La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 19 gennaio 2016

La Ricerca come soluzione al declino dell’Italia

di Sergio Ferrari
Per un a serie di circostanze fortemente casuali si è determinata la coincidenza delle scadenze delle nomine dei vertici del CNR e dell’ENEA, oltre che nell’accentuazione dello stato di crisi del sistema universitario del paese. Non è invece una coincidenza quella che si è verificata da decenni nei paesi avanzati, dove si è consolidata la relazione tra lo sviluppo della attività di ricerca e la capacità di crescita generale riscontrabile sulla base di vari indicatori.
Le vicende che si sono realizzate nel corso degli ultimi decenni a livello internazionale, che possiamo in questa occasione, solo ricordare con le parole globalizzazione, aperture dei mercati, finanziarizzazione, paesi in via di sviluppo, questioni ambientali, lavoro, ecc., hanno accentuato la domanda di cambiamenti per i quali il ricorso al fattore innovazione tecnologica, pur se giocato a livelli quali e quantitativi diversi, ha rappresentato di fatto una domanda necessaria rivolta alle capacità operative che qualificano il mondo della ricerca.
Non è dunque un caso se nella casistica rappresentata dai vari paesi, non si trova il caso della riduzione di questo potenziale d’intervento. I confronti internazionali peraltro non si limitano più solo alla identificazione della quantità assoluta degli investimenti in questo settore, ma si estendono anche alle valutazioni della differenza tra paesi, nell’entità delle variazioni annuali della spesa d’investimento, nella rapporto tra tale spesa e numero di addetti alla ricerca, ecc., ecc. Tutto questo a conferma di una questione ben nota, e cioè che ormai lo sviluppo e la qualità dello sviluppo si misurano e si determinano fortemente attraverso l’intervento di un sistema di fattori di questo tipo, non a caso identificato come Sistema Nazionale dell’Innovazione.
Le scadenze sopra ricordate dovrebbero essere una occasione per fare il punto su questa situazione nel caso del nostro paese, tanto più quanto proprio sul piano dello sviluppo esso si è distinto da alcuni decenni per una dinamica inferiore sino ad avere accumulato rispetto alla media dei paesi dell’UE15 un ritardo pari a circa 5000 euro/anno pro capite.(Graf. 1 )

Una differenza che, non a caso, si ritrova nell’andamento della nostra competitività (Graf. 2).



Non ci sono analisi ufficiali convincenti sulle cause di questo divario – e già questo appare una “stranezza” – ma sembrerebbe comunque fuori discussione che a questo esisto negativo abbia concorso una scelta di politiche economiche per lungo tempo non attente alla dimensione tecnologica dello sviluppo.
Il risultato si misura nel confronto con gli altri paesi nostri partner, verificando, ad esempio, l’andamento della spesa in R&S, o del numero di addetti dedicati alla ricerca, nel sistema industriale.
Il Grafico 3 fotografa in termini molto chiari questa situazione negativa ma aggiunge una evidenza consistente nel fatto che il divario che si rileva tende ad aumentare in termini difficilmente rimediabili. Le politiche degli incentivi finanziari, da decenni utilizzate su richiesta delle stesse imprese, non sono certo in grado di correggere un deficit strutturale quale quello indicato, non perché sarebbero richiesti incentivi di maggiore entità, ma perché un sistema economico-sociale moderno e competitivo è costituito da struttura e strumenti differenziati lungo l’arco che va dalla ricerca di base agli investimenti a rischio. Queste strutture e questi strumenti non si costruiscono con degli incentivi finanziari. Peraltro le verifiche sull’efficacia di questo tipo di incentivi, effettuati da vari autori, compresa la Banca d’Italia, hanno confermato quello che, peraltro era, ed è tutt’ora, prevedibile e cioè la scarsa o nulla efficacia. Se, dunque, il sistema industriale non è nelle condizioni di reggere il confronto in una competizione scientifico-tecnologica, la ragionevolezza sembrerebbe sufficiente per chiamare in causa quegli enti pubblici di ricerca in grado di dare una contributo. Ma la cultura di governo sembra allo stesso livello di quella ideologia degli interessi privati, dal momento che preferisce “risparmiare” eliminando fisicamente dalla scena questi attori pubblici.
Quella coincidenza alla quale ci si è riferiti inizialmente potrebbe costituire, dunque, una occasione per una riflessione che dovrebbe avere come oggetto lo sviluppo e la qualità dello sviluppo del nostro Paese. Una riflessione non accademica ma centrale per l’attuale situazione del paese: o si sceglie di continuare lungo il declino segnato da tempo, o s’introducono modifiche strutturali tali da correggere fortemente quel percorso. La scelta è possibile ed è tutta politica e poiché sino ad ora non si è verificata o, meglio, si sono attuate quelle scelte che ci hanno portato all’attuale declino, sarà bene tenere sotto osservazione le prossime vicende perché è da queste che il Paese potrà capire che cosa aspettarsi in termini del tutto generali e al di là di quelle nomine.



Fonte: syloslabini.info

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