La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 5 marzo 2016

I motivi del no alla riforma costituzionale

di Daniele Sterrantino e Chiara Del Corona
Il primo marzo, si è tenuta a Lastra a Signa la prima riunione del Comitato per il No alla riforma Costituzionale, sulla quale i cittadini sono chiamati a esprimersi il prossimo ottobre. Daniele Sterrantino (RFC) e Matteo Gorini (Sinistra Italiana) hanno delucidato in maniera approfondita i punti cruciali della Riforma del Senato e chiarito i perché di un voto contrario a tale riforma adducendo motivazioni che quasi sempre vengono occultate o mascherate dalla propaganda del governo e dalla comunicazione mediatica main stream. Anche la campagna referendaria che partirà per promuovere il voto favorevole alla riforma sarà probabilmente tutta giocata all’insegna di una strumentale retorica efficientista che elogia il fare del governo e farà passare coloro che mettono invece in luce le ragioni per cui essere contrari a tale riforma, come i soliti “gufi” disfattisti che ostacolano ogni tentativo funzionale alla ripartenza del paese.
Partiamo dai cambiamenti cruciali del Senato che prevede la riforma costituzionale.
Il Senato non sarà più elettivo: i senatori, che da 315 scenderanno a 100, non saranno più eletti direttamente ma verranno eletti dalle Regioni: saranno “presi” da un listino di consiglieri regionali e sindaci che avranno ottenuto più voti durante le elezioni regionali (“in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”). La maggioranza dei senatori (95) sarà così eletta dai Consigli regionali: il Senato sarà perciò composto da 74 consiglieri regionali e 21 sindaci in carica. I restanti cinque senatori, invece, saranno eletti (e resteranno in carica per una durata di 7 anni) dal presidente della Repubblica, diventando così una specie di gruppetto-privato o gruppetto-stampella del presidente in carica.
Rafforzamento dell’esecutivo: le leggi promulgate dal Governo dovranno avere tempi molto più brevi per essere approvate: il Governo potrà chiedere alla Camera che alcuni Ddl abbiano priorità all’ordine del giorno e quindi che debbano venire votati entro 70 giorni, riducendo così notevolmente lo spazio di dibattito parlamentare. Il Senato non avrà quasi più competenza legislativa se non per alcune materie (leggi di rango costituzionale, legge elettorale, trattati con l’Unione Europea).
Stravolto il procedimento legislativo: la partecipazione paritaria delle due Camere sarà limitata a un numero definito di leggi bicamerali (leggi costituzionali e leggi in materia di elezione del Senato, referendum popolare e ordinamento degli enti territoriali). Per tutte le altre leggi, il Senato potrà solo proporre modifiche sulle quali la Camera si pronuncia in via definitiva. Introdotto il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali delle Camere: è riconosciuta ad un terzo dei senatori o ad un quarto dei deputati la possibilità di sottoporre alla Corte Costituzionale le leggi elettorali prima della loro promulgazione. L'iter di formazione delle leggi si complica: sono una decina le diverse modalità previste di approvazione di una legge. È forte il rischio di aumentare il contenzioso davanti alla Corte costituzionale. Saranno i Presidenti di Camera e Senato a risolvere i (prevedibilmente numerosi) casi controversi, ovvero se seguire l'uno o l'altro iter di formazione. Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali rischia di politicizzare il giudizio della Corte costituzionale: esso avverrà subito dopo l'approvazione delle legge e sarà di natura generale e astratta.1
