La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 2 settembre 2016

Madri ad ogni costo

di Saura Effe
Leggendo il Piano nazionale per la fertilità, scopriamo amaramente come “lo scopo del presente Piano sia quello di collocare la fertilità al centro delle politiche sanitarie ed educative del nostro Paese”Sempre sul documento ufficiale del Ministero della salute, si possono trovare elencati per punti le ulteriori intenzioni dietro a questa trovata. “Informare i cittadini sul ruolo della fertilità nella loro vita, sulla sua durata e su come proteggerla evitando comportamenti che possono metterla a rischio, fornire assistenza sanitaria qualificata per difendere la fertilità, promuovere interventi di prevenzione e diagnosi precoce al fine di curare le malattie dell'apparato riproduttivo.
Ed ancora, intervenire, ove possibile, per ripristinare la fertilità naturale, sviluppare nelle persone la conoscenza delle caratteristiche funzionali della loro fertilità per poterla usare scegliendo di avere un figlio consapevolmente ed autonomamente ma anche operare un capovolgimento della mentalità corrente volto a rileggere la fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società, promuovendo un rinnovamento culturale in tema di procreazione e, per ultimo, celebrare questa rivoluzione culturale istituendo il “Fertility Day”, Giornata Nazionale di informazione e formazione sulla fertilità, dove la parola d’ordine sarà scoprire il 'prestigio della maternità'”.
Evidentemente il problema di questa campagna non è nell’invito alla prevenzione medica dei disturbi dell’infertilità, non si manifesta nella decisione di fare informazione su quelli che sono i rischi correlati all’eccessivo consumo di sostanze tossiche per l’organismo né nel mettere le persone a conoscenza di alcuni rischi. Questo anzi è ciò che ci aspetteremmo da un Ministero della salute che si comporti come tale.
Il problema è che questa campagna, che poteva in effetti rivolgersi alle coppie con reali problemi di fertilità conducendo sobriamente un'informazione che avvertisse la popolazione della concretezza di questi disturbi, ha sbrodolato un atteggiamento paternalistico, moralista e colpevolizzante, con una profonda insensibilità rispetto alle oppressioni di classe che pesano tutti i giorni su “cittadine e cittadini”.
Tra i punti del Piano, come visto, si legge anche che uno degli scopi sia proprio quello di generare un “capovolgimento della mentalità corrente volto a rileggere la fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società”. In altre parole la volontà del Ministero sarebbe quella di correggere il comportamento di noi altr* pigr* egoist* facendoci finalmente compiere il nostro dovere civico, verso la patria, verso la società: figliare.
Come conclusione dell’elenco si legge anche che l’intento sia quello di ricostituire culturalmente il prestigio della maternità. Il dizionario Treccani ci viene in soccorso aiutandoci a interpretare giustamente il lessema proposto dal Ministero: “prestìgio s. m. [dal lat. praestigia, per lo più al plur., praestigiae «giochi di prestigio», nel lat. tardo anchepraestigium]. – 2. fig. b. autorevolezza, ascendente che, in virtù di particolari meriti e doti, si esercita o si può esercitare su altri [...]”.
Per il governo quindi essere madri è una dote, un merito. Il governo con il suo goffo linguaggio sostiene che le donne che decidono – loro malgrado o per scelta – di non rispondere alle aspettative statali non sono lodevoli, non sono meritevoli, né tantomeno prestigiose. Quale diritto, quale autorità può avere una donna madre nei confronti di una donna non madre? L’una è davvero superiore all’altra?
Ma quello che appare davvero sconveniente, oltre questa opinabile gerarchia tra donne, è la mancata attenzione che il Ministero della salute ha riservato negli ultimi anni alle tematiche riguardanti la salute, quella delle donne in particolare.
Se da una parte ci è proposto il Fertility Day e siamo caldamente invitat* alla procreazione per il futuro del paese, dall’altra mancano però molte altre iniziative che meriterebbero l’attenzione del governo: dall’educazione sessuale e all’affettività nelle scuole elementari, medie e superiori – che prima di insegnare alle giovani e ai giovani a procreare dovrebbe insegnar loro a proteggersi da malattie sessualmente trasmissibili, da gravidanze indesiderate e mostrare che il sesso eterosessuale non è l’unica forma di sesso esistente – al funzionamento laico ed efficiente dei reparti di ginecologia e ostetricia, al riparo dall’occhio invadente degli obiettori di coscienza.
Il governo utilizza il tema della fertilità non per parlare alle coppie che non riescono – pur volendolo – a procreare, ma per dettare un imperativo nazionale che davvero ci riporta indietro nel tempo, all’epoca del fascismo e ai momenti di forte incentivazione della maternità e dello sfruttamento del corpo delle donne a fini patriottici.
Abbiate figlie e figli, procreate, coloro che biologicamente possono sopportare una gravidanza sono tenute a rispondere alla chiamata della nazione, pena la discriminazione e la stigmatizzazione.
In questo modo e attraverso questa tremenda retorica non solo si giudicano come incapaci le donne – e le coppie – che non riescono a rimanere incinte per motivi biologici o medici, ma si stigmatizzano anche tutti coloro che non vogliono figli per altri motivi, come ad esempio quelli economici.
