La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 2 settembre 2016

Mettere in discussione il privilegio con la solidarietà

di Dilar Dirik
La solidarieta’ non e’ un impegno caritatevole a senso unico da parte di attivisti privilegiati, ma un processo multidimensionale che contribuisce all’emancipazione di tutti coloro che sono coinvolti. Un Tedesco non rimane impresso dal progetto di democrazia di base a Rojava perche’ ha gia’ visto qualcosa di simile nei decenni passati in America Latina. Una donna Francese rimprovera le donne Kurde per la mancanza di preparazione per la sua visita perche’ esse non sono cosi’ organizzate come le donne Afghane che lei incontro’ negli anni ’70. Una persona puo’ atteggiarsi come esperto della rivoluzione di Rojava dopo un viaggio di una settimana senza aver avuto accesso ai mass media e alla letteratura locale, con nessuna conoscenza delle lingue del Medio Oriente; ciononostante la sua opinione viene considerata piu’ legittima e autentica di quella della gente che e’ direttamente coinvolta.
Che cosa hanno in comune le esperienze di queste persone?
Tutti mostrano un interesse genuino e il fatto che per essi il processo e’ importante e i loro sforzi sono davvero meritevoli. Ma c’e’ anche qualcos’altro: l’elemento che sottosta ‘ a un sistema che da’ la possibilita’ alla gente di completare la lista del turismo rivoluzionario- nel decennio scorso soprattutto in Palestina e Chiapas e adesso a Rojava. Questo elemento e’ qualcosa che i rivoluzionari devono problematizzare: il privilegio.
Per chiarire sin dall’inizio: scrivendo principalmente per lettori internazionali, facilitando la comunicazione e incoraggiando le delegazioni a visitare il Kurdistan, io appartengo a quella gente che apprezza il valore fondamentale di questi scambi e impegni. Ma la gente che si richiama alla solidarieta’ e che si trova in una posizione privilegiata che da’ loro la possibilita’ di viaggiare e di essere ascoltati, ha anhce l’obbligo morale di usare questo privilegio per contribuire al miglioramento. L’intenzione di questo articolo e’ di contribuire alla discussione riguardo ai problemi che emergono quando relazioni gerarchiche vengono poste in essere nel nome della solidarieta’.
In un mondo di nazioni-stati capitalisti, patriarcali, il cosiderare se’ stessi come cittadini del mondo e sentirsi opposti all’idea di stato e nazione costituisce di per se’ un atto di sfida. Tuttavia, il considerarsi come un rivoluzionario internazionalista non cancella le condizioni di disuguaglianza e privilegio. Si deve andare oltre.
Prima di tutto ci sono dei privilegi materiali e risorse da cui si trae beneficio: i passaporti di stati che aiutano a viaggiare quasi dappertutto; il parlare lingue internazionali e l’avere a disposizione un vocabolario teorico che da’ la possibilita’ di articolare e dare forma al discorso; il padroneggiare mezzi intellettuali derivanti dall’istruzione di base, come pure avere a disposizione il tempo libero, la sicurezza e i soldi per pagare molte di queste cose. L’assenza di guerra, morte e distruzione, emigrazione, fame e trauma ci da’ la possibilita’ di fare ricerca in maniera sicura e comfortevole, di fare piani e prendere decisioni nel lungo termine, e vivere secondo i nostri principi, senza molta interferenza dall’esterno.
Il solo fatto che una persona possa sedersi con una tazza di caffe’, leggere una storia attraverso fonti scritte della storiografia Occidento-centrica, la teroria, la lingua e l’epistemologia e’ un privilegio che la grande maggioranza della gente di colore e dei lavoratori non puo’ permettersi. E anche se l’avessero, spesso questa gente manca dell’ambiente politico sereno e sicuro per poter discutere di cio’ che hanno imparato o letto.
Il fatto stesso che io sto’ scrivendo quest’articolo indica anche il privilegio di qualcuno che appartiene a un gruppo oppresso e marginalizzato ma che, in relazione alla sua stessa gente, ha accesso ad alcune risorse e vantaggi. Dovunque c’e’ privilegio, c’e’ anche una responsabilita’ associata a confrontare il privilegio stesso. La semplice esistenza del privilegio non ‘e proprio il problema, ma lo e’ la creazione di relazioni gerarchiche e-non intenzionali- i comportamenti appriopriatori e paternalistici nel lavoro solidale, che distrugge l’accettazione reciproca e il progresso.
