La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 4 ottobre 2015

La favola della "guerra umanitaria"

di Giuliano Battiston
Danni col­la­te­rali o «effetti» se pre­fe­rite. I por­ta­voce mili­tari le chia­mano così, le vit­time civili. Che si tratti di donne, bam­bini, uomini inermi, rien­trano tutti nella stessa cate­go­ria. Quella del «tra­gico inci­dente», come il segre­ta­rio alla Difesa Usa ha subito defi­nito l’attacco aereo sta­tu­ni­tense di ieri mat­tina sull’ospedale di Kunduz.
Un lin­guag­gio aset­tico, quanto più neu­tro pos­si­bile, per neu­tra­liz­zare la com­pren­sione delle cause, per deru­bri­care a evento natu­rale ogni scelta poli­tica, per negare ogni respon­sa­bi­lità. Die­tro un bom­bar­da­mento aereo non c’è nes­sun auto­ma­ti­smo, ma una pre­cisa scelta, una pre­cisa respon­sa­bi­lità. Poli­tica ed etica. Assue­farsi al lin­guag­gio pro­to­col­lare dei comu­ni­cati stampa degli eser­citi equi­vale ad archi­viare ogni strage come inci­dente. Cre­dere alla bella favola della guerra uma­ni­ta­ria, pulita e chi­rur­gica, che solo in certe occa­sioni fini­sce per coin­vol­gere i civili.
È tra­gi­ca­mente vero il con­tra­rio. I civili sono le prime vit­time di ogni guerra. E di tutte quelle che si sono suc­ce­dute con la defi­ni­zione di «uma­ni­ta­rie» e che hanno visto un impe­gno mili­tare spa­ven­toso dell’Occidente. Sem­pre di più. Stragi, omi­cidi (di Stato, ma pur sem­pre omi­cidi), non «tra­gici incidenti».
L’Afghanistan – quasi scom­parso dai radar dei media e della diplo­ma­zia inter­na­zio­nale, per­ché dato chissà per­chè paci­fi­cato o in via di paci­fi­ca­zione — torna san­gui­no­sa­mente a ricor­dar­celo. Con un «inci­dente» più tra­gico di altri. Delle 19 vit­time finora accer­tate dell’attacco di Kun­duz, 7 erano pazienti rico­ve­rati nell’ospedale di Medici senza fron­tiere (tre dei quali iden­ti­fi­cati come bam­bini). Sem­bra che siano rima­sti intrap­po­lati sotto le mace­rie. Bru­ciati vivi.
Ma in Afgha­ni­stan l’elenco degli errori, la lista dei «bom­bar­da­menti chi­rur­gici» finiti in strage è lunga una lita­nia. A par­tire pro­prio da Kun­duz, quando nel 2009 — l’ha ricor­dato Ema­nuele Gior­dana nei giorni scorsi su que­sto gior­nale — aerei dell’Alleanza atlan­tica, chia­mati in soc­corso da un colon­nello tede­sco, «bom­bar­da­rono cen­ti­naia di per­sone che sta­vano ten­tando di spil­lare gaso­lio da due auto­botti, poco prima seque­strate dalla guerriglia».
Spesso la strage viene dall’alto, a volte no. Come nel caso di Benaf­shah, la ragaz­zina di 13 anni uccisa il 13 mag­gio del 2009 da un sol­dato dell’esercito ita­liano. Benaf­shah era in viag­gio con la fami­glia, da Farah a Herat, per par­te­ci­pare a un matri­mo­nio. Lungo la strada l’auto su cui viag­giava ha incro­ciato tre vei­coli mili­tari ita­liani. È morta alle 10.30 del mat­tino. Per un «tra­gico inci­dente», hanno dichia­rato le auto­rità italiane.

Fonte: il manifesto 

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