La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 1 aprile 2017

La sinistra radicale in Europa

di Pietro Moroni
Il libro di Marco Damiani affronta il tema del ruolo e delle prospettive della sinistra radicale in Europa dopo la caduta del comunismo, soffermandosi in particolare sui casi di Francia, Germania, Italia e Spagna, sulle esperienze delle quali l’Autore si avvale di testimonianze di vari protagonisti dei vari partiti attivi, oggi e in passato, nei suddetti Paesi. La caduta del comunismo come spartiacque di partenza per l’analisi di Damiani è una scelta naturale, ma vale la pena esplicarla: il crollo dell’Unione Sovietica e dei Paesi a socialismo reale dell’Europa orientale, ha causato in varie misure lo sbandamento e l’indebolimento di numerosi partiti comunisti europei, privati di un modello che, pur con i suoi limiti e i suoi errori, avevano fino ad allora offerto motivazione ed esempio per l’ambizione di chi voleva realizzare un diverso modello statuale.
Lungi dall’esserne l’origine, dunque, è fuor di dubbio che l’arretramento del comunismo in quanto sinistra rivoluzionaria, ha determinato nuove possibilità per la sinistra radicale europea, precedentemente precluse per la forza dei movimenti comunisti, che anzi nel corso degli anni si sono riformulati come movimenti della sinistra radicale.
Sinistra radicale, sinistra estrema e sinistra riformista
Seguendo attentamente i contributi precedenti, da Sartori (1976) a March e Mudde (2005) l’Autore distingue i partiti della sinistra radicale da quelli della sinistra estrema: la sinistra estrema, qualora si trovasse al governo e nella possibilità di farlo, opererebbe non un semplice cambio di squadra di governo o di politiche, ma una vera e propria trasformazione sistemica, che porti le istituzioni lontano dal modello liberaldemocratico occidentale, con cui tanto la sinistra radicale quanto quella socialdemocratica, accusano gli estremisti e i rivoluzionari, sono giunte a un compromesso. In tal senso la sinistra radicale non è infatti anti-sistemica, bensì pro-sistemica. Ciò che la distingue dalla sinistra tradizionale e socialdemocratica è infatti la sua natura anti-establishment o, per meglio dire, anti-political establishment. Per ricadere in questa definizione (Abedi 2004), i partiti della sinistra radicale devono rispettare tre requisiti: 1) avanzare una critica radicale del sistema politico senza porsi al di fuori di esso, 2) mostrare una percezione di sé come in grado di lanciare e sostenere una sfida contro l’establishment costituito, e 3) porsi come interpreti e rappresentanti della presunta divisione fra interessi popolari e classe politica costituita (sia di governo che di opposizione). Se dovessimo rifarci all’elaborazione di Hirschman (“Lealtà, defezione, protesta” di Albert O. Hirschman, recensito di recente su questo sito) diremmo che la sinistra radicale rinuncia alla defezione, ponendosi a metà fra lealtà e protesta.
Ricostruire: la difficile unificazione della sinistra radicale
Nella prima parte del suo libro, Damiani ricostruisce con attenzione i processi che portarono alla costituzione di Rifondazione Comunista, Izquierda Unida, Front de Gauche e Die Linke. Come abbiamo accennato, la storia della sinistra radicale odierna è dipesa in gran parte dalle singole situazioni nazionali e dalle scelte dei preesistenti partiti comunisti. La risposta a questa crisi è dipesa di nazione in nazione dalle tradizioni e dagli aneliti dei partiti locali; in alcuni casi le scelte vengono da lontano: la transizione post-comunista del PCI nel Partito Democratico di Sinistra (PDS) e, in dissidenza con la svolta riformista di Occhetto, nel Movimento per la Rifondazione Comunista (MCR) in Italia, prende ispirazione da Palmiro Togliatti e dalla svolta eurocomunista di Enrico Berlinguer, entrambi in qualche modo antesignani di, perlomeno, un passaggio di senso dal marxismo-leninismo ortodosso a una formula italiana e democratica di comunismo. In altri si preferisce invece la rivendicazione della propria identità comunista, come nel caso del KKE in Grecia, del PCP in Portogallo, e, nonostante l’adesione al progetto eurocomunista, del Parti Communiste Français (PCF) che inizialmente “resta leninista anche dopo l’implosione del sistema leninista” (p.77), pagandone gravi conseguenze elettorali, per poi aderire a un’ipotesi di rinnovamento con l’elezione a segretario generale di Robert Hue, espressione del “comunismo municipale” francese. L’eurocomunismo influenza maggiormente la svolta del Partido Comunista de España (PCE) che anticipa tanto il PCI quanto il crollo del comunismo e, anche sotto la pressione elettorale determinata dal PSOE sull’elettorato di sinistra, fonda già nel 1986 la coalizione di Izquierda Unida (IU) con numerosi partiti della sinistra plurale spagnola.
