La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 2 marzo 2016

Quando la discriminazione è protetta, il caso della Georgia

di Matteo Cresti
Era il 1973, quando la Corte Suprema degli Stati Uniti con la sentenza Roe v. Wade invalidava le leggi di vari Stati che proibivano l’aborto. Di punto in bianco, una parte di popolazione statunitense si è ritrovata con una legge che permetteva quello che avrebbero definito un infanticidio. Non si era passati attraverso un dibattito pubblico, una legislazione, dei referendum, ma attraverso una sentenza, che a detta di molti avrebbe scavalcato la prerogativa degli stati di legiferare.
Quella sentenza scatenò, e scatena tuttora, accesi dibattiti, proteste e uno scontro continuo tra i due schieramenti: i pro-choice e i pro-life. Scontri, che hanno portato anche a delle morti, come la strage di Colorado Springs, dove un fanatico religioso era entrato in una clinica abortista sparando sui medici, o gli omicidi dei medici abortisti John Britton e David Gun, solo per citarne alcuni.
Quarant’anni più tardi, il 26 giugno 2013, con la sentenza United States v. Windsor, la Corte Suprema abolì il Defense of Marriage Act, una legge che ammetteva la possibilità per i singoli stati di non riconoscere i matrimoni omosessuali celebrati in un altro stato degli Stati Uniti.
Esattamente due anni più tardi, il 26 giugno 2015 con la sentenza Obergefell v. Hodges, la Corte Suprema, ha legalizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso in tutti gli stati dell’Unione.
Anche stavolta in molti hanno protestato contro l’attività della Corte, che anche in questo caso avrebbe scavalcato i cittadini, impedendogli di affrontare un dibattito, di esprimere la propria volontà, e di legiferare sul tema. Anche qui sono nate le proteste.
Molte sette e confessioni religiose proibiscono e considerano moralmente riprovevole il matrimonio tra persone dello stesso sesso, pertanto quando si sono trovati a ricoprire l’incarico di ufficiale di stato civile, e dover concedere le licenze matrimoniali si sono rifiutati di farlo. Famoso è stato il caso di Kim Davis, di cui abbiamo già parlato in questo giornale. Ma non solo sindaci e ufficiali hanno fatto “obiezione”, ma anche fioristi, wedding planner, pasticcieri: tutti si sono rifiutati di prendere parte in qualsiasi modo a quello che consideravano un “abominio morale”.
Subito è saltato agli occhi il fatto che un pubblico ufficiale non può fare “obiezione” all’applicazione della legge. La legge, infatti, è uguale per tutti, e si applica per tutti allo stesso modo. Un giudice non può decidere di “fare un’eccezione” nel condannare qualcuno, a meno che non sia la legge stessa ad ammettere un’eccezione.
È evidente che rifiutarsi di preparare una torta per un matrimonio gay, è come rifiutarsi di farla per un afro-americano, solo per il fatto che ha la pelle nera.
È una semplice e pura discriminazione. Così alcuni stati hanno pensato bene di introdurre nella legislazione una norma che garantisse a queste persone di “obiettare”, basandosi sul diritto alla libertà religiosa protetto dalla costituzione americana: se la mia religione dice che una certa cosa è sbagliata, e anche parteciparvi in qualche modo lo è, allora io ho il diritto di potermi astenere da tutto ciò che è coinvolto in quella pratica, proprio perché lo stato deve rispettare il mio credo religioso.
Il primo stato ad attuare questa strategia è stato l’Indiana, che ha dovuto però poi modificarla a causa delle polemiche, seguito in parte dell’Arkansas. In circa otto stati i parlamentari repubblicani hanno cercato di far passare leggi che in qualche modo permettessero la discriminazione di persone lgbt su base religiosa.
Adesso è il turno della Georgia. Ma stavolta la fantasia dei legislatori ha dato il meglio di sé. Perché permettere solo la discriminazione verso i matrimoni gay? No, se abbiamo davvero a cuore la libertà religiosa, dobbiamo permettere ogni tipo di discriminazione nei matrimoni, che abbia alla base una giustificazione religiosa. Ecco la coerenza.
Siamo ancora al livello di un disegno di legge, ma la questione sta già divenendo un caso federale. La legge garantirebbe la libertà di discriminazione a chiunque: individui, compagnie, e gruppi no-profit (inclusi quelli che ricevono finanziamenti pubblici).
E come dicevamo prima, non proteggerà solo chi si rifiuta di fornire un qualsiasi servizio alle coppie gay (dalla licenza matrimoniale ai bouquet), ma qualsiasi tipo di matrimonio essi disapprovino: coppie interraziali, inter-religiose o coppie di divorziati.
I proponenti repubblicani la hanno presentato come una legge per la difesa del clero dalla celebrazione di matrimoni che andassero contro la propria religione, ma ovviamente questo era già previsto dal Primo Emendamento della Costituzione Americana.
Attraverso questo escamotage si è introdotta la possibilità di obiettare per tutti a qualsiasi tipo di matrimonio che si disapprovi per motivi religiosi o morali. La copertura della legge è talmente estesa che ad esempio potrebbe permettere ad un ospedale di proibire al coniuge gay di visitare il marito malato, o ad un’associazione di non fornire aiuto ad una madre che è fuggita di casa a causa degli abusi del marito.
Torna ad essere centrale la questione fino a dove può spingersi la religione nello spazio pubblico. La questione non è rilevante solo negli Usa, dove c’è una forte radicalizzazione religiosa accompagnata da una altrettanto forte frammentazione delle fedi.
Ma anche qui, in Europa e nella nostra Italia, che di recente ha avuto modo di sorridere e di deprimersi per gli argomenti portati in campo sulle unioni civili.
Se uno stato vuole evitare il conflitto deve accogliere come argomenti solo quelli che lasciano da parte concezioni del bene private e contestabili, e prendere in considerazione solo argomenti neutrali dal punto di vista metafisico e morale.
Ciò che è giusto o sbagliato è una questione puramente personale o comunitaria.
Quando entriamo nella sfera pubblica, da un lato possiamo ricoprire una carica istituzionale, che stabilisce degli obblighi a cui non posso contravvenire, dall’altro se dobbiamo legiferare su questioni pubbliche con qualcuno che la pensa differentemente da noi dobbiamo mettere da parte le concezioni morali private e trovare un terreno condiviso di incontro.
Fare come la Georgia, ciò permettere qualsiasi tipo di discriminazione, non è solo è inasprire le tensioni e legalizzare la discriminazione per motivi razziali e religiosi, ma è anche minare la certezza del diritto e le basi dello convivenza. La legge non sarebbe più unica ed uguale per tutte, ma tante a seconda della religione della persona che incontriamo, e non avremmo garantito nessun diritto, perché l’altro potrebbe decidere come vuole su di noi. Insomma un bel passo indietro allo stato di natura. Vedremo se la Georgia tornerà ad essere una jungla.

Fonte: Caratteri Liberi

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