La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 6 ottobre 2017

Catalogna tra crisi di legittimità, indipendentismo e repressione

di Nicola Melloni
Il conflitto, per ora solo politico, in atto in Catalogna divide coscienze e scalda gli animi, anche e soprattutto a sinistra: da una parte chi difende lo stato di diritto, dall’altro chi si concentra sulla volontà popolare, rievocando una vecchia discussione tra democrazia sostanziale e formale; e poi, il diritto all’autodeterminazione dei popoli contro quello degli Stati a difendere la loro integrità; per finire, chi accusa i catalani dell’egoismo di chi vuole sempre più dal governo centrale, mentre dall’altra parte si punta il dito contro la violenza di stato inscenata dalla polizia. Sono tutte chiavi di lettura valide ed importanti. Altrettanto importante sarebbe però inquadrare il referendum catalano all’interno della crisi sempre più acuta delle società occidentali.
Le origini di questo malessere vanno ricercate ovviamente nel crollo economico e finanziario degli ultimi 10 anni, che la Spagna – nonostante i recenti progressi – ha pagato a caro prezzo. E che si è trasformato in una vera e propria crisi di legittimità degli stati, che si rivela in forme diverse a seconda del contesto politico, storico, culturale ed economico. In alcuni casi ha portato al disfacimento dei partiti tradizionali; in altri alla crescita di movimenti politici populisti, sia di destra che di sinistra; in altri ancora al ritorno del nazionalismo e del localismo più che altro come forma di rigetto di istituzioni considerate, non certo a torto, poco rappresentative.
Il punto comune e dirimente è proprio la crescente frustrazione dei cittadini verso le istituzioni che ci governano, percepite – assolutamente a ragione – come sorde alla volontà popolare, “colonizzate” e prese in ostaggio da interessi opachi che hanno fatto strame della democrazia, pur mantenendone intatti riti e procedure. Questa rabbia si scarica, di volta in volta, contro la UE che ha esautorato i parlamenti nazionali, ma anche contro gli stessi Parlamenti nazionali accusati di essere strumenti di coercizione più che di rappresentanza. Nel caso catalano, come già in quello scozzese, la mancanza di fiducia verso gli organi di governo centrali ha portato all’esplosione di movimenti autonomisti e indipendentisti che raccolgono un largo consenso tra i cittadini speranzosi di poter meglio controllare il processo decisionale locale rispetto a quello nazionale.
E’ sempre nell’ottica di questa crisi di legittimità che va letta la reazione – altrimenti inspiegabile – del governo di Madrid. Rajoy aveva molte carte a sua disposizione: poteva lasciare svolgere il referendum, puntando su un risultato modesto degli indipendentisti (che secondo i sondaggi precedenti la crisi non avevano la maggioranza); e poteva pure aspettare che, seppure avesse vinto il sì all’indipendenza in un referendum palesemente illegale (senza vera campagna elettorale dei contrari, senza quorum, senza garanzie di regolarità del voto), fosse poi il governo catalano a rompere platealmente con Madrid, legittimandone (almeno in parte) una risposta dura. Rajoy ha invece scelto di esasperare lo scontro, con provvedimenti che applicati altrove (in Venezuela, per esempio) avrebbero fatto gridare allo scandalo: polizia nella sede dei giornali, arresti di esponenti politici ed infine quasi un migliaio di cittadini presi a manganellate e feriti. Con il solo effetto di rafforzare, compattare e radicalizzare gli indipendentisti – ed attirare l’attenzione del pubblico internazionale. Perché allora questa scelta? Perché istituzioni a corto di legittimità non possono accettare di essere messe in discussione e finiscono inevitabilmente per far ricorso alla repressione. Il neo-liberismo ha sempre avuto una forte impronta “disciplinare”, unita però, in passato, ad una costruzione del consenso – o quantomeno dell’assenso – basata su egemonia culturale e l’illusione monetaria creata dal credito facile. La crisi economica ha però esaurito le apparentemente illimitate risorse finanziarie e bruscamente svegliato i tanti che accettavano supinamente il credo neo-lib. Cosicché la bilancia sembra sempre più muoversi dal consenso verso la repressione – soprattutto a causa dell’intransigenza delle elite, tutte tese a difendere i propri privilegi ed indisponibili a qualsiasi idea di nuovo patto sociale.
Davanti a tale situazione, l’accusa ai “ricchi” catalani di egoismo pare un poco riduttiva – senza dubbio la crisi economica ha contribuito alla situazione attuale, ma è la rivolta generale contro la politica tradizionale, nelle sue varie forme ed istituzioni, a dominare lo scontro in atto. D’altro canto, la battaglia indipendentista rimane sostanzialmente di retroguardia, perché tende ad ignorare l’enorme elefante nella stanza: il capitalismo neo-liberista. Un nuovo stato catalano rischierebbe di riprodurre tale e quale il sistema di potere oggi presente a Madrid – anche con un governo di sinistra, che sarebbe comunque strettamente limitato nella sua azione dagli spazi di agibilità politica lasciati dal neo-liberismo. E questo aspetto dovrebbe venire considerato anche nella battaglia che viene condotta contro l’Europa: la lotta dovrebbe preoccuparsi della natura del regime e del sistema di comando piuttosto che del locus fisico – di comodo – dove le decisioni “vengono prese”.

Fonte: Micromega-online 

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