Un minimo comun denominatore di tutte le sinistra radicali è però individuabile nella necessità di ricostruire nuovi soggetti politici a partire da tradizioni, esperienze, culture e partiti molto diversi tra loro. Questa necessità non è solo figlia della debolezza elettorale delle singole sigle radicali precedenti, ma anche di un concreto rischio di “decadimento” della proposta politica. Ne sono esempi in Italia e in Germania, pur se in maniera diversa, la corrente di Cossutta dentro Rifondazione e il Partei des Demokratischen Sozialismus (PDS) in Germania. La prima, pur componendo circa il 70% del nuovo soggetto e pur vantando un’esperienza organizzativa e pragmatica superiore alle correnti ingraiana e, soprattutto di Democrazia Proletaria, non era in grado di offrire una proposta politica attuale che andasse oltre la testimonianza da “duri e puri” della tradizione del PCI (p.29); il PDS, erede della SED che guidò la DDR per i suoi 40 anni di vita, ottenne buoni risultati nell’Est (fra i quali l’Autore segnala il 30% ottenuto alle elezioni amministrative di Berlino, nuova capitale federale) ma era totalmente assente nell’Ovest della Germania, rischiando così di scadere nella mera rappresentanza regionalistica dei Länder orientali e delle loro insoddisfazioni rispetto al processo di riunificazione e alle condizioni imposte dai tedeschi occidentali (p. 97).
Al fine di realizzare un fronte comune contro il neo-liberalismo e i tradizionali partiti socialdemocratici, il progetto di unione fra partiti il cui spettro politico poteva andare dal trotzkismo al socialismo democratico (talvolta uscito in dissenso polemico dai tradizionali partiti socialdemocratici che avevano aderito alla Terza Via), poneva urgentemente la sfida di governare un campo così vasto, con personalità e correnti dalle diverse intenzioni e forze.
Questa sfida si è proposta, principalmente, su due livelli fondamentali: il livello identitario e quello organizzativo. In entrambi i casi si sono spesso riprodotte divisioni fra chi mirava alla ridefinizione di una nuova identità per la sinistra radicale e chi invece si ispirava ad una continuità maggiore con il passato. Sul livello identitario, il tema è il se e come superare la tradizione comunista, mentre sul piano organizzativo la questione è su come riunire la sinistra radicale e con quali regole organizzare la vita interna: coalizione, federazione di partiti o un nuovo partito unificato? Con quanta autonomia interna? Il centralismo democratico è ancora un mezzo adeguato a regolare la vita interna di un partito? D’altro canto, che cosa può offrire una generica apertura ai movimenti sociali o alla società civile? La parte seconda del libro, Damiani si dedica a un’attenta descrizione dei processi che hanno portato la sinistra radicale ad elaborare diverse risposte a queste ed altre importanti domande.
Solve et coagula
Il dialogo fra le diverse aree della sinistra radicale è complesso e si articola in momenti di compromesso e di scontro e, talvolta, di rottura: talvolta rottura inevitabile, a causa di obiettivi irreconciliabilmente diversi (come per alcune aree comuniste e trotzkiste che non accettarono il programma sostanzialmente pro-sistemico che andava caratterizzando le nuove formazioni di sinistra radicale), altre volte per incapacità dei dirigenti di governare l’area di incertezza organizzativa (Panebianco, 1982) e di tenere unito il partito. E se inizialmente l’unità è stata mantenuta, ora grazie alle capacità di mediazione di leader come Julio Anguita nel PCE o Robert Hue nel PCF, ora grazie a compromessi fra l’ala conservatrice e quella rinnovatrice come fra Cossutta e Garavini e poi Cossutta e Bertinotti, col passare degli anni alcune contraddizioni si sono dimostrate esplosive, in Italia, invero, più che nel resto d’Europa.
Rifondazione subisce infatti varie scissioni, la più grave delle quali è quella del Partito dei Comunisti Italiani (PdCI) di Cossutta e di Diliberto, in quanto è la prima a determinare una frattura non solo nella classe dirigente, ma nello stesso elettorato. In seguito, il nuovo corso bertinottiano inaugurato a Rimini, con la sua aspirazione a creare un partito nuovo e plurale, attento alla sfida del governo quanto al mondo dei movimenti sociali, registra una sconfitta senza appello nelle elezioni del 2008, con il fallimento del progetto della Sinistra Arcobaleno, e si conclude negativamente al congresso di Chianciano, quando i bertinottiani, guidati da Vendola, ritornano per la prima volta minoranza, oltretutto lamentando, nelle parole di Gennaro Migliore che Damiani intervista per illustrare quel fondamentale passaggio, la scarsa chiarezza nel porre in maniera trasparente il tema dello scioglimento e superamento di Rifondazione, tesi che comunque viene battuta, con uno scarto minimo, da Paolo Ferrero. I vendoliani a quel punto portano il loro progetto politico in SEL, mentre Rifondazione percorrerà altre esperienze di scarso successo elettorale per riunire la sinistra, come la Federazione della Sinistra (ispirata al FdG francese e IU spagnola e dove si ritrova anche il PdCI) e Rivoluzione Civile, per poi tornare infine nel Parlamento Europeo con l’Altra Europa con Tsipras, formazione che vede la partecipazione di SEL ma non del PdCI.