Alcune persone hanno espresso stupore circa l’ignoranza della gente locale riguardo a battaglie simili alle loro, dall’altra parte del globo, e hanno cercato di diminuire l’importanza del discorso di una vittima perche’ la sua/suo realta’ quotidiana e’ troppo impressionante da sopportare per le orecchie Occidentali. Altri hanno rifiutato qualsiasi forma di autoriflessione quando sono stati criticati per aver distorto il discorso sulla lotta di un popolo imponendo narrative in modi che risultano alienanti per la gente in questione, suggerendo invece che la gente oppressa dovrebbe essere grata di ricevere qualsiasi attenzione.
Il problema sta’ nel senso di diritto delle persone privilegiate con cui queste stesse possono scrivere libri interi sun una intera regione senza aver mai visitato il luogo. Siamo di nuovo di fronte alla leadership maschile, bianca, dell’intera conferenza “radicale” sulle lotte condotte dalla gente di colore. Si tratta della famosa espressione di simpatia da parte di un bianco per una causa che da’ un vantaggio ai sostenitori per saltare sull’autobus . E’ la velocita’ con cui le cause che comprendono delle lotte sulla vita e la morte vengono abbandonate come patate bollenti se sembrano piu’ complicate di quanto anticipato.
Che bella cosa per un rivoluzionario: il potersi liberare dalle responsabilita’ e dall’identita’ senza complicazioni aggiuntive! Mentre molta gente di sinistra delle nazioni privilegiate spesso sottolinea in maniera militante che essi non rappresentano nessuno stato, esercito, governo o cultura; allo stesso tempo pero’, essi possono facilmente analizzare milioni di persone come un gigantesco blocco monolitico. Essi, cancellando il loro proprio contesto, spesso perseguono per se’ stessi un’agenda complessa individualistica che da’ loro la sensazione di essere piuttosto generosi e caritatevoli quando discutono fra di loro di chi si “merita” il loro supporto, mentre gli Altri diventano “offuscati” in qualche identita’ astratta.
Essere compagni sul serio nella notte piu’ fredda
I modi in cui la solidarieta’ odierna viene immaginata per l’idea Occidentale ha un altro effetto devastante sui movimenti: la competizione tra gente che si affanna per l’attenzione e le risorse. Invece di costruire dei legami di solidarieta’ con gli altri, i popoli in lotta vengono forzati a competere per il supporto delle sinistre Occidentali per prima cosa; il che mette le comunita’ in competizione l’una contro l’altra e risulta distruttiva per l’internazionalismo. Come fa notare Umar Lateef Misgar, un’attivista del Kashmir, e’ come una forma coloniale evoluta del divide et impera.
Specialmente i maschi bianchi possono permettersi il lusso e il privilegio di poter visitare qualsiasi luogo rivoluzionario, per appropriarsene a prioprio uso e consumo e quindi contribuire la propria critica del processo, con nessun obbligo e senza mai sentire la necessita’ di guardare al giardino di casa propria. Questa stessa persona si puo’ legare internazionalmente, distaccarsi localmente e viceversa, spesso con un senso di proprieta’ senza responsabilita’.
La sua identita’ trascende l’etnicita’, la nazionalita’, il genere, la classe, la sessualita’, la fisicalita’, l’ideologia, perche’ egli e’ la materializzazione del fallimento, lo status quo-appena appena vive o conosce il significato di devianza. Non sa che molte battaglie iniziano con la richiesta di riconoscimento, di un posto nella storia, perche’ sta scrivendo di esso. Cosicche’, egli spesso non riesce a cogliere le motivazioni rivoluzionarie oltre la teoria.
Questo e’ perche’ il purismo ideologico gli da’ la possibilita’ di abbandonare facilmente la solidarieta’ con i conflitti, il che costituisce forse una delle espressioni piu’ grandi del suo privilegio: egli puo’ permettersi di essere dogmaticamente, ideologicamente puro; puo’ predicare la consistenza teorica perche’ il suo interesse per la lotta non costituisce una questione di soppravvivenza ma di solo interesse per lui. A lui non e’ richiesto di sporcarsi le mani. Egli puo’ storcere gli occhi guardando la gente che lotta per la vita, perche’ egli non e’ colui che deve bilanciare gli ideali contro tutti i tipi di conflitti geopolitici, realta’ socio-economiche, etniche e religiose, violenze, generi, tradizioni, trauma e poverta’.
E questo e’ perche’ la gente puo’ gettare via uan causa appena dopo l’ha adottata, perche’ il rischiare gli errori, le inadeguatezze e gli ostacoli che le rivoluzioni si trovano necessariamente ad affrontare richiederebbe uno sforzo che queste persone non sono disponibili a fare.- le discussioni teoriche o le conferenze con i dolci e il caffe’ sono posti piu’ adatti per le seghe mentali dei radicali di quell’inferno chiamato Mesopotamia.
