
di Paul Street
Introdotto nel romanzo distopico di George Orwell 1984, il termine “doppio pensiero” si riferisce alla capacità di avere contemporaneamente in testa due idee contraddittorie e di credere a entrambe. Non sono sicuro riguardo al fatto che ci creda (vedere nota 2 in calce), ma il settimo e, fortunatamente, ultimo Discorso sullo Stato dell’Unione (SOTUA) di Barack Obama ieri sera (sto scrivendo nella mattina di mercoledì 13 gennaio 2016) è stato un tributo al doppio pensiero per quanto riguarda il resto del significato orwelliano. Considerate il seguente brano, pronunciato da Obama verso la fine del suo discorso:
“Una politica migliore non significa che dobbiamo essere d’accordo su tutto. Questo è un grande paese, con regioni e atteggiamenti e interessi diversi … Ma la democrazia richiede legami fondamentali di fiducia tra i suoi cittadini. Non funziona se pensiamo che chi non è d’accordo con noi sia motivato da malignità o che i nostri avversari non siano patrioti … Soprattutto la democrazia crolla quando la persona media sente che la sua voce non conta, che il sistema è manipolato a favore dei ricchi o dei potenti o di qualche interesse ristretto … Troppi statunitensi la pensano così oggi.”
Sì, la maggioranza degli statunitensi effettivamente la pensa così di questi tempi. Potrebbe essere che la pensa così perché oggi le cose sono così? Non occorre essere marxisti o un qualche altro genere di “radicale pericoloso” per notare che il governo popolare o la democrazia sono calpestati dall’oligarchia e della plutocrazia negli Stati Uniti contemporanei. In un importante studio pubblicato nel 2014, i politologi tradizionali di spicco Martin Gilens (Princeton) e Benjamin Page (Northwestern) scrivono che la democrazia statunitense non esiste più.
Negli ultimissimi decenni Gilens e Page hanno stabilito che il sistema politico statunitense è divenuto “una oligarchia” in cui élite ricche e le loro imprese “governano”, esercitando un potere estremamente sproporzionato sulla politica nazionale. Esaminando dati di più di 1.800 iniziative politiche dal 1981 al 2002, Gilens e Page hanno rilevato che élite ricche e ben collegate hanno guidato costantemente la direzione del paese, indifferentemente, o addirittura contrariamente, alla volontà della maggioranza statunitense. “Il punto centrale che emerge dalla nostra ricerca è che élite economiche e gruppi organizzati rappresentanti interessi economici hanno avuto considerevoli impatti indipendenti sulla politica governativa statunitense”, hanno scritto Gilens e Page, “mentre gruppi d’interessi basati sulle masse e cittadini medi hanno scarsa o nessuna influenza indipendente”. La tesi tiene, hanno segnalato gli eminenti accademici, indipendentemente da quale dei due partiti politici dominanti detiene il potere nominale a Washington [1]. L’amministrazione Obama, avrebbero potuto aggiungere Gilens e Page, è stata un raggelante esempio pro Grande Industria della natura bipartitica dell’oligarchia.
Protezione degli investitori: perché tanta segretezza
Ma divago. Torniamo al “doppio pensiero” nel SOTUA di Obama. Giusto otto paragrafi prima del suo mezzo appello a più democrazia e meno plutocrazia negli USA, il leggendariamente evasivo Obama ha brevemente sollecitato il Congresso a ratificare il Partenariato Trans-Pacifico (TPP) al fine di “aprire mercati, proteggere i lavoratori e l’ambiente, e far progredire il ruolo guida degli Stati Uniti in Asia”. E che cos’è il TPP? E’, tra altre cose, un adeguato coronamento della ricca storia di Obama quale splendente cavallo di Troia della dittatura non eletta del capitale globale che domina gli Stati Uniti e altre nazioni sotto la maschera della democrazia e oltre il teatrino delle marionette della politica partitica e parlamentare. E’ un monumento adatto all’osservazione del 1857 di Karl Marx che “il capitale deve sforzarsi di abbattere ogni barriera spaziale … per conquistare l’intero pianeta per il suo mercato”.
Avvocati e lobbisti di mega-industrie multinazionali hanno elaborato il TPP e lo hanno promosso per quasi un decennio. La misura unirebbe gli Stati Uniti e 11 altre nazioni affacciate sul Pacifico (Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam) in una “zona di libero scambio” che copre quasi il 40 per cento dell’economia mondiale. Obama e i suoi alleati, in larga misura Repubblicani, del “libero scambio” affermano che il TPP aprirà mercati esteri a merci statunitensi e “creerà un campo di gioco alla pari costringendo i concorrenti asiatici a migliorare gli standard del lavoro e dell’ambiente”.
