La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 2 settembre 2016

Ad Amatrice, perché nessuno resti solo

di Silvio Paone e Giuseppe Lingetti
Il terremoto che ha martoriato il centro Italia ci ha colpito tutti nel profondo. La sensazione peggiore che si possa provare in questi casi è l'impotenza: una catastrofe di tali dimensioni rischia di proiettare chi ne è colpito in una condizione passivizzante, in una sorta di cambiamento del proprio status ontologico. Da "persone" ci si trasforma in un batter d'occhio in "vittime", vittime di un avvenimento disastroso che nessuno può pensare di superare da solo. È per questo che la solidarietà verso questi territori è stata così ampia.
Nel giro di poche ore tante e tanti militanti degli spazi sociali di Roma e delle Brigate di Solidarietà Attiva si sono mobilitate/i spontaneamente, senza neanche pensarci troppo. Perché, come dicono i nostri governanti durante le loro passerelle tra le case franate, “nessuno deve rimanere solo”.
Peccato che la solitudine sia la condizione sociale nella quale ci vorrebbe relegare il sistema di cui chi ci governa è espressione, che giorno dopo giorno attacca l'iniziativa collettiva, differenzia per classi, discrimina socialmente. Peccato che la passività della società sia esattamente la condizione più congeniale all'applicazione diforme di gestione del territorio che soprattutto durante le grandi emergenze si esprimono con tutta la loro ferocia.
Non lo diciamo noi, lo dicono i fatti. Lo dicono le migliaia di abitanti de L'Aquila che, dopo il terremoto che li colpì, sono stati alloggiati nei campi della Protezione Civile, dove vige uno stringente regime di controllo su ogni aspetto della loro vita. Dove se non sei regolarmente registrato, se non accetti che le attività e i ritmi delle tue giornate siano stabiliti a tavolino, non hai diritto ad un pasto.
Già a L'Aquila furono numerose le esperienze di autogestione nate nella fase successiva al sisma e che proponevano modelli alternativi a quello istituzionale. Modelli nei quali la vittima di un terremoto non sia equiparata ad un paziente ospedalizzato ma possa da subito riprendere in mano la propria vita, determinare da sé le proprie giornate, tessere relazioni autentiche, non mediate da una carta bollata o dai tempi e dai luoghi definiti da un qualche tavolo di esperti distanti centinaia di chilometri. Con questo non vogliamo attaccare i volontari della Protezione Civile che si prodigano per salvare vite umane, ma per chi crede nel valore della comunità, della democrazia diretta, dell'azione collettiva come strumenti per l'affermazione di diritti e benessere collettivo, è difficile scorgere nella gestione dell'emergenza effettuata dalle istituzioni qualcosa che vada, nel migliore dei casi, oltre il puro e semplice assistenzialismo. Che è, appunto, passivizzante.
Per questo abbiamo dato vita ad Amatrice all'esperienza dello Spaccio Popolare. Un magazzino fornito di beni raccolti in tutt'Italia da cui chiunque può attingere liberamente. Ma non solo. In queste ore si stanno montando le infrastrutture necessarie a garantire uno spazio di socialità per i cittadini, dove poter prendere un caffè, chiacchierare, leggere la rassegna stampa. Dove stabilire un punto di supporto psicologico, montare una connessione wi-fi. Perché siamo convinti che chi è colpito da una tragedia non possa vedersi ridotto ad una nuda entità biologica cui garantire esclusivamente la sussistenza di base. Attività collettive, volte a ricostruire i legami di una comunità distrutta, sono importanti tanto quanto un pasto caldo ed un tetto sulla testa.
Tutti gli abitanti con cui abbiamo parlato ci hanno detto di temere per il futuro, di temere l'inverno, quando le telecamere saranno andate via, l'imponente dispositivo dei soccorsi si sarà ridotto, e su Amatrice e gli altri paesi colpiti calerà il sipario. Quando accadrà sarà sicuramente meglio trovarsi in un prefabbricato di legno piuttosto che nei tendoni della Protezione Civile (come promesso dal premier Renzi, che sull'azione del governo per affrontare questo disastro si gioca un pezzo importante di credibilità anche in ottica referendaria). Ma sarà ancora più importante ritrovarsi in tanti, e non da soli.
Parallelamente ogni giorno partono in maniera sistematica numerose staffette verso le piccole frazioni di Amatrice, difficilmente raggiungibili, dove comunità molto piccole di persone dormono in auto o in tenda pur di non abbandonare la propria casa e i propri affetti finendo nelle tensostrutture messe a disposizione dalle istituzioni.
La scommessa è ardita. Non traiamo conclusioni affrettate e non tentiamo di analizzare questa situazione straordinaria incasellando entro categorie politiche ogni aspetto di una vicenda così drammatica, dall'anziano che non vuol abbandonare la propria casa, dalla confidenza fatta a mezza bocca della signora che passa a prendere del detersivo, alla rabbia dei familiari delle vittime che vogliono poter salutare per l'ultima volta i propri cari ad Amatrice e non altrove. È difficile dire adesso cosa nascerà da questa esperienza, mentre ancora si scava sotto le macerie per recuperare gli ultimi corpi, mentre ancora si tengono i funerali e colonne di giornalisti fanno su e giù per il paese.
Lo Spaccio potrebbe effettivamente diventare uno strumento attivato dagli stessi cittadini del posto, al loro servizio, dove ricreare un senso di comunità, trovare serenità e ragionare insieme sul futuro del proprio territorio senza demandare le decisioni a istituzioni che troppo spesso hanno mostrato di essere prone dinanzi agli interessi di costruttori senza scrupoli o di voler usare le tragedie per recuperare una credibilità che diminuisce giorno dopo giorno. D'altro canto quest'esperienza potrebbe anche non svilupparsi in quella direzione, proprio perché stiamo affrontando un evento straordinario, nel quale probabilmente saltano qualsiasi schema interpretativo e qualsiasi progettualità ragionata in astratto, per quanto ben ponderata. Dinanzi al dolore di una piccola comunità che ha visto morire trecento persone in una sola notte è difficile fare qualsiasi ragionamento.
Ma non sempre si ha bisogno di un'analisi elaborata, di un orizzonte cui tendere, di uno schema ipoteticamente efficace, per mettersi a lavoro. A volte per agire basta sapere da che parte stare, quale mondo si desidera, quali ingiustizie non si riesce a sopportare. E chi sta costruendo lo Spaccio ad Amatrice tutto questo lo sa bene. Sa di trovarsi dalla parte di chi ha visto franare sulla propria testa edifici che avrebbero dovuto reggere a terremoti ben più potenti. Sa di desiderare un mondo nel quale chi è colpito da una tragedia sia messo in condizione di poter determinare il proprio presente ed il proprio futuro. Sa di non sopportare l'avidità di chi si arricchisce sul dolore, e il cinismo di chi ci si gioca una campagna elettorale. E tanto basta.

Fonte: communianet.org 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.