La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 29 febbraio 2016

Che vuol dire oggi l’unità dei comunisti?

di Giulio AF Buratti
Il Pcdi rilancia sull’unificazione con il Prc ma non c’è nemmeno una parola, nella lettera del Pcdi a Ferrero, sul fatto che la divisione tra i “comunisti” avvenne – e persiste in gran parte – sui nodi del rapporto con il centrosinistra di governo e dell’appoggio alla guerra contro i civili della ex Jugoslavia che il governo Prodi, poi D’Alema, stava contribuendo a scatenare assieme alla Nato. Cossutta si portò via gran parte del gruppo parlamentare e una piccola parte di militanti: un simboletto che ricordava quello del “glorioso” Pci in cambio della partecipazione alle meno gloriose gesta di D’Alema e poi Amato. Seguirono anni di galleggiamento sulla linea del due per cento e le non brillantissime performance di Diliberto da ministro Guardasigilli sulle orma del suo maestro Togliatti.
Una decina di anni dopo, nel 2008, anche il Prc cominciò a deflagrare per via del suo appoggio alla guerra contro donne, vecchi e bambini afgani, in nome della tenuta di un altro infelicissimo gabinetto Prodi. Tra i due partiti, la fulminante stagione dell’Arcobaleno, non sedimentò granché ed entrambi hanno perso pezzi in transito verso Sel. Venne la breve epoca della Federazione della sinistra, visto che, come notò Diliberto, era venuto meno il peccato originale del voto alle missioni. Ma il nodo del rapporto col Pd restò insolubile. Il Pdci, come si chiamava allora, prendeva le forme e i contenuti del Pd, nei territori che governava con gli altri ex del Pci. Al punto che gli ex cossuttiani chiesero un passaggio sul carro delle primarie che incoronarono Bersani. Poi spuntò la stella di Ingroia e furono proprio alcuni maggiorenti del Pdci a pilotarne l’infelice campagna elettorale. Diliberto ha lasciato al guida del partito che, come i cugini del Prc, è sottoposto a ripetute scissioni, da quella di Marco Rizzo, foraggiata dall’Idv, fino al gruppo di “Comunisti ora” tornato a Rifondazione. Esponenti più o meno di spicco del Pcdi – oltre a non far mai mancare il proprio sostegno ai vertici della Cgil – non hanno disdegnato, di recente, la compagnia di personaggi rossobruni e si sono posti su posizioni “campiste” a scoppio ritardato. Così, tramutatosi da Pdci in Pcdi, il partito rilancia, dopo aver congelato l’idea della Costituente comunista (era stata annunciata per dicembre ma non s’è vista), ai cugini del Prc il progetto dell’unità dei comunisti.
Che in Italia il movimento operaio organizzato non abbia più espressioni politiche è un fatto drammatico sotto gli occhi di tutti ma la parola d’ordine dell’”unità dei comunisti” suona come una campana stonata di fronte alla diaspora di ceti politici in disarmo e senza nulla da vantare se non il passato remoto sopravvalutato del Pci (il partito del compromesso storico, dell’unità nazionale, dell’austerità modello anni 70, della legge Reale…) e un passato prossimo nelle infauste stagioni del centrosinistra. Per non dire dei gruppetti che inneggiano alla funzione antimperialista dell’Isis (Pmli), che esortano Grillo a guidare la rivoluzione proletaria (Carc), che paragonano la Corea del Nord a Cuba e vietano l’accesso ai social dei militanti (Rizzo).
Esiste uno spazio, a sinistra, per chi voglia provare a lavorare per una nuova politicizzazione di massa sottraendosi sia alle torsioni sovraniste e neocampiste (quello che rischia il cartello eurostop) così come alla nostalgia della Grande Sel per il Pds? C’è appena stato un meeting importante, a Madrid, promosso da soggettività antiliberiste e anticapitaliste per costruire un’alternativa, un Plan B, all’Europa dell’austerità e della guerra. La delegazione italiana è tornata con parecchie idee e un’agenda che ha fissato una giornata di mobilitazione per il 28 maggio, ricorrenza dell’ultimo giorno della Comune di Parigi. Certamente, connettere le lotte, riunire quello che il neoliberismo ha diviso, è un’impresa ben più ardua di quella di riappiccicare i pezzi di una sinistra radicale travolta dalla sua ostinazione a partecipare ai governi dove non ha potuto inceppare la lunga marcia del neoliberismo semplicemtente perché i suoi partner di governo – Ds e centristi – erano e sono la filiale italiana di quelle politiche.

Fonte: Popoff Quotidiano 

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