Ma è solo propaganda industriale sfacciatamente ingannevole. La misura in realtà non riguarda il commercio e certamente non riguarda standard migliorati. La sua vera mira consiste nel rafforzare la capacità delle imprese di proteggere e ampliare i loro diritti di proprietà intellettuale (brevetti di farmaci, diritti cinematografici e simili) e di garantire che saranno risarcite dai governi per qualsiasi profitto possano perdere per dover rispettare decenti standard pubblici su lavoro e ambiente (e su altro), capacità che certamente scoraggerebbe l’attuazione e l’imposizione del rispetto di tali standard. Parti chiave del TPP permettono al capitale straniero di affluire liberamente e agevolmente in un paese e ai profitti di esserne altrettanto agevolmente trasferiti. Il TPP vieterebbe i controlli sui capitali, che consentono alle nazioni di bloccare flussi perturbativi di “denaro caldo” da investitori speculativi e la loro fuoruscita prima che esploda la bolla dagli stessi creata. Bloccherebbe anche l’approvazione di imposte sulle transazioni finanziarie, un metodo per controllare la speculazione e generare entrate pubbliche. La misura legittima anche l’estesa privatizzazione di imprese pubbliche.
Il TPP è progettato per aiutare le grandi multinazionali a ottenere accordi speciali che non sarebbero in grado di ottenere mediante le procedure politiche esistenti, considerate troppo democratiche dallo stato ombra globale del capitale. Un’impresa straniera potrebbe ricorrere in giudizio e ricevere risarcimenti per perdite previste di profitti causate da un aumento del salario minimo (federale, statale o locale) negli Stati Uniti. Uno stato USA o una provincia canadese (o qualsiasi giurisdizione di un altro stato membro) dovrebbe risarcire compagnie petrolifere e del gas per profitti previsti persi a causa di divieti della pratica ambientalmente disastrosa della fratturazione idraulica (fracking). Alla grande industria farmaceutica e ai grandi media industriali sarebbero assicurate protezioni più forti e di più lunga durata dei brevetti e dei diritti d’autore nell’intera zona di “libero scambio”. Le grandi imprese bancarie e d’investimento multinazionali dovrebbero essere rimborsate dai governi del TPP che volessero mantenere sicuri i propri sistemi finanziari nazionali mediante leggi responsabili. Le industrie alimentari, dei beni di consumo e dei pesticidi saranno in grado di limitare la capacità dei governi TPP di imporre norme di sicurezza e ambientali sulle cose che vendono e su come le producono. La mega impresa globale con sede negli Stati Uniti di beni di consumo confezionati Procter & Gamble potrebbe richiedere risarcimenti a qualsiasi nazione TPP (Stati Uniti compresi) che osasse sottoporre i suoi prodotti e le sue fabbriche a elementari standard sociali e ambientali. (Si potrebbe continuare a lungo con esempi simili).
“Creare un campo di gioco alla pari”? Il TPP è una questione di corsa al peggio capitalista, un appiattimento in basso della capacità delle persone e del governo di imporre limiti al comportamento delle imprese. Come il suo precedente regressivo, l’Accordo Nord-Americano di Libero Scambio (NAFTA), riguarda quella che ilNew York Times definisce la “protezione degli investitori”.
Di significato critico e lugubre, il TPP costruisce una nuova struttura legale che trascende il sistema legale esistente a base nazionale. Le grandi imprese globali che non credono che ci si possa fidare dei tribunali statunitensi, australiani, giapponesi o malesi per aver garanzia di un “trattamento equo” (traduzione: sentenze coerenti con il loro desiderato tasso di profitto) saranno in grado di appellarsi a “tribunali per la risoluzione delle dispute stato-investitore” (ISDS): giurie composte da tre avvocati delle imprese che stabiliranno efficacemente una nuova legge nell’interesse della grande industria. Saranno processi farsa del capitale globale e a favore di esso. Le imprese saranno in grado di citare governi presso questi tribunali segreti industrial-globalisti se saranno approvate leggi nazionali, statali, provinciali o locali che contrastino con qualsiasi norma del TPP, quali quelle che vietano privatizzazioni. Il quadro non può essere più sinistro di così.