Quando la gente non riceve la gratificazione immediata, richiesta dalla loro forma mentis capitalista internalizzata, nelle lotte della vita reale, essi possono abbandonare momenti storici rivoluzionari molto velocemente. L’opzione di andarsene, di abbandonare una causa quando la sua attrazione romantica iniziale passa e la dura realta’ viene a galla, semplicemente non e’ disponibile alla gente che combatte per la vita o la morte. L’essere veri compagni dopo tutto diventa significativo non nella calda luce del sole ma nelle notti piu’ fredde.
Conflitti legittimi da verificare
Qualche anno fa, la gente della sinistra estrema scriveva articoli su Rojava, avanti e indietro, in un modo che era completamente slegato dalla realta’ presente, attraverso assunzioni e temi che non rappresentavano questioni riguardanti la gente che ne era toccata direttamente. Divenne presto una discussione esclusiva tra Occidentali e orientalisti di sinistra, dove un bianco Occidentale rispondeva a un altro, senza che nessuno fosse stato nella regione in questione o avesse letto oltre le opinioni degli altri maschi Occidentali in rete- con Rojava che serviva quale tropo (fatto retorico caratterizzato da trasposizione di significato: Wikipedia, Ndt) del Terzo Mondo su cui tutte le ideologie e assunzioni potessero essere proiettati.
Certo le analisi e le prospettive critiche internazionali sono cruciali nei processi rivoluzionari, ma il dogmatismo, lo sciovinismo e l’arroganza servono uno scopo opposto. Lasciamo stare il fatto che questa gente non stava organizzando una rivoluzione nei loro propri contesti, nonostante questo essi pretendevano di poter giudicare con autorita’ cio’ che costituisce una rivoluzione e di dare suggerimenti e avvisare la gente che sta’ organizzando comunita’ di donne autonome e che, allo stesso tempo, stanno combattendo ISIS.
In un certo qual modo questa misrappresentazione e distorsione e’ necessaria a legittimare le immagini orientaliste e l’intervento colonialista. Come dice Sithartan Sriharan, un attivista Tamil, “gli attivisti di sinistra spessno aiutano a produrre e riprodurre proprio quelle forze che essi pretendono di combattere nelle azioni che essi compiono”.
E’ interessante notare come le battaglie che sono state legittimate nel corso di decenni dalle migliaia di persone che vi hanno partecipato vengono sottoposte a un test al litmus dalla sinistra; queste battaglie devono passare il guidizio Occidentale prima di qualificare per il loro supporto. Queste assunzioni danneggiano i movimenti di liberazione nel senso che essi si rifiutano di prestare la dovuta attenzione e di rappresentarli in maniera accurata; essi in realta’ possono causare grossi danni politici, sociali, economici ed emotivi, possono perpetuare la disinformazione e delegittimare interi conflitti attraverso il dominio del linguaggio da parte di gruppi completamente distaccati.
Questi atteggiamenti originano fondamentalmente da ideologie Eurocentriche che stabilirono il loro imperialismo culturale attraverso il colonialismo, dogmi modernisti e il capitalismo. La violenza simbolica che descrive la storia Occidentale come moderna e universale si manifesta nelle scienze sociaili attuali sotto la forma dell’Orientalismo e influenza il modo in cui ampi settori della sinistra Occidentale intendono la solidarieta’.
Verificando il tuo privilegio
L’assunzione che la solidarieta’ e’ unidirezionale , qualcosa che uno “da’” e l’altro “riceve” e’ inficiata alla base. La solidarieta’, oggi, specialmente nell’era informatica e della tecnologia digitale e’ espressa in un modo che articola una relazione dicotoma tra un soggetto attivo, pensante che “mette a disposizione” la solidarieta’ con una causa e un gruppo che possono agire solo come oggetti passivi senza il diritoo di dare un feedback critico su che tipo di solidarieta’ sia necessaria.
I donatori di solidarieta’ possono materializzarsi dal nulla, cancellare il proprio contesto e appropriarsi del discorso. A essi viene garantita una posizione di osservatore totale, dall’alto, che da’ loro la possibilita’ di una prospettiva analitica a distanza e di autorita’ dovuta a una supposta “imparzialita’”. Questo crea immediatamente una gerarchia e l’aspettativa che il gruppo che sta’ ricevendo la solidarieta’ debba dimostrare la sua gratitudine e deferenza al donatore della solidarieta’ lasciando il gruppo che “riceve” la solidarieta’ alla merce’ delle persone che possono fornire aiuto. Questo spesso segna la fine della solidarieta’ e l’inizio della carita’.
I gruppi oppressi, tuttavia, non hanno nessun obbligo o responsabilita’ a ridare indietro niente. Come fa notare da Kobane il mio caro amico Hawzhim Azeez: “Noi non dobbiamo ringraziare le persone privilegiate per verificare il proprio privilegio e per fare cio’ che e’ giusto. Non dobbiamo pretendere meno da queste persone perche’ questa costituisce l’assunzione non scritta e sottostante alla “solidarieta’”.
