tra istituzioni continentali ed istituzioni di ricerca nazionali.
Infine per noi i diritti sono anche quelli dei lavoratori e dei precari che si realizzano con una forte azione sindacale e l’elezione delle rsu che recentemente hanno coinvolto università pubbliche ed enti di ricerca. L’azione relativa a questa tornata elettorale ha messo in evidenza alcuni aspetti problematici relativi alla presenza di fenomeni di demansionamento (anticipo del Jobs Act) ed esternalizzazione massicce con politiche retributive e scelte economiche e industriali che prevedono sistematicamente l’utilizzo di cooperative sociali che però tendono a mantenere bassi i diritti e gli stipendi. Occorre che sia quindi sviluppato un dibattito sulle politiche strategiche ed economiche di investimenti che siamo armonizzate col territorio e tra i vari enti per trovare il modo affinché si “parlino” tra di loro per sviluppare e gestire politiche regionali efficaci e che non mirino solo a comprimere il numero di lavoratori o i loro diritti.

Documento elaborato con il contributo di: Francesco Giorgelli (CDA unipi, coordinatore del tavolo ed estensore del documento); Pasquale Cuomo (FLC-CGIL); Lorenzo Del Zoppo (Assessore comune di Vecchiano); Dario Danti (Insegnante SEL Pisa, ex Assessore Cultura di Pisa); Giulio Angeli (FLC CGIL, Ufficio Edilizia e Telec. di Unipi); Roberto Albani (RSU FLC CGIL unipi, Dip Scienze della Terra); Stefano Carlesi (ADI, SSSUP S. Anna); Marianna Nardi (Sinistra Per); Luca Odetti (Tecnalia Research & Innovation), Ettore Bucci (forum nazionale sel Saperi)

Fonte: Esseblog 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.