Nessuna meraviglia che l’amministrazione Obama abbia lavorato per mantenere segrete le specifiche del TPP. La segretezza è stata considerevole. A un numero selezionato di membri del Congresso statunitense e di alcuni dei loro collaboratori è stato permesso di vedere il testo del TPP solo se accettavano di non prendere note e di non discuterne i dettagli in pubblico. Nel frattempo centinaia di lobbisti dell’industria hanno piena conoscenza del testo del TPP, ovviamente; molti di loro hanno contribuito a scrivere la misura.
“Dei 566 gruppi invitati a partecipare ai negoziati [del TPP] a vari livelli”, ha segnalato la primavera scorsa l’economista Jack Rasmus, “480 sono rappresentanti delle imprese, del commercio e dell’industria. Il resto è costituito da accademici pro-scambi, da un pizzico di ONG solidali che beneficiano dei contributi delle imprese e da alcuni simbolici rappresentanti sindacali al soldo delle loro imprese o governi in patria”.
Come mi ha recentemente scritto l’avvocato di Los Angeles William Bibb: “Regalare diritti dei consumatori, dell’ambiente e del lavoro a vaste imprese multinazionali non può essere propriamente definito ‘scambio’. Farlo in segreto non può essere propriamente definito ‘libero’”.
Non meraviglia neppure che (come ha notato Bernie Sanders) i media dell’industria (le cui società proprietarie sono in posizione di trarre vasti profitti dal trattato) abbiano prestato al TPP – una misura enormemente significativa – una scarsissima attenzione, preferendo mantenere la popolazione concentrata su più recenti orrori dello Stato Islamico generato dagli USA e sulle più recenti affermazioni e tweet assurdi del Donald.
Corsia preferenziale: perché ora
Non è senza motivo che Obama ha forzato la primavera scorsa il Congresso a concedergli “l’autorità per la corsia preferenziale” riguardo al TPP. In base alle regole della corsia preferenziale non c’è tempo per una valutazione attenta. Non c’è possibilità di revisioni, rimandi o modifiche. Il patto deve essere votato, a favore o contro, in un arco di tempo molto breve. “L’idea”, osserva l’economista Dean Baker, “è che con il grosso della comunità economica che promette grandi contributi elettorali ai sostenitori e minaccia di punire gli oppositori, la maggior parte dei membri del Congresso troverebbe difficile votare no”.
La vile sudditanza di Obama al grande capitale e alla sua ideologia neoliberista è evidente nel fatto che il TPP ha assunto quello che il corrispondente del New York Times Peter Baker ha chiamato la primavera scorsa “uno speciale significato per un presidente ansioso di cambiare il mondo … un modo per lasciarsi dietro un’eredità positiva all’estero, che potesse essere misurato, [spera Obama] dal numero di vite migliorate piuttosto che [come nel caso degli interventi militari di Obama in Medio Oriente] dal numero dei cadaveri lasciati dietro”. Quanto tristemente e lugubremente orwelliano.
Tuttavia nessuno dovrebbe essere sorpreso dalla promozione del TPP da parte di Obama. Nonostante le sue affermazioni elettorali nella campagna 2007-08 che non avrebbe appoggiato “accordi di libero scambio”, è stato un inequivocabile promotore e protagonista di tali misure nel suo periodo alla Casa Bianca. Più in generale, il fenomeno politico nazionale e presidente Barack Obama non è stato altro che uno strumento della classe dominante finanziaria e industriale degli Stati Uniti, cosa che ho documentato in non piccola misura (a livello di libro in due casi) in innumerevoli occasioni (ad esempio si veda questo articolodella primavera scorsa).
Obama firmerà la misura in Nuova Zelanda insieme con altri capi di stato marionette dello stato ombra capitalista mondiale il prossimo 4 febbraio. Il Congresso USA dovrà comunque ancora ratificare l’accordo. Non c’è garanzia che lo farà, considerata la sua vasta impopolarità negli USA, così vasta che i quattro principali candidati attuali alla presidenza USA (Hillary Clinton, Bernie Sanders, Donald Trump e Ted Cruz) risultano contro di esso.
