La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 29 aprile 2017

100 giorni di (resistenza a) Trump

di Marina Catucci
La data simbolica in cui scadono i primi 100 giorni di presidenza Trump è arrivata e, dopo averla cavalcata promettendo di portare a casa tanti ambiziosi risultati nell’arco di questi 100 giorni, è proprio The Donald a minimizzare il valore di questo giro di boa, dichiarando che in fin dei conti, considerando quanto inusuale lui sia come presidente, non gli si possono applicare le regole che sono sempre valse. Trump, però, è l'unico a pensarla così, per il resto d’America, vuoi per consuetudine, vuoi per scelta, dopo i primi 100 giorni si iniziano a tirare le somme sull’amministrazione in corso.
E il bilancio per Trump non è positivo: di tutto ciò che aveva promesso non ha portato (fortunatamente) a casa nessun risultato: MuslimBan, Obamacare, muro col Messico pagato dai messicani, tutti progetti restati incompiuti nonostante che i repubblicani, oltre la Casa Bianca, abbiano in mano anche entrambe le camere del Congresso.
QUESTI 100 GIORNI, però, sono una data che fa fare anche un altro bilancio, quello di 100 giorni di costante opposizione popolare a Trump, di manifestazioni continue e di cui non si vedono cenni di stanchezza.
Il giorno immediatamente successivo al suo insediamento l’America è scesa in piazza nella più grande manifestazione della storia degli Stati uniti, la Million Women March, e non ha mai smesso di protestare.
Il movimento americano non è mai sembrato più compatto, nemmeno l’opposizione alla guerra in Iraq di Bush jr era riuscita a tanto: gay, immigrati, musulmani, donne, anticapitalisti, ispanici, arabi, praticamente chiunque non sia un maschio bianco conservatore si sente minacciato da questa presidenza.
In questi 100 giorni, almeno nelle grandi città, ciò a cui si è assistito, parafrasando una dichiarazione del New York Times che, nel 2003 aveva definito i manifestanti di tutto il mondo che il 15 febbraio avevano dato vita alla prima protesta globale, come la superpotenza opposta agli Stati Uniti, è la nascita di un’altra superpotenza opposta a Trump ed è quella del popolo americano.
IN QUESTO SI SENTE IL PESO dell’importanza dei risultati del voto popolare, che, visto il sistema, ha eletto un presidente che non è stato votato dalla maggioranza dei cittadini, i quali per 3 milioni di voti avrebbero preferito avere come Commander in chief Hillary Clinton. E Trump è un presidente davvero indigesto per chiunque non condivida esattamente tutte le sue posizioni.
Le scene degli aeroporti americani occupati da cittadini e avvocati volontari che si sono opposti al MuslimBan sono nell’immaginario collettivo ormai, e la cancellazione di quel decreto vergognoso è stata la prima vittoria del movimento di opposizione a Trump.
DOPO AVER OCCUPATO PER ORE il terminal 4 dell’aeroporto newyorchese JFK i manifestanti han seguito i rappresentanti legali della Aclu, l’associazione che si occupa di difendere legalmente i diritti civili, che ha fatto aprire straordinariamente il tribunale di Brooklyn dove un giudice alle 9 di sera di sabato ha dichiarato incostituzionale il provvedimento di Trump e ordinato l’immediato rilascio dei passeggeri trattenuti da ore negli aeroporti.
QUELLA VITTORIA è stata la prima conferma dell’utilità delle manifestazioni, dei cortei che ogni settimana portano per strada migliaia di cittadini, consapevoli che questo serve ad indirizzare i politici democratici sulla via di un’opposizione costante, tanto costante è quella della loro base.
Il sistema americano, per come concepito, si basa su una solida struttura legale volta al rispetto della costituzione, ed è per questo che il potere del singolo presidente non è illimitato. «Chi ha fondato questo Paese ha fatto in modo che venisse governato non da individui, ma da leggi – dice Steve, 46 anni, attivista di Stop the Raids, associazione nata recentemente per contrastare le deportazioni ordinate da Trump – partiamo da qua. Quella che si è venuta a formare in America è una vera e propria resistenza. Sembra che il Paese abbia protezioni sufficienti e sia abbastanza sano per farcela e il principale risultato ottenuto da Trump nei suoi primi 100 giorni è stato quello di aiutare la formazione di un movimento mai visto prima in America».
«LE MANIFESTAZIONI sono cominciate il giorno dopo le elezioni – aggiunge Stella, 30enne – alcuni le hanno trovate fuori luogo, tecnicamente Obama era ancora presidente a quel tempo. Io ero in piazza perché già dalla campagna elettorale si capiva che sarebbe stato necessaria in caso di vittoria di Trump una mobilitazione permanente. L’indifferenza popolare è la maggior alleata dei regimi: bene, in America in questo momento non si corre questo rischio. Non bisogna normalizzare Trump, e lui ci aiuta in questo, non fa nulla di normale. Vediamo chi si stanca prima, se lui o noi».

Fonte: Il manifesto 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.