Riforma del titolo V della Costituzione [art. 114-132]: il titolo V della Costituzione disciplina le autonomie locali – regioni, province, comuni. Dopo una serie di riforme - al titolo V - iniziate dagli anni ’70 e terminate con la riforma approvata nel 2001 (dopo esser stata sottoposta a referendum confermativo, con esito favorevole, dato che non aveva ottenuto la maggioranza dei 2/3 delle Camere) vengono stabilite maggiori competenze e maggiore autonomia alle regioni – in campo sanitario, finanziario e organizzativo. La riforma del 2001 spartisce inoltre tra Stato e regioni le diverse materie di competenza: materie di competenza esclusiva dello Stato, le materie di competenza concorrente e le materie di competenza delle regioni. Con l’attuale riforma non esisterà più questo sistema che distingue competenze dello Stato da quelle delle regioni, poiché verrà abolita la legislazione concorrente tra regioni e Stato, e sarà quest’ultimo a detenere così una competenza pressoché esclusiva in diversi ambiti: “Allo Stato vengono affidate "la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" e "le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute; per le politiche sociali; per la sicurezza alimentare", mentre alle regioni viene data la competenza specifica in materia di "programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali". Inoltre viene “Introdotta la cosiddetta clausola di supremazia statale: ai fini della tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica o dell'interesse nazionale, si è previsto che su proposta del Governo - che se ne assume pertanto la responsabilità - la legge statale possa intervenire anche in materie di competenza esclusiva delle Regioni. Abolite le Province quali organi costituzionali dotati di funzioni e poteri propri. Abolito il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL). Eliminata la competenza concorrente e re-introdotta la “clausola di supremazia”, il potere legislativo delle Regioni si riduce. Sembra ci si allontani dal modello “solidale” di federalismo (basato sulla leale collaborazione e la “concorrenza” tra le funzioni), per avvicinarsi al modello “competitivo” (basato sulla netta separazione tra Stato e Regioni e tra Regioni). Si è conservato il vecchio criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni (il criterio delle materie) che è stato indicato dalla Corte costituzionale come un fattore di destabilizzazione. Non si è colta l'occasione per passare ad un criterio diverso(ad esempio quello delle funzioni) che potesse effettivamente semplificare e ridurre il contenzioso tra centro e periferia. La concorrenza tra la funzione legislativa dello Stato e quella delle Regioni, formalmente eliminata, in realtà avrà ancora la possibilità di essere esercitata in tutte quelle materie dove la competenza esclusiva dovrà limitarsi alle “disposizioni generali e comuni”. Questa nuova formulazione appare di incerto significato: dovrà intervenire la Corte costituzionale a chiarirne la portata”2.
Leggi di iniziativa popolare e referendum: con la nuova riforma il quorum da raggiungere per poter presentare un progetto di legge popolare passa da 50.000 a 150.000 firme, così che sarà più difficile per i cittadini poter promuovere/proporre una legge da mandare a vaglio parlamentare. Per quanto riguarda poi il referendum abrogativo si introduce un doppio quorum: “in caso di sottoscrizione della proposta da parte di 500mila elettori, per la validità della consultazione sarà necessaria la partecipazione al referendum della maggioranza degli aventi diritto al voto; in caso di sottoscrizione della proposta da parte di 800mila elettori, sarà sufficiente la partecipazione della maggioranza dei votanti all'ultima elezione della Camera dei deputati. Gli strumenti di democrazia diretta non vengono favoriti: da un lato si prevede l'innalzamento del numero delle firme necessarie per poter presentare disegni di legge d'iniziativa popolare, dall'altro si rinvia ai Regolamenti parlamentari di stabilire le regole per la presa in esame da parte delle Camere. Si introduce un doppio quorum di validità del referendum in base al numero si sottoscrittori. Si semplifica assai una questione in realtà molto complessa”3.
Elezione Presidente della Repubblica: essendo sceso il numero di senatori a 100 il loro voto sarà ininfluente rispetto a quello della maggioranza della Camera dei deputati, che in totale sono 630: “per l'elezione del Presidente da parte del Parlamento in seduta comune (630 deputati + 100 senatori) sono richieste le seguenti maggioranze qualificate: − 2/3 dell’assemblea dal primo al terzo scrutinio; − 3/5 dell’assemblea dal quarto al sesto scrutinio; − 3/5 dei votanti dal settimo scrutinio”4.
Quali sono le ragioni per non essere d’accordo con questa riforma?
