La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 7 ottobre 2017

Catalogna: non si tratta (solo) di indipendenza, ma di democrazia

di Joan Subirats
Siamo nel pieno di una spirale di eventi che non ci consentono di fondare i nostri commenti su di un terreno stabile. In Catalogna tutto si muove a un ritmo indiavolato. Sicuramente era tutto prevedibile, visto che era annunciato, tuttavia i principali attori hanno proseguito imperterriti per la loro strada. Per come stanno le cose e avendo già constatato direttamente e indirettamente che lo scontro finisce per alimentare e rafforzare le posizioni dei contendenti, credo che convenga cominciare a capire che la cosa rivoluzionaria è proprio uscire da questo status quo. Uno scenario nel quale tutti finiscono per sentirsi sicuri, affermando che è sempre l’altro che non vuole dialogare, mentre continuano ad avanzare impazziti e in parallelo fino al precipizio finale, come nella famosa scena delle due auto del film con James Dean, “Gioventù bruciata”. Nessuno vuole cedere per primo, visto che sarebbe poco virile. Significherebbe fare una figura da codardi.
In questi giorni parliamo molto di democrazia in Spagna dato che in larga misura le due fazioni più coinvolte e distanti tra loro nel conflitto (il governo del Partito popolare e i suoi alleati da un lato, e il governo di Junts pel Sí e la società civile mobilitata dall’altro) hanno finito per condurre il dibattito sul piano della qualità democratica. Gli uni dicendo che è democratico solo ciò che è legale, e trasformando la legalità nel metro della qualità democratica, gli altri sostenendo che non c’è legalità senza legittimità e che c’è democrazia solo se si consente alle persone di esprimere liberamente e pacificamente le proprie idee.
Penso che il consenso sia sopravvalutato in democrazia. La democrazia si è trasformata nel sistema politico egemonico nel mondo non perché genera maggiore consenso, ma perché fonde dissenso e capacità decisionale. Vale a dire che in fin dei conti è più democratico il sistema politico che è capace di contenere più conflitto e di gestirlo senza arrivare a scene di violenza. Non si tratta di essere d’accordo su tutto, ma di accettare un quadro comune nel quale esprimere disaccordo, conflitti e cercare soluzioni che permettano di mantenere il quadro condiviso. E questo è proprio ciò che Rajoy e il Partito popolare, con il loro dna autoritario, non accettano.
In Spagna e in Catalogna, lo strappo sta nel comprendere che il regime democratico del ’78 sorto dopo la fine del franchismo, celebrato in tutto il mondo come un modello di transizione, è ormai esaurito. Le cose sono molto diverse oggi, dopo 40 anni di esercizio democratico e di trasformazione economica, sociale e tecnologica. La sfida è quella di essere capaci di ricomporre un accordo che consenta di proseguire insieme o che permetta una soluzione negoziata, accettando senza condizioni che tutto è negoziabile e tutto può essere sottoposto a discussione. Meno testosterone e più apertura al dialogo. Questo è il messaggio emerso dalla conversazione tra le due sindache di Madrid e Barcellona, Manuela Carmena e Ada Colau, in un programma televisivo molto apprezzato e commentato.
Però quel che è certo è che le possibilità di dialogo sono molto erose dopo gli eventi dello scorso 1 ottobre, con le azioni dei corpi di sicurezza dello Stato di fronte a moltitudini pacificamente riunite dinanzi ai collegi elettorali al fine di votare in un referendum (che non aveva di certo tutti i requisiti legali e che era stato sospeso dal Tribunale Costituzionale). La risposta del Re è stata deludente, avallando semplicemente l’atteggiamento chiuso e repressivo del governo Rajoy. Lo sciopero generale di martedì 3 ottobre ha dimostrato che la questione democrazia-autoritarismo ha molto più sostegno rispetto al conflitto strettamente legato alla questione della sovranità e in questa linea la posizione repressiva di Rajoy incontrerà molta resistenza.
Che succederà? Non credo che si possa restare chiusi in una specie di casa senza porte né finestre, cercando freneticamente una soluzione unilaterale che non esiste e attraverso la quale non si può neppure tornare alla situazione di prima, visto che questo «prima» non esiste.
Rajoy può tentare di sfruttare il gran chiasso provocato e convocare elezioni generali, prendendo in contropiede un Psoe che ancora non sa come posizionarsi e uscire così dal crescente blocco parlamentare nel quale si trova. E il governo catalano e i suoi alleati potrebbero voler allargare la breccia attraverso minacce di indipendenza unilaterale. Ma niente di tutto questo servirà per uscire senza danni dalla casa in cui siamo rinchiusi. 
Siamo in un vicolo cieco. La gente è sempre più preoccupata visto che le intransigenze incrociate generano una sensazione di insicurezza e incertezza e minacciano il fondamentale valore della pluralità. La mediazione internazionale potrebbe essere una soluzione, però l’Unione europea, come già in altre occasioni, non sembra disposta a muoversi in questa direzione. Quel che è certo, purtroppo, è che solo le fluttuazioni del mercato sembrano suscitare serie preoccupazioni nelle strategie del governo spagnolo.
È necessario fare politica e non limitarsi ad applicare la legge. È necessario attivare la democrazia. È necessario cominciare a riconoscere che non c’è vincitore possibile né imposizione giuridica percorribile ed esplorare quindi la strada di un cambio di sistema a partire da nuove maggioranze che ricompongano ciò che definitivamente non funziona più. In questo senso il ruolo del Psoe è centrale, dato che può spostare le maggioranze parlamentari verso una mozione di censura nei confronti di Rajoy.

Fonte: Micromega-online 

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