La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 3 settembre 2016

Il cuore del problema

di Gustavo Esteva
Contro il volere delle autorità, che continuano a menar colpi alla cieca per tutto ciò che concerne la riforma dell’educazione, stiamo arrivando al cuore del problema. Il punto di partenza sta nel riconoscere che il sistema educativo nazionale fu creato in Messico, come in molti altri paesi, con l’intento esplicito di “de-indianizzare gli indios”. Nel XIX secolo, questi popoli erano considerati delle zavorre, furono trattati come tribù straniere nella prima costituzione del 1824 e si desiderò che sparissero: non sarebbe stato uno sterminio genocida, come si faceva nel Nord, che si prendeva a modello, ma piuttosto un culturicidio, la liquidazione delle loro culture.
Il sistema raggiunse risultati. Milioni di persone, tra coloro che entrarono nel sistema scolastico portando con sé una cultura originaria, la dovettero cancellare dalla mente e dall’anima. Alcune di esse riuscirono a restare quel che erano anche dopo le elementari e le medie inferiori e superiori, quasi impossibile riuscirci dopo l’università.
Questo gravissimo pregiudizio del sistema educativo rimane ancora oggi. Il 9 agosto la Giornata dei Popoli Indigeni è stata dedicata al diritto all’educazione. Il comunicato delle Nazioni Unite sottolineava che essi stessi dovrebbero avere il controllo sull’educazione dei loro figli e dei giovani, così che corrisponda realmente alle loro necessità, condizioni e interessi. Le percentuali ridicole di varianti culturali nella riforma educativa (messicana) non soddisfano una rivendicazione tanto legittima.
La questione in campo non riguarda solo i popoli indigeni.
L’educazione moderna nacque con l’intento di costruire una nazione. Dal secolo XVII il regime politico dello Stato-nazione adottò il principio di un’educazione standard per forgiare e consolidare nazioni emergenti.L’educazione alimentò i nazionalismi, che in molti casi nacquero con un marchio patriarcale, razzista ed escludente che negò la diversità culturale e esercitò la discriminazione in tutte le sue forme. Le dittature utilizzarono l’educazione per trovare consensi e commisero crimini abominevoli contro quelli che non avevano le caratteristiche che i dittatori consideravano peculiari della nazione.
Con processi diversi, le società cosiddette democratiche adottarono lo stesso orientamento. La conquista del diritto all’educazione ha implicato che le prerogative e le risorse per fornire i servizi corrispondenti si concentrassero nei governi. Solo un pugno di paesi è riuscito a soddisfare pienamente la rivendicazione generale e persistente di un’educazione libera, laica e gratuita, ma con questo pretesto tutti i governi hanno accentrato risorse e prerogative per l’educazione, cosa che le conferisce un carattere opprimente e discriminatorio ovunque…anche se in alcuni luoghi più che in altri.
I fondamentalismi religiosi e ideologici, che si collocano abitualmente a destra dello spettro politico, sono stati meno pressanti riguardo a un intervento del governo nell’educazione, in ciò che in generale si considera la privatizzazione dell’educazione e caratterizza la “riforma educativa” in corso nel mondo intero.
Ma qui c’è un equivoco. In ogni parte del mondo c’è stato e c’è un sistema d’istruzione privato, con fondi privati che si rivolge, in generale, a settori più o meno facoltosi della popolazione; questo sistema è gestito per una parte da ordini religiosi. C’è sempre tensione tra questa parte e le norme generali dettate dai governi. Una componente di privatizzazione della riforma sarebbe ampliare l’autonomia del sistema privato, rendendolo ancor più esclusivo, ma finanziandolo con risorse pubbliche. La privatizzazione del sistema carcerario implica il fatto che aziende private costruiscano le carceri, le amministrino e trasformino i prigionieri in lavoratori semi-schiavi al servizio del capitale. Si vorrebbe fare altrettanto con il sistema educativo. E’ necessario resistere a questa deriva, presente nella riforma messicana, che oltretutto cerca di estendere gli orientamenti e le pratiche del sistema privato all’istruzione pubblica.
Allo stesso tempo, dobbiamo allargare il dibattito pubblico per includere la necessità di liquidare radicalmente l’intervento di una struttura centralizzata nei contenuti e metodi del sistema scuola. Le risorse pubbliche destinate al diritto all’educazione devono essere assegnate per legge, come succede per le regioni e i municipi. Dobbiamo creare comitati cittadini che, a livello locale e regionale, si occupino di contenuti e metodi, tenendo in debito conto la diversità culturale e regionale.
Quello che poteva avere un senso con governi rivoluzionari che si impegnavano per la giustizia ed erano al servizio della gente, sarebbe controproducente per governi al servizio del capitale, come quelli che oggi prevalgono in tutto il mondo. Il signor Nuño e chi lo rappresenta, tutto l’apparato di controllo e corruzione dell’educazione, devono essere radicalmente esclusi dall’educazione di persone di qualsiasi età. Allo stesso tempo, così come dobbiamo continuare ad affermare la separazione tra Stato e Chiesa, che molti vorrebbero dimenticare, dobbiamo organizzare la separazione tra Stato ed educazione. È la chiave dell’emancipazione, come dimostra bene l’educazione zapatista.

Articolo pubblicato su la Jornada
Traduzione a cura di Camminar Domandando
Fonte: comune-info.net 

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