Innanzitutto per quanto la Costituzione non sia immodificabile, occorre essere molto prudenti e cauti nell’apportare delle modifiche. E in ogni caso qualsiasi eventuale modifica dovrebbero andare in direzione di un ampliamento della democrazia e non di un suo restringimento, cosa che invece avverrebbe con questa riforma, la quale, unita con la riforma della legge elettorale andrebbe a rafforzare radicalmente l’esecutivo e l’autoritarismo del Governo. L’Italicum prevede infatti uno smisurato premio di maggioranza, di 340 seggi, (54%): potrebbe così prodursi la paradossale situazione che anche ricevendo solo il 30% dei voti a favore, un partito otterrebbe comunque la maggioranza della Camera dei deputati, accaparrandosi comunque il 54 % dei seggi. Il Senato tenderà ad approvare tutto quello che vara il Governo, dato che, essendo formato da consiglieri regionali e sindaci che presumibilmente saranno espressione del partito nazionale, apparterranno ad esso (è difficile che nelle regioni vincano partiti diversi dal partito maggioritario a livello nazionale!). Quello che si va a innescare è un forte accentramento del potere esecutivo e della maggioranza parlamentare che diventerà sempre di più espressione di un solo partito: si creerà una sorta di dittatura della maggioranza e dell’esecutivo senza che ci siano più abbastanza contrappesi e controlli per evitare pericolose degenerazioni decisionali. 
Le modifiche alla Costituzione non possono andare nella direzione di svuotamento degli spazi democratici e dell’abolizione del principio di bilanciamento, equilibrio e controllo tra poteri previsto dalla Costituzione. Oltretutto la modalità con cui la riforma è stata sottoposta alla valutazione dei cittadini è piuttosto preoccupante: non si votano le singole modifiche (su alcune delle quali, ad esempio, qualcuno potrebbe pure essere d’accordo e votarle favorevolmente), bensì viene sottoposto ai cittadini il pacchetto completo, nell’ottica del prendere o lasciare. Pur spacciata come la fine del bicameralismo perfetto, in realtà questa riforma dà vita a un bicameralismo imperfetto e non a un monocameralismo. Il Senato, seppur esautorato di molti dei suoi poteri, potrà comunque continuare a legiferare su certe materie, nonostante i senatori non abbiano ricevuto alcuna investitura da parte dei cittadini. Avremo consiglieri e sindaci che decidono senza che la loro carica sia stata eletta direttamente.
Tutta la retorica dell’efficientismo e del risparmio è in realtà una grande mossa propagandistica da parte di un governo il cui unico obiettivo è quello di far vedere che “fa le cose”. Basta muoversi per far vedere che ci si muove, anche laddove il risultato o è totalmente inutile o addirittura dannoso (tanto che forse sarebbe stato meglio non muoversi affatto!). Un po’come quando, suggerisce Sterrantino, proponendo un esempio molto azzeccato, per riordinare o disporre diversamente una certa stanza cominciassimo a spostare alla rinfusa i tavoli presenti, ottenendo soltanto maggior confusione se senza peraltro risolvere il problema, lanciando però il messaggio che qualcosa si è fatto, indipendentemente dalla positività o negatività di quel che si è fatto. La stessa cosa vale per questa e molte altre riforme provenienti dal Governo Renzi. Il Senato non viene abolito, dunque l’iter delle leggi rimane, e anche i tempi di approvazione di una legge possono risultare sempre abbastanza lunghi, senza perciò guadagnare in efficienza; e soprattutto il risparmio ottenuto attraverso questa riforma sarà irrisorio, a differenza di quello che vogliono far passare. Certo, è vero infatti che si tolgono le indennità ai senatori, ma questi ovviamente continueranno a guadagnare lo stipendio come consiglieri regionali e sindaci: di conseguenza il pericolo imminente è che, preso atto che tra le fila del senato ci saranno consiglieri e sindaci che a seconda della città di provenienza avranno stipendi differenti, si tenderà pian piano a regolarizzare uno stipendio uguale per tutti; il problema è che molto probabilmente questo sarà equiparato allo stipendio massimo del consigliere o sindaco che riceve di più, in nome di un principio di anti-corruttibilità (quello che guadagna poco è più facilmente corruttibile) così che il risparmio non sarà elevato, anzi!
