La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 31 marzo 2017

Oltre i voucher? Note su uno strumento inadeguato

di Enrico Cerrini
Lo strumento dei voucher fu introdotto della Legge Biagi nel 2003 con lo scopo di far emergere quei lavoretti domestici svolti in modo discontinuo da persone a rischio di esclusione sociale o inattive sul mercato del lavoro. I cittadini avevano l’opportunità di utilizzare tagliandi dal valore di 7,5 €, di cui una parte finanziava minime tutele lavorative, per retribuire rapporti lavorativi accessori di una durata inferiore ai trenta giorni ed una remunerazione minore di 3.000,00 €. Lo strumento rimase inapplicato fino al 2008, anno in cui iniziarono gli interventi di liberalizzazione. Il governo Prodi concesse l’utilizzo alle aziende agricole, eliminò il vincolo temporale e allargò quello economico. Il valore del singolo tagliando crebbe fino a 10 €, di cui 7,5 € rappresentavano la retribuzione della prestazione, 1,30 € la contribuzione, 0,70 € la copertura degli infortuni sul lavoro e 0,50 € il costo di gestione del servizio da parte dell’ente concessionario, ovvero l’INPS.
Tutti i governi successivi hanno apportato ulteriori modifiche che hanno lentamente causato l’esplosione dell’utilizzo dei voucher, avvenuta nel 2015.
La situazione attuale dei voucher
Prima dell’abolizione di pochi giorni fa, i voucher potevano essere utilizzati da qualsiasi tipo di impresa e potevano essere acquistati nelle sedi INPS (sia fisicamente che tramite procedura telematica), nei tabaccai, alle poste e in alcune banche. I limiti al loro utilizzo consisteva in 2.000,00 € per la retribuzione annuale di un datore verso un singolo lavoratore e in 7.000,00 € annuali per la remunerazione di un singolo lavoratore da molteplici datori. Non era previsto invece un ammontare complessivo massimo del numero di dipendenti che l’azienda potesse retribuire tramite questo strumento. Il Jobs Act emanato dal Governo Renzi ha fatto esplodere l’utilizzo dei voucher non tanto grazie ad una forte liberalizzazione, quanto alla cancellazione e alla forte limitazione dei suoi principali concorrenti, come i contratti a chiamata o a intermittenza.

Tabella 1: Distribuzione dei voucher in valore assoluto per anno di vendita e settore di attività. Fonte: INPS


L’esplosione del fenomeno è ben documentata nella Tabella 1, dove si nota come il mercato del lavoro è passato dall’assorbire poco meno di 10 milioni di voucher nel 2010 ai 115 milioni del 2015. Nell’ottobre 2016, nel tentativo di regolare il fenomeno, il governo Renzi ha inserito un metodo di tracciabilità, imponendo alle imprese di comunicare all’INPS l’utilizzo della prestazione lavorativa retribuita con voucher almeno un’ora prima del suo inizio, anziché nei trenta giorni successivi, come stabilito dalla normativa precedente. Al momento non sono ancora presenti dati che possano misurare la bontà dell’iniziativa.

Tabella 2: Distribuzione dei voucher in valore percentuale per anno di vendita e settore di attività. Fonte: INPS


Lo studio dell’INPS “Il lavoro accessorio dal 2008 al 2015. Profili dei lavoratori e dei committenti” di Bruno Anastasia, Saverio Bombelli e Stefania Maschio, ha evidenziato come gran parte dei voucher sia stato utilizzato per retribuire lavoratori in costante situazione di precariato. I dati che compongono le Tabelle 1 e 2 mostrano che questo strumento è stato sopratutto utilizzato in quei settori il cui mercato del lavoro è fortemente stagionalizzato, come il commercio e il turismo. Se il contratto stagionale regola quei momenti in cui l’impresa è sicura del maggiore carico di lavoro, i voucher regolavano quelle giornate di condizioni meteorologiche favorevoli a latere della stagione. In questo contesto, spesso i voucher non rappresentavano l’emersione del lavoro nero, ma la punta dell’iceberg. Il lavoro accessorio sarebbe stato in minima parte pagato tramite voucher, mentre la maggior quota della retribuzione veniva pagata in nero.
I tagliandi potevano essere utilizzati sia per mascherare situazioni di lavoro nero, più o meno continuativo, che per il loro ruolo originario di retribuzione di lavoretti domestici. L’universo voucher rispecchia quindi una giungla di situazioni, spesso caratterizzate da casi di esclusione sociale, precariato e lavori scarsamente retribuiti, talvolta in termini assoluti, altre in termini relativi. Il problema che ci poniamo è quello di dividere la necessità di fermare l’abuso del ricorso al lavoro accessorio da parte delle imprese, dalla necessità di migliorare la condizione sociale di chi non ha altra fonte di reddito se non lavoretti eseguiti per privati cittadini.
I due casi devono essere regolati in modo differente. I dati mostrano come l’esplosione del voucher nel mondo delle imprese ne abbia trascinato lo sviluppo tra i privati cittadini. La sostituzione dei voucher con un nuovo strumento finalizzato a regolare le medesime situazioni potrebbe creare disorientamento e far ricadere nel lavoro nero ciò che era faticosamente emerso. Sarebbe opportuno ripristinare un sistema il più possibile simile a quanto appena smantellato, ma ad uso esclusivo dei privati cittadini. Deve invece essere profondamente ripensato il rapporto tra imprese e prestatori di lavori saltuari. Deve essere sperimentato un sistema agile che preveda una serie di regole e di incentivi, che possano garantire vantaggi per le imprese e diritti per i lavoratori.
Il problema del lavoro nero
Dobbiamo infine considerare che qualsiasi modello contrattuale proposto non sarebbe in grado di risolvere il problema del lavoro nero autonomamente. Questo accade perché il governo può creare incentivi per mitigare il fenomeno, ma il lavoro nero avrà sempre un costo inferiore alle altre forme contrattuali. Lo stesso uso del potere coercitivo dello Stato può influire solo parzialmente sul fenomeno. Non è possibile controllare il Paese a tappeto e chi svolgerà i controlli dovrebbe certificare altre irregolarità di minore impatto sulla qualità del lavoro. Si potrebbero creare situazioni surreali dove chi utilizza il lavoro nero riesce a sfuggire alle sanzioni, mentre vengono penalizzati piccoli imprenditori con contratti regolari ma che non hanno posto il cartello indicante l’uscita di sicurezza.
Se questo accadesse, possiamo realisticamente immaginare una tornata di indignazione popolare contro l’abuso del potere statale verso le piccole e medie imprese. Una campagna che causerebbe l’ennesimo provvedimento d’emergenza mirante a risolvere un problema contingente e che provocherebbe altri problemi e conseguente indignazione nel medio termine. I fenomeni cui abbiamo finora assistito tornerebbero a ripresentarsi ciclicamente sotto forma di emergenze che pensavamo risolte a colpi di decreti. Prendendo in prestito il nome del divertente film con Bill Murray dove il protagonista si risveglia sempre nel solito giorno, si assisterebbe ad una sorta di Giorno della Marmotta del mercato del lavoro in cui il lavoro nero ritorna sempre malgrado ne sia stata decretata la sconfitta. Da questo punto di vista, dobbiamo rassegnarci e comprendere che un problema economico e culturale non può essere sconfitto da strumenti legislativi più efficaci e dalla coercizione, ma solo da una migliore educazione civica.

Fonte: pandorarivista.it

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