La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 28 aprile 2017

La democrazia del referendum Alitalia

di Alfonso Gianni
Qualcuno forse ricorderà la celebre battuta ironica che Bertolt Brecht riservò al segretario della Unione degli scrittori della Germania est quando si scagliò contro gli operai di Berlino in rivolta nel 1953. "Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d'accordo, bisogna nominare un nuovo popolo." Bertolt Brecht
Sembrava roba di altri tempi. E invece no. Di fronte agli esiti del referendum delle lavoratrici e dei lavoratori dell'Alitalia stiamo assistendo da più parti allo stesso atteggiamento su cui ironizzava il grande drammaturgo tedesco.
C'è chi cita a sproposito Norberto Bobbio, secondo cui un eccesso di democrazia nuocerebbe alla medesima; chi, come i dirigenti di Etihad Airways (49% delle azioni Alitalia), che si stupiscono del 67% dei No a fronte del supporto dei leader sindacali, del management Alitalia, del primo ministro e di tre ministri del suo governo; infine quelli che: "i lavoratori non hanno capito che non c'erano alternative".
E proprio qui casca l'asino. Non bisogna essere una sibilla cumana per capire in anticipo che se dici a uno che il solo voto possibile è il Sì, altrimenti l'azienda chiude, non sei di fronte a un referendum, ma a un ricatto. E questo alla gente non piace. Ai lavoratori dell'azienda e dell'indotto ancora meno. Brucia più questo che il timore dei sacrifici che gli vengono chiesti senza contropartite credibili.
Invece di mettere sotto accusa il ricatto - e il suo contenuto, ovvero sacrifici senza piano industriale che sia dotato di una qualche probabilità di realizzazione - si cerca di addossare ogni colpa all'istituto referendario in quanto tale. Poco conta che si tratti di un referendum sindacale, nazionale o costituzionale. Di tutta l'erba un fascio. È la democrazia che si vuole colpire, specialmente quando essa si esprime in forma diretta e non delegata.
I dirigenti sindacali che hanno firmato l'intesa non possono scaricare su altri le loro responsabilità. Se erano convinti di quello che facevano perché non hanno convocato le assemblee e non si sono battuti per difenderla? Forse perché i primi a esserne poco convinti erano proprio loro?
Non può tirarsi fuori la classe dirigente politica ed economica. Che Alitalia fosse un colabrodo era noto da tempo. Che bisognasse cambiare strategia era chiaro. Che fosse necessario puntare sulle lunghe rotte anche un bambino lo avrebbe capito dal momento che se un treno ci mette non più di tre ore sulla Roma - Milano e viceversa è perfettamente inutile prendere l'aereo. Eppure nulla è stato fatto. Una catena mostruosa di irresponsabilità ha trascinato la "compagnia di bandiera" nel gorgo. E il ministro del Lavoro annuncia che mancano anche i fondi per gli ammortizzatori sociali.
È chiaro che il problema è di carattere internazionale. Richiede una regolamentazione che spezzi le logiche del precariato, del dumping sociale e fiscale, della riduzione dei costi a discapito della sicurezza. Ma questo non significa che il governo non debba muoversi subito, anche attraverso una nazionalizzazione della compagnia se necessario.
Cento anni fa l'Italia era una potenza d'avanguardia tra i paesi produttori di aerei, occupando circa 100mila persone, come ci ricordava Bruno Caizzi nella sua apprezzata storia dell'industria italiana. Oggi rischia di restare a terra.

Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore 

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