Un’altra questione che ha sollevato in maniera complessa Gorini è la reale provenienza delle riforme. Esse ormai derivano da una dimensione macroscopica e finanziaria che viene dal blocco europeo e dai grandi capitali europei che trascende la capacità decisionale dei singoli paesi. Esempio lampante è l’immissione del pareggio di bilancio in Costituzione. Con la nuova legge elettorale i partiti che avranno, logicamente (dato l’enorme premio di maggioranza che potrebbe non avere alcuna corrispondenza con il numero effettivo di voti ottenuti), più possibilità di governare saranno i maggiori partiti che tendenzialmente sono in linea con le politiche di austerity e con le politiche che tutelano i poteri forti economici e finanziari presenti in Europa; in quanto approderanno al Senato consiglieri regionali e sindaci che presumibilmente saranno espressione del partito di maggioranza che andrà al governo, le riforme che verranno approvate risponderanno sempre di più a diktat provenienti dall’alto, e che vanno in direzione del consolidamento della finanza internazionale. La stessa Unione Europea ormai ci impone vincoli politici (e derivanti da una precisa volontà politica) relativi a spesa, welfare etc. Con questa riforma si avverte perciò un pericoloso tentativo di congelamento democratico. Anche laddove vincessero forze alternative avrebbero comunque una limitata sovranità e capacità di manovra.
Se questa riforma a tutta prima non sembra delineare nell’immediato un pericolo autoritario, almeno per gran parte dell’opinione pubblica, spesso disinteressata o lasciata fuorviare dalla retorica efficientista con cui viene venduta la riforma, contiene però in sé il rischio o l’ eventualità di un accentramento sempre più esclusivo e potenzialmente autoritario del governo in carica. Renzi o il Pd non possono pensare di poter vincere per sempre e sembrano mancare di lungimiranza e di una prospettiva a lungo termine, perché stanno aprendo le porte alla possibilità, attraverso la riforma del Senato e la legge elettorale, a qualsivoglia altro partito, che potrebbe essere, magari in un futuro prossimo, molto più autoritario o di stampo fascista, regalandogli la possibilità di ottenere un potere quasi assoluto e soprattutto non controllato e bilanciato da altri organi di garanzia e tutela che ne impediscano le degenerazioni autoritarie, o, peggio ancora, dittatoriali. Potenzialmente l’esecutivo potrebbe fare di tutto attraverso il binomio legge elettorale e riforma del Senato ed è un rischio che un sistema che si dice democratico non può permettersi di correre.
Come ha detto Sterrantino i principi di rapidità, velocizzazione ed efficienza dell’iter legislativo (anche si realizzassero concretamente, cosa che sembra alquanto improbabile) non possono darsi a scapito di uno svuotamento o di un annullamento degli spazi e degli organi democratici. Come disse Calamandrei, la Costituzione è il testamento di 100.000 morti e noi, anche se sempre più disamorati dalla politica e quasi assuefatti ad una realtà su cui tendiamo ad adagiarci, in quanto sembra trascenderci e renderci apatici e impotenti, dobbiamo difendere questo testamento con tutte le forze che abbiamo a disposizione e organizzarci per lottare contro una violenza che non si fa solo alla nostra Costituzione, ma che ha effettive ricadute sulla vita quotidiana dei cittadini. La riforma del Senato non è qualcosa di astratto e lontano dalla contingenza delle nostre esistenze ma ci riguarda dal vicino. Bisognerebbe perciò ritrovare una passione politica, un impegno politico, un amore per la politica che ci spingano a informarci su quel che accade e a combattere contro chi pian paino cerca di restringere, in nome appunto di una presunta efficienza e di un fuorviante messaggio del “fare”, la nostra democrazia e la nostra Costituzione (le cui modifiche come abbiamo detto dovrebbero essere in direzione di un suo allargamento e non di uno snaturamento) per la realizzazione della quale i nostri nonni o bisnonni hanno perso la vita.

1 G. Azzariti, La riforma costituzionale in sintesi.
2 Ivi
3 Ivi
4 Ivi

Fonte: Il Becco

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.