L’élite capitalista globale vuole che la misura sia inserita nelle leggi statunitensi quanto prima possibile. Come ha segnalato Rasmus la scorsa primavera, l’essenziale sostegno dei Democratici al Congresso alle misure di “libero scambio” dipende dalla copertura offerta dalla presenza del Democratico alla Casa Bianca:
“La recente storia statunitense mostra che un grande trattato di libero scambio come il TPP può essere approvato solo con il sostegno di un presidente Democratico e con il sostegno dei Democratici al Congresso, proprio come Bill Clinton è stato essenziale per l’approvazione di precedenti iniziative statunitensi di libero scambio negli anni ’90: l’Accordo di Libero Scambio Nord-Americano (NAFTA) e l’apertura degli scambi Cina-USA proponendo i Diritti di Scambio della Nazione Preferita (PNTR) a favore della Cina, una misura quasi di libero scambio … se un Repubblicano fosse eletto presidente nel 2016 è probabile che i Democratici potrebbero non appoggiare il TPP al Congresso. Gli Stati Uniti delle imprese non vogliono aspettare tanto a lungo il TPP, considerati entrambi gli eventi. Vogliono il TPP oggi, non domani”.
Con la forte probabilità (anche se non la certezza) di una vittoria Democratica (Clinton) alle elezioni del 2016, l’urgenza del capitale permane. Hillary Clinton, sotto la pressione di Sanders e della base progressista alle primarie Democratiche, si è espressa contro il TPP, così come i principali contendenti Repubblicani Donald Trump e Ted Cruz. Il leader della maggioranza Repubblicana al senato, Mitch McConnell (Repubblicano – Kentucky) sta ammorbidendo il suo passato sostegno al TPP, riflettendo la delusione dei suoi sostenitori della grande industria del tabacco per il grado di protezione sinora da essi ricevuto nell’ambito del trattato. (McConnell ha detto recentemente che Obama sta rischiando la sconfitta sulla sua firma dell’accordo di scambio se cercherà di premere per l’approvazione prima della sessione dell’anatra zoppa l’anno prossimo. “Certamente non dovrebbe avvenire prima dell’elezione”, ha dichiarato McConnell in un’intervista al Washington Post. “Penso che il presidente commetterebbe un grosso errore se cercasse di ottenere il voto [sul TPP] nel corso delle elezioni. C’è dovunque una considerevole opposizione”). Se Hillary Clinton dovesse subentrare e spingesse un accordo civetta di tipo NAFTA riguardo al TPP, probabilmente dovrebbe attendere fino al 2018 o oltre prima di esercitare una forte pressione per la misura.
Quanto più a lungo il nefasto trattato economicista resterà in sospeso, tanto più tempo e tanto maggiori occasioni avranno gli oppositori per denunciare la natura reale e disastrosa, arci-autoritaria del TPP. Tanto più a lungo ci sarà la possibilità che sia demolito dall’instabilità economica globale che conduce a conflitti monetari, d’investimento e commerciali che minano l’unità tra i “partner”. E quanto più ci vorrà per ottenere l’approvazione definitiva imposta costituzionalmente negli USA, tanto più sarà difficile mantenere a bordo gli stati membri e fuori dall’alleanza economica con il crescente potere del gioco a lungo termine della Cina, la grande minaccia geostrategica all’abbraccio della misura regressiva da parte dell’élite imperiale statunitense. L’ora del TPP è adesso, gli ultimi giorni dell’era profondamente ingannatrice di Obama, per quanto riguarda il grande capitale “statunitense”. Di qui l’urgenza di un’opposizione popolare di massa ora e nei prossimi mesi.
4.2.2016
La data della firma, il 4 febbraio, sembra un potente obiettivo di organizzazione popolare negli Stati Uniti. Milioni e milioni di lavoratori e cittadini statunitensi stanno lottando semplicemente per non annegare nel caos neoliberista degli Stati Uniti della Nuova Età dell’Oro, in cui l’un per cento al vertice possiede più ricchezza del 90 per cento in basso, mentre metà della popolazione è o povera o prossima alla povertà. Questo in un pianeta in cui, secondo l’Oxfam l’anno scorso, 80 persone insieme possiedono tanta ricchezza quanta i 3,6 miliardi di più poveri del mondo. Che cosa propone di fare a proposito di tutto ciò lo strisciante serpente neoliberista alla Casa Bianca al fine, presumibilmente, di “lasciarsi dietro un’eredità positiva all’estero, un’eredità che possa essere misurata dal numero di vite migliorate piuttosto che dal numero di cadaveri lasciati dietro”? Diamine!, volare in Nuova Zelanda, naturalmente, lontano dai ghetti marci terrorizzati dalla polizia, dalle comunità della classe lavoratrice maltrattata, dalle vergognose prigioni di massa e dalla classe media in continuo assottigliamento degli Stati Uniti benedetti da “Dio”. A far cosa? A insediare John Hancock come rappresentante ufficiale di “Noi il Popolo [statunitense]”, di una misura sinistramente autoritaria e segreta, arci-global-economicista, dettagliatamente messa a punto nel corso di molti anni da lobbisti delle imprese, avvocati delle imprese e tecnocrati stato-capitalisti per promuovere ancor di più la concentrazione della ricchezza e del potere in alto, nelle mani dei Pochi industriali e finanziari, il tutto al grande, e forse fatale, costo del bene comune! Certamente questo è un insulto e un’offesa intollerabile al popolo statunitense, qualcosa che merita proteste e resistenza di massa nelle strade, nelle scuole, nelle fabbriche e nei municipi della nazione.