Molto più feconde sono le esperienze estere. Nonostante il ritardo, il PCF con Robert Hue va a costruire il Front de Gauche assieme ad altri partiti, sull’esperienza di Izquierda Unida, e all’interno del FdG si costituisce un nuovo partito, il Parti de Gauche, fondato dal carismatico Jean-Luc Mélenchon, già esponente della sinistra del Partito Socialista francese. Il rapporto fra PCF e PdG nel Fronte è complesso ed è uno degli ambiti in cui si confrontano gli innovatori che si riconoscono in Mélenchon e la vasta ala moderata che, non solo nel PCF, vuole preservare l’autonomia e la dignità dei soggetti costitutivi del Fronte.
Il PCE perde il suo storico leader Santiago Carrillo, in polemica con il processo riformatore del partito, e Izquierda Unida attraversa anch’essa peripezie simili a quelle di Rifondazione, subendo una scissione sulla destra da parte dell’ala più moderata e vicina al PSOE, ma nel complesso mantiene la sua unità nel corso degli anni e continua il laborioso dialogo per radunare tutte le forze della sinistra radicale, fino al momento in cui sorge Podemos, altro movimento di sinistra radicale e interprete e successore delle proteste degli indignados. La new left di Pablo Iglesias ha sottratto il terreno delle proteste civili spagnole a IU, indebolendola, ma ha comunque rappresentato un rafforzamento complessivo della sinistra radicale in Spagna.
La Germania rimane forse l’esperimento più riuscito di creazione di un nuovo partito. Le dirigenze di WASG e PDS hanno superato le resistenze iniziali e, dopo l’esperimento del Linkspartei, hanno fondato Die Linke (DL o semplicemente Linke) sotto la guida di Lothar Bisky e Oskar Lafontaine. La scelta unitaria, già chiara nei dirigenti dei due partiti, è dovuta principalmente a due fattori: da un lato la consapevolezza che né il PDS, inesistente nell’Ovest, né la piccola WASG avevano prospettive da soli, dall’altro la legge elettorale tedesca, che non prevede coalizioni o apparentamenti partitici di alcun tipo, non lasciava altra soluzione che la configurazione unitaria.
Valori e organizzazione della sinistra radicale
Il sistema di valori da parte della new left è articolato da Damiani con il linguaggio informatico di hardware e software. L’hardware della sinistra radicale è, per Damiani, “il principio generale della parità delle condizioni di vita” (p.122) che ispira la sinistra radicale in un “realismo utopico” a cui tendere al fine di migliorare progressivamente la società. Damiani individua a tal punto quattro software, o contenuti: ricomposizione democratica delle istituzioni liberaldemocratiche, giustizia sociale, ristrutturazione ecologica dell’economia, politiche di pace e di solidarietà internazionale, e estensione dei diritti civili di cittadinanza (p.123).
Damiani analizza con cura tanto la questione valoriale e identitaria, quanto quella dell’organizzazione e della membership, analizzandola anche quantitativamente nel corso degli anni. Le differenze fra e i significati di partito unitario, partito-coalizione, fronte di partiti e cartello elettorale sono in questa parte approfonditi e spiegati.
La sinistra radicale in Europa
Nella parte terza del suo libro, Damiani mostra il processo politico che porta i partiti della new left europea a cercare una composizione sovranazionale che agevoli la loro azione unitaria. Anche qui l’Autore parte dalla storia e quindi dai comunisti e dell’eurocomunismo, notando le premesse dei rapporti col progetto europeo della sinistra radicale all’interno dei diversi partiti comunisti europei, con il PCI a guidare l’ala più europeista. Nei decenni successivi le contraddizioni fra gli europeisti, le varie sfumature di euroscetticismo, e gli anti-europeisti, portano a notevoli difficoltà nell’impostare un dibattito e una famiglia parlamentare unica europea. Damiani mostra in questa parte la nascita e il successo del gruppo parlamentare Gauche unitaire européenne/Nordic Green Left (GUE-NGL) e il suo rapporto coi partiti comunisti più ortodossi, che hanno infatti progressivamente abbandonato il gruppo. Di particolare pregio è la ricostruzione della nascita del partito europeo Sinistra Europea (SE), nata nel 2004, che si pone l’ambizione di raccogliere l’interezza della sinistra radicale europea in un partito simile al PSE e al PPE. Anche in questa trattazione l’Autore si avvale di testimonianze storiche dei protagonisti del tempo.