La gente che pretende di essere nostro alleato deve essere decisa ad assumersi il carico di lavoro pesante. Essi dovrebbero rammentarsi costantemente dei loro privilegi e metterli in gioco costantemente e annullarli per diventare essi stessi mezzi per amplificare le voci e i principi dei movimenti che essi stessi sostengono in solidarieta’- invece di pretendere di essere essi stessi la voce o la materializzazione del movimento di lotta. No dovrebbero aspettarsi gratitudine o medaglie all’onore per essere etici, e certamente non da gente marginalizzata che e’ solo contenta se qualcuno parla del suo conflitto esistenziale.
Dalla carita’ alla solidarieta’, insegnando a imparare
Il movimento di liberazione Kurdo utilizza la “critica e l’autocritica” quali meccanismi produttivi ed etici per l’automiglioramento , per migliorare gli altri e il gruppo. Criticare un’altra persona significa anche essere capaci di criticare se’ stessi. La critica non e’ intesa a ferire gli altri, ma e’ fondamentalmente basata sull’empatia, l’onesta’ e la soluzione dei problemi.
Il lavoro di solidarieta’ certamente non immunizza nessuno dalla critica. Al contrario, la richiede. Per essere etici, bisogna basarsi fondamentalmente sulla critica. Ma fino a oggi il lavoro di solidarieta’ da parte della sinistra Eurocentrica e’ stato in larga parte assente da questo tipo di critica sottolineando i blocchi presenti nella sinistra Occidentale e la sua incapacita’ a organizzare e persino discutere sulle premesse di base. Fondamentalmente, un vero rivoluzionario e’ colui che inizia il processo rivoluzionario internamente e che inizia da se’ stesso.
La solidarieta’ non e’ un impegno caritatevole ma un processo orizzontale , multidimensionale, educativo e multidirezionale che contribuisce all’emancipazione di tutti coloro che sono coinvolti. La solidarieta’ significa essere tutti allo stesso livello, essere tutti fianco a fianco. Significa condividere le capacita’, le esperienze, le conoscenze, e le idee senza perpetuare relazioni basate sul potere- la differenza tra carita’ e solidarieta’ e’ che qualcuno si definisce “ispiratore’ e vuole insegnarti qualcosa, mentre l’altra ti chiama “compagna” e vuole imparare.
Per affrontare questo problema non e’ sufficiente soltanto che tutti e ognuno riflettano semplicemente. Noi abbiamo bisogno di un nuovo paradigma per la solidarieta’ con il quale sistematicamente confrontare l’appropriazione e l’abuso di potere e assicurare i meccanismi di mutua educazione e lo scambio di prospettive.
La solidarieta’ fondamentalmente significa empatizzare e rispettare la lotta di ciascuno e concepire noi stessi come combattenti per le stesse cose quando siamo coinvolti in un processo di autoliberazione comune, senza ignorare i diversi punti di partenza, i backgrounds, le identita’ e i contesti. Il premio piu’ grande della solidarieta’ genuina e’ che tutti quelli coinvolti impareranno come organizzarsi l’un con l’altro. Quindi, alla fine, come affermano i popoli come quelli del Chiapas e del Kurdistan, la solidarieta’ significa “vai a fare la rivoluzione nel tuo paese”.
Le politiche di identita’ verso l’internazionalizzazione saranno sempre limitate, perche’ non e’ possibile determinare emancipazione piu’ completa in un sistema globale di oppressione e violenza, proprio come l’internazionalismo senza rispetto per le lotte con radici locali rimarra’ superficiale e senza successo, perche’ non riconosce le complessita’ profonde delle diverse frequenze delle grida per la liberta’.
Rafforzando le mie spalle rafforzera’ anche le tue- e questa e’ l’unica formazione in cui noi possiamo combattere contro l’ordine mondiale assassino, sessista, razzista, imperialista e capitalista.

Dilar Dirik e’ un’attivista Kurda e una candidata al PhD nel Dipartimento di Sociologia dell’Univerista’ di Cambridge. Il suo lavoro esamina il ruolo delle donne nell’articolazione e nella costruzione della liberta’ nel Kurdistan. Lei scrive regolarmente del movimento di liberazione Kurdo su diversi media internazionali.

L’autrice desidera ringraziare gli attivisti internazionalisti di Rojava, del Kashmir e Tamil, gli anarchici Greci e in particolare Hawzhin Azeez, senza dei quali l’articolo non sarebbe stato buono neanche per la meta’, per le loro critiche.

Da Z Net- Lo Spirito Della Resistenza E’ Vivo
Traduzione di Francesco D’Alessandro
© 2016 Z Net Italy- Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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