Note
[1] Un articolo sullo studio di Gilens e Page sulla rivista liberale in rete Talking Points Memo (TPM) recava un titolo interessante: “Studio di Princeton: gli USA non più una vera democrazia”. L’articolo conteneva un collegamento a un’intervista a Gilens in cui egli spiegava che “contrariamente a quanto decenni di ricerche in scienze politiche potrebbero indurre a credere, i cittadini comuni non hanno virtualmente alcuna influenza su ciò che fa il loro governo negli Stati Uniti. Ed élite economiche e gruppi di interessi, specialmente quelli che rappresentano le imprese, hanno un considerevole grado di influenza”. L’eminente economista di Princeton ed ex presidente della Federal Reserve Alan S. Blinder è comparso per convenire. “Purtroppo nel nostro sistema politico così dominato dal denaro l’espressione ‘uguali diritti politici’ è un inganno crudele … la disuguaglianza politica e quella economica si rafforzano reciprocamente, creando un ben noto circolo vizioso” ha scritto Blinder nelle pagine d’opinione del Wall Street Journal.
[2] Dove Obama non corrisponde al “doppio pensiero” di Orwell è nella convinzione quando si tratta della contraddizione tra (a) apparentemente fare appello a più democrazia e meno plutocrazia e (b) sollecitare il Congresso ad approvare il TPP. Nel caso di Obama abbiamo a che fare con un cinismo e un’ipocrisia abietti. La mia forte e ragionata impressione del quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti è che lui sappia benissimo di operare da strumento della guerra interminabile del capitalismo globale alla democrazia e al bene comune e ne goda. Si gode particolarmente i liberali e progressisti svampiti che ancora oggi sono raggirati a pensare che lui sia qualcosa di più di uno strisciante serpente neoliberista, uno strumento splendente delle dittature non elette del denaro e dell’impero. Persone che credono a questo risultano giustamente divertenti per il presidente. Mi è particolarmente piaciuto il cinismo della seguente frase nel discorso di Obama ieri sera: “Voci che ci aiutano a considerarci non prima di tutto e soprattutto come neri o bianchi o asiatici o latinoamericani, non come gay o convenzionali, immigrati o nativi, non come Democratici o Repubblicani, ma innanzitutto come statunitensi legati da un credo comune. Voci che il dottor King riteneva avrebbero avuto l’ultima parola, voci di verità disarmata e di amore incondizionato. Ci sono, là fuori, queste voci … Le vedo nel lavoratore alla catena di montaggio che fa turni extra per mantenere attiva la sua società, e nel capo che gli paga salari più elevati per tenerlo con sé”. Ecco la mia traduzione, basata sull’esperienza nella classe lavoratrice alla catena di montaggio, dei “turni extra per mantenere attiva la sua società”: la società sta usando la minaccia della chiusura dell’impianto e del trasferimento in una zona del sistema capitalista del mondo con salari inferiori per costringere i lavoratori statunitensi allo stremo. I lavoratori della catena di montaggio fanno turni extra per cercare di guadagnare denaro sufficiente per sopravvivere, perché i salari sono troppo bassi. Tutto ciò a causa, in non piccola parte, di misure di “libero scambio” (diritti degli investitori) come il NAFTA e, se sarà attuato, il TPP. Appropriarsi della grande celebrazione da parte del dottor King degli straordinari degli operai di fabbrica è piuttosto orrendo, ma è semplicemente neoliberismo standard dell’era Obama, con la solita aggiunta del condimento della politica identitaria. Capi che pagano salari più elevati per tenersi i lavoratori? Temo non sia cosa tanto comune di questi tempi.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Counterpunch
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
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