di MéxicoNosUrge
La visita di papa Francesco in Messico ha dato all'Italia l'opportunità di allargare lo sguardo su un Paese che non prendiamo sul serio, sebbene rappresenti stabilmente la quindicesima economia globale (dal 2011 al 2014, lo dice la Banca Mondiale).
Dall'uscita nei cinema del film Puerto Escondido (1992) alla saga della cattura di El Chapo, di pochi mesi fa, ci siamo impegnati a leggerne la realtà soltanto attraverso stereotipi, complice – forse - l'assenza di inviati veri al servizio delle maggiori testate televisive e giornalistiche nazionali. Stereotipi che hanno accompagnato anche il viaggio di Bergoglio, come dimostrano le foto con sombrero scattate in aereo, e l'enfasi sulle immagini degli indigeni del Chiapas nei loro costumi tradizionali, durante la celebrazione eucaristica a San Cristóbal de Las Casas.
Per guardare oltre e in profondità il contesto messicano, riprendiamo una storia 15 anni fa. Nel marzo del 2001, una di quelle donne indigene, il cui nome era Esther, prese parola di fronte al Parlamento messicano. Era la fine di marzo, e nelle sue parole - rivolte a deputati e senatori - c'era spazio anche per gli abiti che indossava: "Vogliamo che sia riconosciuta la nostra forma di vestire, di parlare, di governare, di organizzare, di pregare, di curare, la nostra forma di lavorare in collettivo, di rispettare la terra e di considerare la vita, che è la natura di cui siamo parte".
Esther, comandante dell'Esercizio Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), insorto in armi nel gennaio di 17 anni prima, chiedeva l'approvazione della legge su diritti e cultura indigena, figlia degli Accordi di pace siglati il 16 febbraio del 1996 nella cittadina di San Andrés Larrainzar, a poche decine di chilometri da San Cristóbal de Las Casas. A mediare tra le parti, governo federale ed EZLN, era stato chiamato Don Samuel Ruiz, per quarant'anni vescovo della Diocesi.
Per questo, in occasione del ventesimo anniversario degli Acuerdos de San Andrés, le scuse di papa Francesco agli indigeni, per secoli abusati dei propri diritti, sono importanti, come lo è il fatto che abbiano voluto fermarsi in preghiera - nella cattedrale di San Cristóbal - davanti alla tomba di Ruiz, che i maya del Chiapas chiamavano Tatik, "padre", e la gerarchia della Chiesa cattolica ha sempre osteggiato in vita.
È essenziale che la finestra sul Messico che si è aperta durante la visita del Pontefice non venga richiusa. Secondo l'istituto nazionale di statistica, nei tre Stati più importanti del Sud-est messicano, cioè Chiapas, Oaxaca e Yucatan, 3 persone su 10 parlano almeno una lingua indigena (INEGI, 2015); l'Italia e l'Europa devono tornare a fare pressione per l'approvazione, mai arrivata, della legge che riconosca diritti e cultura indigena.
Fonte: MicroMega online

Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.