Un altro tema affrontato nella parte seconda e, in misura minore, nella parte terza, è quello dell’andamento elettorale e dei rapporti della sinistra radicale coi tradizionali partiti socialdemocratici. La parte seconda è infatti dedicata a configurazione e andamento elettorale dei partiti di sinistra radicale, accompagnando le analisi dell’Autore a numerosi grafici e tabelle che agevolano notevolmente la lettura e la comprensione della mole di dati fornita. Emerge abbastanza chiaramente che gli elettorati di sinistra radicale e sinistra riformista sono, in parte, comunicanti. Il successo e la credibilità dei partiti socialdemocratici tende a ridurre la base elettorale della sinistra radicale, la quale dal canto suo riceve i suoi migliori risultati proprio quando gli elettori si sentono traditi dai loro rappresentanti della sinistra riformista tradizionale. Appare dunque che sinistra radicale e sinistra socialdemocratica siano effettivamente due pesi di una stessa bilancia.
Il tema ulteriore delle alleanze, invece, viene affrontato, come è normale, nel corso di tutto il libro, visto che è spesso indissolubile dalle vicende e dalle polemiche interne che hanno segnato la storia della sinistra radicale in Europa. Lo scenario che ci viene consegnato è assai vario. Non sta a questa recensione soffermarsi sui motivi e le dinamiche che hanno portato alcuni partiti della new left a diffidare dai riformisti, ma è comunque utile dare il quadro generale di arrivo, considerando anche gli sviluppi posteriori all’uscita del libro. Il Front de Gauche e il PCF rimangono ostili all’ipotesi di collaborazione col PS da posizione minoritaria. Tutti i dirigenti del Front sono concordi nel ritenere che un’alleanza col PS sarebbe possibile solo se questo fosse ridotto a una posizione minoritaria, e che quindi vedrebbe il Front come senior partner e prima formazione della sinistra. Aspirazione ancora velleitaria nel giugno 2016, sarà molto interessante vedere gli sviluppi in Francia se, come pare dai sondaggi, Mélenchon, con il cartello elettorale France Insoumise costruito su FdG e PdG, riceverà più voti di Hamon e del PS, menomato dalla scissione di Macron. Izquierda Unida e Podemos hanno avviato un confronto che si è concluso nella formazione di Unidos Podemos (avvenuta oltretutto dopo la scrittura del libro di Damiani), che pare intenzionata a voler diventare primo partito della sinistra spagnola. Molto più aperta è la Linke, che già governa con verdi e socialdemocratici in molti Länder tedeschi, sia in posizioni maggioritarie che minoritarie, e che pare ansiosa di superare il veto pregiudizialmente anti-comunista della SPD sul livello nazionale. Il tema, sia per l’ala più vicina alla socialdemocrazia, che per quella comunista, è molto pragmatico ed è il dover concordare un programma di governo negli interessi dei lavoratori e ostile a privatizzazioni e compressione dei salari.
Conclusioni
Nel suo libro, Damiani ricostruisce con precisione e attenzione i processi che hanno segnato queste esperienze politiche fino ad oggi, ma con ammirevole pazienza e semplicità, rendendo la lettura accessibile e congeniale a diversi livelli di conoscenza: in questo l’Autore si dimostra in grado di arricchire tanto un lettore già pratico dei temi trattati, quanto un neofita della storia dei partiti politici europei.
Un libro davvero fondamentale per conoscere e comprendere la storia e il senso della sinistra radicale in Europa. Come spiegato dallo stesso Autore, e come dimostrato dall’alleanza fra Podemos e IU in Unidos Podemos, la sinistra radicale è una storia in fieri, di cui oggi stesso assistiamo a successi, traguardi, arretramenti e sconfitte. Auspichiamo l’uscita di libri come questo, che abbiano l’ambizione di unire ricostruzione storica e analisi politica scientifica su fenomeni così vicini a noi, magari ampliando la trattazione ad altri partiti.
A prescindere da quel che se ne pensi, la sinistra radicale in Europa svolge una funzione importante di rappresentanza di vari interessi e valori che, negli ultimi decenni, sono stati forse troppo trascurati dalla sinistra tradizionale. I partiti della sinistra radicale, quando non si chiudono nel settarismo o non si perdono nel movimentismo senza masse, possono svolgere tanto un ruolo di contrasto all’egemonia neoliberale, quanto di costruzione di un paradigma alternativo in collaborazione con le altre forze di sinistra aperte al confronto.

Fonte: pandorarivista.it

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