Il Fertility Day cerca a gomitate di farsi avanti con le sue assurde proposte in un momento socio-politico delicato in cui finalmente le soggettività lgbt stanno iniziando a guadagnare una qualche legittimità giuridica e alcuni diritti che sono sempre stati riservati agli eterosessuali. Questa iniziativa offende e calpesta anche queste “cittadine” e questi “cittadini” relegandoli a una condizione di inutilità in quanto il loro rapporto sessuale non è fertile o procreativo. Ancora una volta in serie B, discriminati biologicamente e dal punto di vista legislativo col divieto di avere figlie e figli tramite Gpa e la proibizione di adottare con la step-child adoption i figli dell'altr*.
Le intenzioni del Ministero della salute sono emerse ancora più chiaramente tramite alcune infelici cartoline che hanno invaso il web.
Frasi come “La fertilità è un bene comune” hanno giustamente scatenato una serie di reazioni culminate con la chiusura – momentanea? – del sito dedicato alla giornata della fertilità, che ad oggi risulta essere ancora off line.
Sul sito, ad ogni modo, si leggeva a mo’ di giustificazione che “I dati dell’ultimo rapporto Istat confermano che la natalità nel nostro paese è in una progressiva curva discendente: nascono sempre meno bambini a fronte di una popolazione che invecchia”.
Quello che manca al Piano della Lorenzin è la capacità analitica di comprendere che dietro questa curva discendente non c’è – esclusivamente – la mancata voglia di riprodursi – cosa peraltro del tutto legittima – ma le condizioni necessarie per mantenere quelle figlie e quei figli durante tutto l’arco della loro esistenza.
Il Jobs Act ha aperto le porte al precariato istituzionalizzato, all’incertezza lavorativa, alla mobilità forzata e ad una nuova era in cui le lavoratrici e i lavoratori non riescono – per la breve durata dei loro impieghi – neppure a definirsi tali.
Questa precarietà ha creato non solo un'instabilità economica che rende quasi impossibile per le giovani e i giovani riuscire ad emanciparsi dalla famiglia – confermando lo stereotipo di choosy e mammoni – ma ha generato anche una precarietà affettiva in cui le relazioni di coppia – non solo quelle monogamiche – faticano ad esistere, schiave della precarietà stessa che intacca i tempi, gli spazi, i ritmi e le certezze con le quali si dovrebbe costruire una “famiglia”.
Mentre il governo chiede agli eterosessuali di avere bambine e bambini la precarietà corrode le aspirazioni e le aspettative, contamina la vita quotidiana e ci lascia tutte e tutte annichiliti nell’incapacità di trovare un lavoro, di mantenersi in modo indipendente, e arriva un passo alla volta a corrodere anche gli affetti e gli amori.
Procreare è un lusso per i pochi che possono permetterselo, per quella classe dirigenziale che reddito e casa alla mano può offrire un futuro ai propri figli, e non solo l’ennesimo storytelling renziano.
Una gravidanza invece è un problema: senza educazione sessuale nelle scuole il numero delle teen moms è altissimo anche in Italia. Senza un welfare che garantisca asili pubblici accessibili a tutte e a tutti queste donne non potranno mai lasciare le loro case – ammesso che ne abbiano una – per proseguire la loro carriera universitaria, lavorativa, o entrambe. Senza lavoro mettere al mondo figlie e figli è un rischio che non tutt* si sentono di correre. E come biasimarl*!
Se non cambieranno le condizioni economiche, sociali e politiche che determinano questa condizione allora sì che avremo un problema.
Infine tutto questo allarmismo, secondo Il Post, sembrerebbe essere anche mal riposto: “In Italia il tasso di fecondità – cioè a grandi linee il numero medio di figli che partorisce ogni donna – è piuttosto basso, come del resto in diversi altri paesi occidentali […]. Secondo l’Istat nel 2014 è stato di 1,37, un tasso identico a quello registrato dieci anni fa. Negli ultimi anni, inoltre, alcuni esperti hanno messo in dubbio l’affidabilità del dato diffusissimo secondo cui nelle donne la fertilità diminuirebbe decisamente dai 28-30 anni in poi: uno dei più popolari studi a cui fa riferimento quel dato riprende una ricerca sulle nascite avvenute in Francia dal 1670 al 1830. L’Istituto superiore di sanità dice che un calo 'significativo ma graduale' si verifica dai 32 anni in poi, e un altro dopo i 37; altri esperimenti recenti hanno ipotizzato un netto calo dai 35 anni in poi, altri ancora l’assenza di netti cali della fertilità nelle donne fino ai 40 anni”.
Anziché guardare l’utero delle donne con allarmismo, in alternativa a questi biechi tentativi di sovradeterminare e strumentalizzare le donne ancora una volta, le attenzioni e le paure del Ministero dovrebbero essere convogliate verso la condanna delle pratiche istituzionali e politiche con cui, invece di fare passi avanti verso una società equa e giusta in cui chiunque abbia il potere economico per decidere della propria esistenza, se ne fanno dieci indietro, prendendo come riferimento epoche in cui le donne altro non erano che meri contenitori.
Non possiamo e non vogliamo essere madri ad ogni costo.

Fonte: Communianet.org 

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